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Così la Francia si fa Spazio nella Ue (e nella Nato)

Mentre la Corte di giustizia europea sospendeva due contratti da 1,4 miliardi di euro per Thales Alenia Space e Airbus per la seconda generazione dei satelliti Galileo (su richiesta della tedesca OHB), la Francia otteneva l’ok per ospitare a Tolosa il primo centro spaziale della Nato. Come si muove l’Europa secondo Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale

Il 20 gennaio, la Commissione europea aveva assegnato due contratti, ciascuno per la realizzazione di sei satelliti Galileo, per un valore complessivo di 1,47 miliardi di euro alla ditta franco-italiana Thales Alenia Space e alla franco-tedesca Airbus Defence & Space con l’obiettivo di lanciare i primi satelliti già nel 2024. Si tratta del primo passo per la realizzazione della seconda generazione del cosiddetto Gps europeo.

Ma con un’ordinanza del 31 gennaio, il tribunale dell’Ue, pronunciandosi in procedura sommaria e in modo provvisorio, e senza aver sentito la Commissione, ha accolto la richiesta di sospendere l’assegnazione del contratto presentata dalla ditta tedesca OHB che aveva partecipato alla gara, perdendola.

OHB, forte del fatto di aver già realizzato la maggior parte dei satelliti di prima generazione, aveva partecipato al bando di gara indetto nel 2018 e oggi si è appellata contro la decisione della Commissione sostenendo che la propria offerta sarebbe più competitiva di quelle delle due aziende a guida francese.

Vedremo come finirà, certo è che la OHB dovrà fornire idonee motivazioni al ricorso visto che la valutazione è stata effettuata dalla Commissione insieme all’Agenzia Spaziale Europea (Esa), che ne è braccio tecnico-operativo. Ma il punto qui è rilevare come in tutti i settori strategici la politica industriale della Commissione è sempre influenzata fortemente dai diversi interessi nazionali. L’esito di questo appalto miliardario sembra essere una rivincita di Parigi su Berlino, come spiegheremo tra poco, a ulteriore riprova che l’elegia acritica di un europeismo benevolo, come troppo spesso si sente dire nel nostro paese, rappresenta molto spesso invece una mera facciata, mentre la realtà è quella di un aspro confronto economico, industriale e politico tra stati.

L’antefatto: il progetto Galileo fu avviato dalla Commissione europea e dell’Esa nel 1999, i primi satelliti sperimentali furono lanciati nel 2005 e oggi dopo 20 anni e circa 13 miliardi di euro di spesa la costellazione è operativa in orbita con 23 satelliti. La sua realizzazione però fu piuttosto travagliata. Ostacoli politici,pressioni americane e difficoltà tecnologiche ne ostacolarono il percorso; inoltre nonostante l’Ue ne avesse fatto un “pillar project” il finanziamento fu talmente difficoltoso al punto che la Commissione nel 2007 dovette stornare, tra molte polemiche, due miliardi di euro dai fondi strutturali destinati all’agricoltura per dirottarli sul programma spaziale.

Né fu meno indolore l’assegnazione dei contratti industriali per la manifattura dei satelliti. Le due aziende che si dividevano il monopolio dei satelliti in Europa, la Thales Alenia Space e la Astrium (oggi Airbus Defence & Space), si aggiudicarono nel 2010 i primi 4 satelliti ma due anni dopo fu la tedesca OHB di Brema, che aveva un background industriale decisamente inferiore alle ditte francesi, ad aggiudicarsi il mega contratto per tutti i successivi satelliti.

Fu decisiva in quel momento la fortissima lobby politica della Germania, primo paese contributore del bilancio Ue, che sosteneva la crescita di un’azienda spaziale nazionale, ma l’attrito tra Parigi e Berlino sul dossier fu altissimo.

Per attendere la rivincita l’industria transalpina ha dovuto attendere otto anni ma soprattutto la nomina nel 2019 della nuova Commissione Europea dove è stata creata una potentissima Direzione Generale per il Mercato Unico, Commercio, Digitale, Difesa e Spazio guidata dal francese Thierry Breton, ex-ministro delle Finanze di Bercy, ex-ceo di grandi aziende multinazionali, autore di libri di fantascienza, e ora stella polare delle politiche industriali del Palais Berlaymont.

Breton è stato chiaro sin dall’inizio del suo mandato: per la seconda generazione di satelliti Galileo non si dovevano ripetere le criticità del passato. Quali? Un paio per tutte: dal 2017 nove orologi atomici su 18 satelliti in orbita hanno smesso di funzionare, fortunatamente, ce ne sono due al rubidio e due maser a idrogeno per ogni satellite, quindi il sistema non si è fermato. Poi a luglio 2019 tutti satelliti si sono spenti per quattro giorni a seguito di una misteriosa interruzione che l’Esa ha attribuito a un maldestro aggiornamento del software delle stazioni di terra. Una spiegazione che non ha fugato i dubbi però sull’efficacia del sistema contro potenziali hackeraggi o intrusioni malevole.

A prima vista, già questi due aspetti tecnici sembrerebbero motivare un cambio di prime contractorship industriale per i futuri satelliti, quindi sarà interessante vedere come proseguirà l’appello della OHB alla corte di giustizia.

Al di là di questo, il punto politico è rilevante è un altro.

Lo spazio sarà sempre più pervasivo nella nostra società economica digitale; dal 5G alla mobilità connessa, dalle smart city alla robotica, il ruolo dei satelliti – civili e militari – per comunicazioni, posizionamento e monitoraggio sarà fondamentale per avere un ruolo geopolitico mondiale.

Nell’Europa post Brexit è la Francia che si candida a leader per la politica di difesa e sicurezza e un esempio è la recentissima decisione della Nato di installare a Tolosa un centro di eccellenza per i sistemi spaziali. Curioso evento, se si pensa a come nel 2019 Macron definì la Nato in “morte cerebrale”, ma in ogni modo ora i segnali criptati a uso militare – detti Prs – dei satelliti Galileo, saranno gestiti dal neo-costituito Commandement de l’Espace de l’Armée de l’Air che avrà sede proprio a Tolosa.

La questione industriale del Galileo è quindi un ulteriore banco di prova: da anni la Germania ha disvelato, con un adeguato supporto finanziario, la sua strategia per lo sviluppo di una propria industria aerospaziale per satelliti e lanciatori, al di là dei confini della Airbus. All’ultima Ministeriale Esa, infatti, Berlino ha investito oltre tre miliardi, il 25% in più di Parigi, quindi quest’ultima si vede costretta a operare, in fretta, modifiche alla governance di politica industriale che sinora ha regolato il settore spaziale e che le ha consentito di avere dall’Europa un sostanziale moltiplicatore di risorse per le sue linee produttive.

A maggio scorso indicammo in un articolo su Airpress (“Come appare il futuro spaziale europeo?”) quali fossero i rischi per l’Italia di questa conflittualità in atto tra Parigi e Berlino, insieme ad alcune proposte per coglierne le opportunità (che sempre ci sono). La politica spaziale italiana si trova quindi nel pieno di un riequilibro strategico europeo che, nonostante gli investimenti miliardari effettuati dal nostro paese nel settore, ci proietta in un confronto franco-tedesco in cui le posizioni che verranno assunte avranno conseguenze per un decennio almeno.


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