Intervista al politologo americano e luminare di Yale, una vita passata a studiare la politica italiana. L’Italia sconta l’irrilevanza a Washington DC e una cattiva pubblicità di Francia e Germania, un Conte-ter confermerebbe a Biden questa immagine (oltre ai timori sulla Cina). Meglio Draghi o Gentiloni a Palazzo Chigi. Mentre il voto anticipato…
“Sarò sincero. Da queste parti non si parla granché di Italia”. Joseph La Palombara tira un lungo sospiro. Dal suo ufficio a Yale, l’università dove ha insegnato per più di cinquant’anni e di cui è professore emerito, 96 anni, tra i più grandi scienziati politici americani viventi, risponde corrucciato. “Comunque vada la crisi, una cosa è sicura. Un governo Conte-ter sarebbe un disastro. Certificherebbe l’Italia come un attore di secondo piano. Un premier debole, qual è Giuseppe Conte, non è una buona base per reclamare un ruolo più importante per l’Italia sullo scacchiere internazionale”.
Alterna l’italiano e l’inglese, La Palombara, che di Italia si intende non da ieri. Nato nella Little Italy di Chicago, figlio di immigrati italiani, ha dedicato un’intera vita ad addentrarsi negli intricati cunicoli della politica nostrana, a studiarla e raccontarla oltreoceano. Democratico dai tempi di Kennedy, Commendatore al Merito della Repubblica italiana, in sessant’anni di carriera è stato amico di premier e capi di Stato, della prima e della seconda Repubblica.
Sulla terza si è fatto un’idea non proprio rosea, a sentire cosa pensa del suo nocchiero, l’avvocato di Volturara Appula. A Washington DC un suo ritorno a Palazzo Chigi non piacerà, dice convinto, sarebbe “un handicap”. “Conte è ritenuto espressione di un Movimento Cinque Stelle politicamente confuso e indebolito. Il cosiddetto “atlantismo” di quel partito è sempre stato in dubbio. Questo aspetto della politica italiana non migliorerà in alcun modo con un terzo incarico a Conte. Sarebbe visto come rappresentante di un movimento populista un tempo potente e ora visibilmente ammaccato. Un suo nuovo governo non faciliterebbe le cose conil nuovo corso a Washington”.
Qualcuno si dovrà porre il problema, prima o poi. Mentre a Montecitorio Roberto Fico tenta una faticosa mediazione con le forze di maggioranza per stendere un nuovo contratto di governo, nessuno mette testa all’ “altro contratto”, quello con gli Stati Uniti di Joe Biden. Che penseranno dalle parti della Casa Bianca del tira e molla intorno a Palazzo Chigi? La Palombara sorride, poi riprende.
“Sembrerà strano, ma l’Italia non deve contare più di tanto su Washington DC. È stato così per decenni. L’attenzione americana verso la politica del Belpaese è diventata evanescente da quando la sinistra estrema ha smesso di essere un cruccio”. Certo, aggiunge, “Washington non ha mai fatto mistero di non digerire volentieri quei pochi presidenti del Consiglio italiani che hanno cercato di muoversi in solitaria, e di perseguire i propri interessi in politica estera”.
Nella lista c’è Conte, il premier che ha firmato il memorandum con la Cina per la Via della Seta, è stato sovranista ed europeista, terzaforzista ed ora fiero atlantista. “Certo che gli americani, inclusa l’amministrazione Biden, vorrebbero poter contare sull’ “atlantismo” italiano, vorrebbero vedere scetticismo sull’accordo sugli investimenti che l’Ue, guidata da Macron e Merkel, ha siglato con la Cina”. E invece, chiosa il professore, l’Italia “è ormai ufficialmente sotto i riflettori per aver approvato la politica aggressiva cinese della Belt and Road Initiative”.
Di qui la perplessità che coglie gli apparati a Washington DC di fronte al sodalizio giallorosso a Roma. “Il fatto che un partito filoatlantico come il Pd e i Cinque Stelle stiano insieme al governo causa più di un mal di testa in America. Contare qualcosa in politica estera è oggettivamente difficile per un Paese guidato da una coalizione così”.
La Palombara conosce bene i meandri della diplomazia americana. Ha perfino vissuto un anno con sua moglie a Villa Taverna, segretario per i rapporti culturali, correva l’anno 1981 e a Palazzo Chigi sedeva Giovanni Spadolini. La crisi italiana vista dall’America, garantisce, non è un bel vedere.
“Ci sono buone ragioni per pensare che l’amministrazione Biden continuerà a dare poco credito a questo Paese. E una crisi politica prolungata non aiuterà di certo. Per di più, Conte è politicamente anonimo, un primo ministro debole. Tutti qui sanno che è stato tirato fuori dal mondo accademico all’ultimo minuto. A Palazzo Chigi non ha dimostrato il tipo di leadership italiana, per non dire europea, che costringerebbe l’amministrazione Biden a prestare la giusta attenzione a Roma”.
Ammesso che qualcuno se ne interessi davvero, resta da capire quali siano gli sbocchi preferibili dalla Casa Bianca. Si va per esclusione. Un ritorno al voto, dice il luminare di Yale, sarebbe una pessima notizia per l’alleato americano. Perché? “A Washington devono constatare che la destra in Italia è in ascesa. E qualsiasi analista americano sa che Matteo Salvini e Vladimir Putin si ammirano a vicenda. Ne consegue che una sua vittoria alle elezioni potrebbe posizionare il Paese in un campo ostile, quantomeno sul piano economico”. Anche per questo “sarebbe perfettamente comprensibile se il presidente Mattarella volesse tenere a bada un populista di destra”.
Tra un Conte-ter e un Salvini first ci deve pur essere un compromesso che piaccia agli Usa, chiediamo. Una soluzione c’è, e passa da Bruxelles, risponde La Palombara. “Un’opzione diversa da queste potrebbe essere un incarico a Paolo Gentiloni. O ancora di più a una persona con un forte legame europeo come Mario Draghi. Ma perché conti qualcosa l’iniziativa deve partire da Roma. In cinquant’anni di storia repubblicana è successo raramente. Forse è da qui che bisogna invertire la rotta”.
“Se l’Italia conta così poco nel decision-making dell’Ue, perché mai l’America dovrebbe darle attenzioni? E questa carenza non farà che aumentare ora che la Brexit è realtà e Roma non può più contare su Londra come contrappeso all’egemonia franco-tedesca in Europa”. Di più. La Palombara spiega che per farsi rispettare a Washington l’Italia dovrebbe farsi prima rispettare a Parigi e Berlino. “Spesso sono i principali Paesi europei a non volere che l’Italia si sieda ai tavoli internazionali e a farci presente la sua inaffidabilità nei negoziati”.
Più del toto-nomi conta allora delineare un chiaro identikit del prossimo premier, chiude il professore. “Un successore di Conte con un’adesione aperta e forte all’atlantismo potrebbe dare all’Italia una presenza e un’influenza diversa a Washington DC. Ma niente è garantito. Per più di mezzo secolo l’Italia ha volutamente giocato un ruolo secondario in politica estera. Non sarà facile ripartire”.