L’Italia, nel contesto di un mondo sempre più globalizzato e connesso, rischia di rimanere indietro in assenza di un piano di investimenti in infrastrutture. L’autorevolezza e il prestigio di Draghi, e la lucidità del pensiero in relazione a temi così importanti per lo sviluppo del Paese e della nuova Europa sono elementi di garanzia che fanno immaginare quale sarà la direzione che prenderà il suo esecutivo. Il commento di Stefano Cianciotta, presidente Osservatorio nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni
Due anni fa, alla vigilia dell’ingresso di Cdp in Telecom, con il presidente nazionale di Confassociazioni, Angelo Deiana, su Il Foglio abbiamo chiesto l’istituzione di un ministero per la Digitalizzazione proprio sull’esempio della Germania e della Francia, le cui Casse depositi investono da anni nelle infrastrutture digitali.
La Grosse Koalition di Angela Merkel aveva appena istituito un ministero per gli Affari digitali, attribuendogli tutti i poteri per gestire e coordinare le risorse previste nel Piano nazionale della digitalizzazione con cui il governo tedesco prevedeva di attrarre investimenti pubblici e privati per 100 miliardi, con l’obiettivo di trasformare la Germania in una Gigabit society entro il 2025.
La nostra proposta voleva stimolare un percorso strutturato che avviasse anche in Italia la costruzione di un ecosistema positivo e dinamico di relazioni ed interconnessioni, attraverso un nuovo piano di sviluppo delle grandi opere infrastrutturali digitali con il relativo contributo degli eventuali concessionari.
In questo ultimo anno abbiamo capito che la digital trasformation sta impattando a livello globale assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali. Le infrastrutture materiali e digitali, come è stato del resto riaffermato anche nel Next generation Eu, giocano un ruolo decisivo per consentire alle imprese europee di essere più competitive nel nuovo sistema globale disegnato dalla pandemia.
Nel prossimo decennio, infatti, gli investimenti in infrastrutture conosceranno nel mondo un dinamismo senza precedenti, sostenuto soprattutto dalla Cina.
Sarà dunque fondamentale anche in Europa e in Italia ricominciare a investire, perché la competitività del mondo globale passerà sempre di più dalla capacità di sviluppare le infrastrutture fisiche/digitali, velocizzando anche i processi amministrativi delle agevolazioni fiscali, dello snellimento dell’iter autorizzativo e dell’individuazione di partner economici qualificati.
Le infrastrutture svolgono un ruolo fondamentale per sostenere la mobilità dei cittadini e delle merci, sia a livello nazionale che europeo, in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell’ambiente, e sono essenziali per l’ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita in moltissimi ambiti.
Uno degli effetti del Covid-19, infatti, è stato quello di accelerare l’ingresso delle infrastrutture digitali nell’agenda delle istituzioni. Alcuni mesi fa il governatore di Bankitalia Visco e l’Anac, ci hanno ricordato rispettivamente che l’Italia è al diciannovesimo posto tra i paesi Ue per grado di sviluppo delle connessioni, che la rete fissa a banda larga copre meno di un quarto delle famiglie contro il 60 per cento della media europea, e che nel Decreto semplificazioni andava prevista la digitalizzazione di tutti gli appalti pubblici.
Se aggiungiamo a questi richiami i primi tre punti individuati nel documento conclusivo della Task Force di Colao (infrastrutture, digitalizzazione, sbrurocratizzazione), le modalità e i tempi delle azioni con i quali il governo Draghi riuscirà ad accelerare gli investimenti sulle infrastrutture fisiche e digitali ci diranno molto del futuro dell’Italia e dell’Europa.
Per rendere più competitiva l’Europa, gli investimenti in infrastrutture devono essere raddoppiati. Secondo il rapporto della Bei gli investimenti sono oggi pari al 2,7% del Pil, ma dovrebbero essere almeno del 5% per garantire all’Europa di competere con i grandi players globali, far east in primis.
Fino al 2008 l’Italia investiva in media il 3,4% del Pil in infrastrutture, e se nel 2009 raggiungevano quota 29 miliardi, nel 2017 ammontavano a soli 16 miliardi.
Disinvestire nell’ultimo decennio nelle infrastrutture è costato ogni anno al nostro paese almeno un punto di Pil (60 miliardi all’anno). L’Italia per investimenti sulle infrastrutture è terzultima in Europa con 1,8%. Solo Irlanda e Portogallo fanno peggio. Se la media europea è del 2,7%, in alcuni paesi nordici e baltici e sorprendentemente anche in Grecia invece si supera il 4%. Al primo posto c’è l’Estonia con il 5,6% degli investimenti concentrati in prevalenza nelle infrastrutture digitali.
Nella dotazione e qualificazione delle grandi reti di comunicazione italiana ci sono evidenti deficit.
Dal punto di vista della logistica, infatti, emergono una limitata capacità intermodale dei grandi nodi di scambio infrastrutturali (porti, aeroporti, interporti) e urbani, e una difficile interconnessione tra le reti e tra i livelli stessi di rete (da nazionale a locale).
In un mondo sempre più globalizzato e connesso, quindi, l’Italia rischia di rimanere indietro in assenza di un piano di investimenti in infrastrutture materiali e digitali.
Un fattore più degli altri, come ho già avuto modo di affermare, sarà decisivo per colmare il gap infrastrutturale dei territori italiani: la responsabilità e l’autorevolezza del governo, che deve avere la capacità di investire culturalmente sulle opere, imparando a comunicare ai territori il valore strategico delle infrastrutture.
L’autorevolezza e il prestigio di Draghi, e la lucidità del pensiero in relazione a temi così importanti per lo sviluppo del Paese e della nuova Europa (“la digitalizzazione, imposta dal cambiamento delle nostre abitudini di lavoro, accelerata dalla pandemia, è destinata a rimanere una caratteristica permanente delle nostre società. È divenuta necessità”: così Draghi dal palco del 41mo Meeting di Rimini sei mesi fa mentre tre anni prima il 31 gennaio 2017 a Bruxelles aveva parlato di digitalizzazione come nova sfida per il cambiamento), sono elementi di garanzia che fanno immaginare quale sarà la direzione che prenderà il suo esecutivo. E qualche analista già scommette che il dossier Tim sulla rete unica sarà uno dei primi ad essere preso in considerazione dal futuro governo.