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Il tempo del sinodo ormai è maturato. Le parole di Bergoglio sull’Italia

“La Chiesa italiana deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi”. Le parole di papa Francesco, ricevendo oggi in udienza i partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei)

Nel contesto di un grande discorso che ha ricordato a tutti, dalle Americhe all’Africa fino all’Europa, che chi non accetta il Concilio Vaticano II è fuori dalla Chiesa, Bergoglio ha pronunciato poche ma decisive parole sull’Italia: “Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi […]. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”. Chiesa in uscita, ovviamente, è Chiesa in cammino, come il popolo fedele di Dio in cammino.

La Chiesa dunque cammina nella storia, e in questo tempo di pandemia la prospettiva sinodale, posta cinque anni fa dal papa con il discorso che pronunciò al Convegno Ecclesiale di Firenze, diventa un’esigenza ineludibile. Il Covid ha cambiato tutto, e se i vescovi per anni non hanno voluto sentire e il papa ha a malincuore accettato che non capissero o non sentissero, ora questo non è più possibile. Lo impone tutto ciò che il Covid sta determinando nella cultura, nella società, nelle persone. Guardiamo all’Italia politica, così lontana dai cittadini, dalle loro ansie, dalle loro paure, ma comunque sembra cercare un Salvatore della partita, o una salvatrice, chissà. Ma il Paese? la comunità nazionale? Sembra proprio lontana l’idea di comunità… Ricostruire la comunità, il senso di comunità nella prova, nella solidarietà, non è invece l’urgenza sanitaria, economica, culturale, sociale?

Ha detto Francesco nel discorso: “Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse.

È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione. Non dimenticatevi questa parola: compassione. Quante volte, nel Vangelo, di Gesù si dice: ‘Ed ebbe compassione’, ‘ne ebbe compassione’. Come ho detto al Convegno ecclesiale di Firenze, desidero una Chiesa sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. […] Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Quanto riferivo allora all’umanesimo cristiano vale anche per la catechesi: essa afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria, l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura”.

Queste ultime parole sono proprio una citazione del discorso che pronunciò al Convegno di Firenze nel quale parlò di Chiesa sinodale e di Chiesa in uscita missionaria. Il Covid ha reso questo prospettiva non più rinviabile: “In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia, più volte si è riflettuto sul senso di appartenenza che sta alla base di una comunità. Il virus ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza.

Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare il nostro essere comunità. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme – nessuno si salva da solo, uscirne insieme –, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo. Perché la comunità non è un agglomerato di singoli, ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani, noi di oggi di chi verrà domani. Solo ritrovando il senso di comunità, ciascuno potrà trovare in pienezza la propria dignità”.

Pochi vescovi hanno parlato di sinodo italiano, nonostante la chiara sollecitazione di Francesco del 2015, ribadita nel 2019. Ma che prospettiva è quella sinodale? Lo ha spiegato ancora nel 2018 il direttore de La Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, partendo da Don Sturzo, dal ruolo dei laici e dall’idea che una nazione non sia un museo, ma un’opera collettiva che, come spiegato da Francesco, richiede di mettere in comune le differenze. Aggiungeva Spadaro: “Ed eccoci all’attuale crisi della democrazia. In un tempo in cui il bisogno di partecipazione si sta esprimendo in forme e modi nuovi, non è possibile tornare all’’usato garantito’ o alle retoriche già sentite.

Tantomeno, quindi, possiamo immaginare di risolvere la questione mettendo i cattolici tutti da una ‘parte’ (considerando tutti ‘gli altri’ dall’altra). Non basta più neanche una sola tradizione politica a risolvere i problemi del Paese. La forza propulsiva del cattolicesimo democratico ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio, perfino coloro che oggi sono riusciti a intercettare umori e idee della gente. Agostino e Benedetto, davanti al crollo dell’Impero, hanno messo le basi del cristianesimo del Medioevo. Il cristianesimo non ha mai temuto i cambi di paradigma. Che fare, dunque?

