Skip to main content

Pd e 5 Stelle, ormai è amore. Per Panarari il Conte-ter conviene anche alla destra

Panarari analizza la situazione della crisi di governo a margine della prima tornata di consultazioni del mandato esplorativo. “L’alleanza tra il Pd e i 5 Stelle è sempre più salda, ma lo scoglio rimane il Mes”. Il leader di Iv Matteo Renzi alza la posta. L’opposizione? “Lacerata: priva di un’iniziativa politica”

La selva oscura della maggioranza, immediatamente dopo la prima tornata di esplorazione, appare sempre più caotica. L’occhio attento dell’osservatore, quindi, “non deve tralasciare di notare la componente tattica che sta muovendo gli equilibri”. Il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle mantengono in qualche modo una linea di coerenza: allineati e coperti con Conte. L’opposizione è spaccata e il leader di Italia Viva Matteo Renzi alza la posta sui temi, confermando comunque, come prospettiva, le urne non prima del 2023.

“Il Movimento 5 Stelle – analizza Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, saggista e docente universitario – è la forza imprescindibile per l’altissima rappresentatività parlamentare ma, nei fatti, risulta essere un pachiderma statico”. L’accostamento zoomorfo è funzionale a descrivere la posizione dei grillini “incapaci di qualsiasi soluzione dinamica, proprio perché paralizzati al loro interno”. Un po’ partito, un po’ movimento. O quel che ne resta. Un sobbollire di anime diverse “tenute assieme dall’identificare in Conte l’unico premier possibile in questa fase”.

Anche per questo il Conte ter “risulta essere la direzione verso la quale si stanno muovendo il Pd e il M5S. Ormai l’alleanza sta portando a un processo di fusione tra i due schieramenti politici, come peraltro ribadito da uno dei maggiorenti dem Goffredo Bettini”. Dietro la granitica resistenza dei pentastellati però, si celano non poche tensioni. “L’anomalia del Movimento 5 Stelle – ribadisce Panarari – è che non ci sia mai stato un dibattito trasparente, oltre ad una ferma condanna delle ‘correnti’”. L’impressione quindi è che “ci sia un grosso problema legato al riconoscimento di una leadership unica”.

L’avvocato del popolo in questo senso rappresenta “l’unica bandiera per tenere assieme le truppe grilline – puntualizza il docente – ed è identificato come unico leader”. In qualche modo quindi Conte costituisce il punto di caduta tra “un movimento anti sistema e un’esperienza di governo accettabile”. L’unica, per come la vedono i pentastellati. Eppure rimane da dirimere un grosso nodo: il Mes. L’ultimo baluardo grillino che riporta ai tempi delle piazze dei Vaffa Day. Il rantolo barricadero a cui l’ala dibattistiana rimane saldamente ancorata.

Voci di corridoio vedrebbero Crimi (attuale capo politico ad interim del Movimento) disposto ad accantonare il tema. Eppure, dice Panarari, “il Mes rappresenta ormai una battaglia dall’alto valore simbolico, più che altro. Tratto quest’ultimo che la rende inderogabile”. Più che per fini elettoralistici (prospettiva a questo punto remota nel tempo) “per evitare ulteriori spaccature. L’ala più oltranzista potrebbe creare non pochi problemi su questo tanto al Senato quanto alla Camera”.

Lawrence d’Arabia alias Matteo Renzi (ci si conceda la battuta), dal canto suo “si è dimostrato un abilissimo maestro di tattica”. Con numeri limitatissimi, sia in termini di peso elettorale, sia come numero di rappresentanti in Parlamento “è riuscito – ammette il sociologo – su una serie di temi reali, a costringere i suoi ex partener a far cadere l’esecutivo. Il pokerista, adesso, deve capire qual è il punto di caduta che gli permette di vincere senza rischiare le urne”.

Le ragioni della crisi di governo, riprende Panarari, vanno ricercate in due fattori: il modello proposto da Conte per la governance del Recovery Fund e a saldatura sempre più consolidata tra il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico. “Va detto che il modello piramidale di governance proposto da Conte – spiega – limitava moltissimo la capacità di influire di Renzi e del suo partito. Anche se, in generale, così come era formula estrometteva completamente la politica dalla gestione dei fondi europei”.

Il legame tra i partner di governo, invece, stava “estromettendo Renzi dall’ala progressista confinandolo in un centrismo non meglio definito. La coalizione tra Pd e M5S viene infatti presentata con la veste di nuovo centrosinistra. Nei fatti, però, la componente preponderante è quella populista”. Tanto che, osserva il docente, “la componente più progressista del Pd soffre questa alleanza”.  I dem sono passati dall’essere partito di sistema “all’abdicare completamente all’iniziativa politica autonoma rispetto al Movimento”. Insomma quello che fu il gran partito continua a muoversi e a “ricercare alleanze come se non esistesse alternativa all’attuale alleanza con i grillini”. In realtà “il Pd potrebbe essere non solo l’ago della bilancia, bensì lo schieramento che ‘dà le carte’ fra Italia Viva e i 5 Stelle”.

L’opposizione nel frattempo non sta molto meglio. Percorsa da “profonde lacerazioni interne non solo tra i diversi schieramenti ma in seno ai partiti”. Dice Panarari che Salvini “non è convinto di ridurre la componente populista che caratterizza l’azione politica del Carroccio”, come invece vorrebbe Giorgetti: “Traghettare la Lega in un percorso che la porti ad essere un partito conservatore”. Giorgia Meloni “continua a crescere su posizioni oltranziste”, elemento che “Salvini valuta con molta attenzione e che lo fa desistere dall’abbracciare la linea Giorgetti”. Forza Italia, “idealmente potrebbe aderire al governo”.

Stando così le cose l’unico auspicio per il centrodestra è che “si vada a costituire il Conte ter: non si spaccano i partiti e consente alla coalizione di rimanere all’opposizione”. Un privilegio o una condanna?

×

Iscriviti alla newsletter