L’Eda ha pubblicato i dati sulla spesa per la Difesa dei Paesi membri del 2019. Aumentano i budget, soprattutto per quanto riguarda l’acquisizione di piattaforme e attrezzature, mentre rallentano ricerca e sviluppo. Il dato negativo è nella riduzione degli investimenti in programmi collaborativi, mentre l’Italia…
Più risorse, ma meno integrazione. In estrema sintesi, è il quadro sulla Difesa comune del Vecchio continente fornito dall’Agenzia europea per la difesa (Eda), che ieri ha pubblicato il rapporto annuale sui dati di spesa per l’anno 2019, che illustra nel dettaglio i budget militari dei suoi 26 Stati membri. Nel complesso, il bilancio totale si è attestato sui 186 miliardi di euro, segnando un aumento del 5% rispetto al 2018 e raggiungendo il livello più alto mai registrato dall’Eda da quando ha cominciato a raccogliere dati nel 2006. Il rapporto rileva inoltre che quasi tutti gli Stati membri hanno aumentato la loro spesa per la difesa nel 2019, con aumenti significativi per l’acquisto di nuove attrezzature.
CRESCE LA SPESA PER LA DIFESA
I 186 miliardi di euro spesi nel 2019 rappresentano l’1,4% del Prodotto interno lordo (Pil) dei 26 Stati membri, segnando il quinto anno di crescita consecutiva. Nel 2019 si è anche registrato l’aumento complessivo più forte, quasi il 5%, da quando la tendenza generale della spesa ha cominciato a salire nel 2015, dopo un lungo periodo di contrazione cominciato a seguito della crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, il rapporto rileva anche delle forti variazioni tra i diversi stati membri dell’Eda, che vanno da aumenti del 125% a spostamenti minimi dello 0,01%. Ciò nonostante, 23 sui 26 Stati membri hanno in un modo o nell’altro aumentato le proprie spese per la difesa rispetto al 2018, quattro addirittura superando il miliardo di euro di investimenti. Solo tre Paesi hanno diminuito le proprie spese.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Stando alle tabelle dell’Eda, il nostro Paese è andato in controtendenza rispetto al resto del continente, dedicando al settore della difesa l’1,2% del Pil, lo stesso livello dei due anni precedenti. In termini netti le spese totali per la difesa sono ammontate a 21 miliardi di euro, con 600 milioni in meno rispetto al 2018. Di questi, quattro sono andati al settore degli investimenti, quasi completamente dedicati all’acquisizione di equipaggiamenti, con solo 66 milioni per la ricerca e sviluppo. Per quanto riguarda la collaborazione nel settore procurement, il Belpaese ha stanziato poco più di due miliardi di euro, metà dei quali spesi per collaborazioni con partner europei. Solo 14 milioni sono andati a progetti di ricerca e sviluppo collaborativi, e appena 1,7 per collaborazioni europee. Tali numeri, è bene evidenziarlo, arrivano fino al 2019. Nel 2020, il budget del dicastero Difesa è arrivato a 22,9 miliardi di euro, con una previsione di 23 miliardi per quest’anno (a cui sono da aggiungere le quote Mise). Tra l’altro, il bilancio evidenzia una crescita degli investimenti con un iniziale riequilibrio della sproporzione cronica a favore del personale.
DATI CHIAVE
Tornando al rapporto dell’Eda, nota come le spese per la difesa abbiano rappresentato in media quasi il 3% della spesa pubblica totale. Oltre 41 miliardi di euro sono stati investiti nella funzione puramente “difesa”, per la maggior parte dedicati all’acquisto di attrezzature e solo per il 16% destinati alla ricerca e sviluppo, segnando comunque un aumento del 19% rispetto al periodo precedente. Inoltre, è stato raggiunto, per la prima volta dal 2010, il parametro di riferimento di destinare almeno il 20% della spesa per la difesa in investimenti per il futuro. “La spesa europea per la difesa che raggiunge un nuovo massimo è uno sviluppo positivo e una chiara risposta alla percezione delle minacce degli Stati membri”, ha commentato il chief executive dell’Eda, Jiří Šedivý, che tuttavia ha sottolineato anche che “i bilanci della difesa rimangono vulnerabili, con l’impatto economico di Covid-19 che deve ancora farsi sentire”.
PIÙ SPESA MA MENO COLLABORAZIONE
Nonostante l’aumento della spesa totale, la collaborazione è invece diminuita. Nel 2019, gli Stati membri hanno speso 7 miliardi di euro per l’acquisto di nuove attrezzature in cooperazione con altri Stati membri, un calo del 6% rispetto al 2017. Gli Stati membri hanno condotto meno di un quarto dei propri acquisti totali di attrezzature in cooperazione con altri Stati nel 2019, rimanendo ben al di sotto del benchmark collettivo del 35% e segnando un calo significativo del dato relativamente alto registrato in passato.
LA RICERCA RESTA INDIETRO
Sebbene il settore della ricerca e sviluppo sia stato coinvolto nel generale aumento delle risorse destinate al settore, la differenza con quanto stanziato per l’acquisizione di attrezzature rimane profondo, rimanendo al di sotto del loro massimo, raggiunto nel 2007, alla vigilia della crisi finanziaria. Nonostante una tendenza al rialzo, gli Stati non sono riusciti a raggiungere il parametro di riferimento collettivo del 2%, con solo quattro stati che superano il singolo punto percentile.
RICADUTE SULLA DIFESA EUROPEA
La percezione che emerge da questi dati è quella di un continente alle prese con un riarmo generale, con ingenti acquisizioni di piattaforme già disponibili o sviluppabili nel breve tempo. Riarmo che però concerne di più la sfera nazionale della Difesa che un coinvolgimento più attivo nei confronti della difesa collettiva, segno che gli Stati percepiscono le difficoltà e le minacce del contesto internazionale, ma che non hanno ancora fiducia verso le capacità europee comuni ad affrontare questo tipo di problematiche, preferendo ricorrere a sistemi nazionali. Resta aperta anche la questione sulla collaborazione industriale tra i vari Paesi dell’Eda, vittima delle stesse preoccupazioni generali, unite alle difficoltà economiche che rischiano di far propendere gli Stati a soluzioni protezionistiche delle proprie aziende nazionali, a scapito del sistema europeo. Su questo Bruxelles è già a lavoro, tra Pesco e fondo Edf (7,9 miliardi da qui al 2027) con cui si punta ad aumentare la cooperazione e a incentivare l’integrazione.