La Chiesa italiana saprà farsi interpellare dal mutamento in corso senza limitarsi ad attendere tempi migliori? E come? Abbiamo compreso che è impossibile pensare il futuro dell’Italia senza una partecipazione attiva di tutti i cittadini. Per questo prendiamo spunto da un passaggio del discorso introduttivo del card. Gualtiero Bassetti alla sessione invernale del Consiglio permanente della Cei: Ripartiamo, fratelli, da questo stile sinodale, viviamolo sul campo, tra la gente…”.

Non sono i comunicati o le strutture o ancor meno i progetti culturali a poter affrontare questa situazione, sulla quale ha scritto con accuratezza, poco prima di morire e sempre su La Civiltà Cattolica, padre Bartolomeo Sorge: “Un’altra difficile sfida – richiamata dal papa anche a Firenze – meritevole di essere affrontata in un autorevole dibattito sinodale riguarda le implicazioni etiche e comportamentali dei fedeli, all’interno della crisi spirituale e culturale senza precedenti in cui si dibatte l’Italia. ‘La Chiesa – ha detto papa Francesco – sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini’.

Ci chiediamo: quale intervento autorevole la Chiesa italiana potrà pronunciare, alla luce del Vangelo e del magistero, sul fatto che milioni di fedeli – non esclusi sacerdoti e consacrati – condividano, o quanto meno appoggino, concezioni antropologiche e politiche inconciliabili con la visione evangelica dell’uomo e della società?”. E’ evidente che se era vero allora lo è ancor di più oggi. Dunque è evidente che oggi serve un processo di ricostruzione comunitaria che parta dal basso. Chi vede nella crisi pandemica solo un’emergenza sanitaria dalla quale uscire tornando al più presto come eravamo si illude. Francesco lo ha detto più volte: si esce o migliori o peggiori. E soprattutto nessuno si salva da solo.

Il rapporto tra Chiesa e Popolo, notava nell’articolo citato in precedenza il direttore de La Civiltà Cattolica, non può essere da nessuno dato per scontato quando si diffondono paura, diffidenza e odio… E oggi non è ancor di più così rispetto al 2019? In quell’articolo si può leggere: “Il ‘nemico’, dunque, non è più solamente la secolarizzazione, come spesso abbiamo detto, ma è la paura, l’ostilità, il sentirsi minacciati, la frattura dei legami sociali e la perdita del senso di fratellanza umana e di solidarietà. Nella società sta venendo meno la fiducia: nei medici, negli insegnanti, nei politici, negli intellettuali, nei giornalisti, negli uomini del sacro…”. Anche a questo riguardo non possiamo non chiederci se oggi non sia ancor di più così che due anni fa.

L’urgenza per tutti di un sinodo della Chiesa cattolica si può capire guardando alla crisi che ancora attraversiamo e che viviamo senza partecipazione, quasi in attesa di un evento salvifico e poi leggendo un passaggio della recente enciclica “Fratelli tutti”: “Oggi in molti paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. […] La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine, per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace”.

Certo duelli politici un po’ rusticani, quasi uno scontro Ibrahimovic-Lukaku, non ci ricordano che dovremmo ricostruire una comunità? La comunità è impaurita, smarrita, la crisi la tocca nel bisogno di una solidarietà che va ricostruita nella consapevolezza che nessuno si salva da solo. Ma se nessuno si salva da solo, allora davvero, come dice l’ultimo libro di Francesco, la comunità esisterà se ritroverà la capacità di tornare a sognare insieme.

Il sinodo per l’Italia sarebbe una grande lezione e opportunità per tutti. Non a caso l’articolo di Antonio Spadaro si concludeva così: “Possiamo riconoscere il nostro compito oggi come discepoli di Cristo impegnati nelle tensioni della nostra moderna democrazia in due punti evidenziati dal Presidente (Mattarella, ndr): da una parte, contrastare le ‘tendenze alla regressione della storia’; dall’altra, fare la nostra parte per costruire il Paese come ‘comunità di vita’, curando le ferite dei legami spezzati e della fiducia tradita. E questo potrà avvenire solamente grazie a un largo coinvolgimento del popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto né alle élites del pensiero cattolico né ai contesti (specifici e importanti) di formazione”. Il tempo del sinodo ormai è maturato, da molto.



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