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Quel complesso d’inferiorità dei cattolici progressisti. Scrive Pedrizzi

È necessario aiutare tanti credenti ad approfondire il senso ultimo della partecipazione alla vita sociale e politica, in modo che si vada diffondendo sempre più non solo nell’ambito cattolico, ma anche nell’intera società la consapevolezza che siano le persone – e non le classi o lo Stato o le masse o i partiti – ad essere i soggetti attivi e responsabili della vita sociale e che perciò esse debbano avere il primato sulle strutture sociali e su qualsiasi altro tipo di organizzazione

La religione cattolica è parte integrante della cultura, della storia, della vita del nostro popolo. Eppure anche oggi molti vorrebbero che i cattolici si limitassero a essere buoni cittadini, buoni lavoratori e buoni padri di famiglia senza incidere da protagonisti nel mondo e nella società e senza “disturbare il manovratore”, che ci sta portando sempre più verso una società atea e scristianizzata.

Anche per responsabilità spesso degli stessi cattolici a causa di quella malattia che li affligge e che come la considerò il filosofo Del Noce “può anche essere mortale: il senso di subalternità nei confronti di altri progetti culturali”, che ha messo in crisi tutto l’associazionismo cattolico e l’idea stessa di una Dottrina Sociale Cristiana.

Eppure a partire dalla “Rerum Novarum” si assistette ad uno sviluppo, un approfondimento ed un rifiorire del pensiero sociale della Chiesa (senza avere la necessità di un partito cattolico e/o di cattolici) “che impose a noi, come a tutti i cattolici italiani – affermava il conte Medolago Albani al IX Congresso dei cattolici italiani tenutosi a Vicenza nel settembre del 1891 – il dovere di procedere nell’azione economica sociale in modo più energico, più ampio e sistematico”.

Invece – continuava Augusto Del Noce – “nel cattolicesimo progressista si diffuse negli anni ’60 e ’70 la convinzione che la Dottrina Sociale della Chiesa fosse un’ideologia cattolico-conservatrice, borghese, un supporto in più del capitalismo”.

Ed anche tra i cattolici ci fu – ma ci sono anche ai nostri giorni – chi ritenne questa dottrina superata, tanto che la stessa Chiesa mise in sordina questo fondamentale insegnamento che nasce – come è scritto nella Istruzione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede “Libertà cristiana e Liberazione” – “dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società”.

Così vi furono da parte di questi cattolici dei veri e propri rigetti. Occorre perciò una formazione cristiana integrale all’impegno sociale e politico, i cui criteri di orientamento e di guida vanno attinti proprio dalla Dottrina Sociale Cattolica.

I laici cristiani, partendo da essa, possono cercare di impostare correttamente i problemi contingenti e concreti che si pongono all’uomo di oggi; attraverso essa possono interpretare la realtà politica, sociale ed economica “esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo”.

E al servizio del Bene comune, che non è altro che “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona”, che dovrebbero porsi i pubblici poteri, i quali dovrebbero promuovere e sviluppare gli altri due principi che regolano la vita sociale: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.

Il Magistero nel corso della storia non si è limitato solamente ad affermare e sostenere queste verità, ma ha fornito sempre alla comunità cristiana criteri per giudicare le singole situazioni, le istituzioni di modo che tutto il suo sapere non fosse solamente teorico, ma anche pratico ed orientato all’azione concreta.

È evidente, d’altro canto, che la Chiesa sa bene che il passaggio tra il piano dottrinale e quello pratico presuppone mediazioni che sono di natura, appunto, politica, sociale, economica e culturale, per le quali sono prevalentemente competenti i laici, ai quali è affidato in modo particolare il compito di calare nella realtà il messaggio evangelico.

È, dunque, un vero e proprio invito all’azione sociale concreta quello che rivolge la Chiesa ai laici cattolici, che operano in tutti i campi delle realtà temporali, senza però offrire un particolare modello di vita sociale, e senza legarsi a nessun sistema politico. Per questo invita i propri ministri a mantenersi fuori da ogni partito politico e ad evitare di dare appoggi preferenziali a questa o quella organizzazione al fine di conservare meglio la propria libertà e di evitare di creare inutili divisioni nel popolo di Dio.

Ciò non significa, però, che non incoraggi i suoi fedeli laici a prendere coscienza della propria responsabilità nella comunità politica ed a vivere in maniera matura ed adulta la propria fede nella dimensione politica, evitando cosi il pericolo del divorzio tra fede e vita e lavorando per soluzioni e modelli nei quali la concezione cristiana della vita si possa realizzare.

Certo è molto difficile “la sintesi coerente fra l’interiore tensione verso un cristianesimo esigente e l’efficacia delle azioni sociali”.

Si tratta di aiutare perciò tanti credenti ad approfondire il senso ultimo della partecipazione alla vita sociale e politica, in modo che si vada diffondendo sempre più non solo nell’ambito cattolico, ma anche nell’intera società la consapevolezza che siano le persone – e non le classi o lo Stato o le masse o i partiti – ad essere i soggetti attivi e responsabili della vita sociale e che perciò esse debbano avere il primato sulle strutture sociali e su qualsiasi altro tipo di organizzazione.



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