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La forza del patriottismo e i dubbi di Giorgia. La versione di Polillo

Se ci sorregge il patriottismo, se l’idea di Patria, dopo anni di oblio, torna ad essere sprone e punto di riferimento, nessuno può tirarsi indietro. Anche se questa partecipazione comporta il sacrificio di un interesse più immediato, che un’eventuale tornata elettorale avrebbe, forse, meglio garantito

I dubbi, le incertezze, il travaglio di Giorgia Meloni meritano rispetto. Da quello che dice, il problema non è tanto la figura di Mario Draghi, di cui apprezza la statura, quanto il coté di riferimento, dato da un Parlamento che è quello che si è visto. Caratterizzato dalla presenza massiccia di deputati e senatori che avevano vinto la lotteria della loro vita, piuttosto che passare attraverso la dura selezione della tradizionale lotta politica. Qualcosa di incomprensibile per chi con quel mostro – la politica appunto – la Meloni aveva fatto i conti fin da quando aveva poco più dell’età della ragione.

Poi c’erano stati gli episodi ben poco edificanti dei cacciatori di teste. Uomini, che avevano speso una vita nei meandri del sottobosco italiano, pronti ad organizzare piccole falangi di fuoriusciti, con l’unico scopo di garantire una stampella a coloro che, in passato, volevano aprire lo stesso Parlamento come una scatoletta di tonno. E che, invece, nel breve giro di qualche anno, si erano trasformati nella nuova casta. Come in quel vecchio film di Elia Kazan sulla vita e le gesta di Emiliano Zapata.

Può essere d’aiuto, per favorire una qualche decisione, partire dalle reali condizioni del Paese. La cui crisi, a differenza di altre Nazioni, è stata solo peggiorata dalla pandemia. Da tempo, nella buona e nella cattiva sorte, l’Italia ha sempre deluso, collocandosi ai margini del progresso economico e sociale. Gli ultimi dati del Fondo monetario, che contemplano le principali 30 economie del Pianeta, ancora una volta, la collocano al terzultimo posto. Peggio solo l’Argentina ed il Sud Africa. I prossimi due anni, quindi, non saranno migliori di quelli lasciati alle spalle. A dimostrazione del fatto che la sua forza propulsiva, come Enrico Berlinguer aveva detto a proposito dell’Urrs, si era da tempo esaurita.

Ciò che è mancato in tutti questi anni non è stato il confronto sui singoli argomenti. Il contributo che ciascuno può offrire sulle singole issue, come dicono gli inglesi. È mancato un disegno complessivo, una visione, quella struttura unificante, all’interno della quale collocare le singole misure e le rispettive priorità. Si è andati avanti a forza di slogan, spesso presi a prestito dal lessico europeo e ripetuti a pappagallo. Prendiamo l’ultima proposta di Giuseppe Conte, quell’”Alleanza per lo sviluppo sostenibile”. L’accento tutto riposto sull’attributo – “sostenibile” – quando è il sostantivo – “sviluppo” – che manca.

Con Mario Draghi si può sperare che si apra un capitolo diverso della storia italiana. Che da questa nuova “guerra”, come lui stesso ha definito questo tragico periodo, si possa uscire, almeno in Italia, con uno scarto simile a quello che si verificò nel 1948. Quando un’Italia stremata, mortificata nella carne e nell’anima, come nel coro dell’Adelchi, si rimise in cammino, conquistando, in pochi anni, grazie ai sacrifici della propria gente, il rispetto e l’ammirazione di tutto il mondo.

Sarà difficile, non v’è dubbio, ma è una sfida che non si può non tentare. Se ci sorregge il patriottismo, se l’idea di Patria, dopo anni di oblio, torna ad essere sprone e punto di riferimento, nessuno può tirarsi indietro. Anche se questa partecipazione comporta il sacrificio di un interesse più immediato, che un’eventuale tornata elettorale avrebbe, forse, meglio garantito. C’è bisogno, quindi, di coerenza. Nel rispetto di coloro che, in passato, hanno dato tutto, anche la vita, per difendere un’idea, il valore di quella storia che trasforma una comunità di uomini e di donne in una Nazione.

C’è la faremo! Non è un’affermazione retorica. La storia d’Italia non può essere considerata una sorta di buco nero, dentro il quale è stata assorbita ogni residua energia. Al contrario: ci sono state le grandi cadute, ma anche i balzi in avanti. Le resilienze, come oggi si è solito dire. Che, a loro volta, richiedono la presenza di uno comando generale – i De Gaulle, i Churcill, ma anche i De Gasperi – che sia in grado di guidare le truppe. Se manca questa condizione, com’è stato finora, ogni sforzo è destinato a disperdersi. A far avanzare, il piccolo cabotaggio, destinato ad esaltare i difetti peggiori di ciascun popolo. Quei demoni che ciascuno di noi porta dentro. E che, alla fine, portano all’approdo del “si salvi chi può”. Che è la negazione assoluta del concetto stesso di Patria.

È difficile dire se, con Mario Draghi, sarà possibile tirare una riga e voltare pagina. Di certo c’era invece la necessità di porre fine ad un’esperienza politica, che si trascinava in un tran tran inconsistente. Con Rocco Casalino che organizzava i suoi teatrini e Goffredo Bettini regista di un film dell’orrore. Matteo Renzi ha avuto il merito di porre fine ad uno spettacolo che durava da troppo tempo. Interessa poco conoscere i motivi del suo agire. L’importante che questo sia avvenuto. Sarebbe quindi opportuno dargliene atto. Sempre che si voglia partecipare, in prima persona, ad un percorso di ricostruzione. Che è poi quello che gli italiani si aspettano dai propri rappresentanti politici. Considerato che non è più il tempo di fuggire dalle proprie responsabilità.


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