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North Stream 2 e Navalny, se le sanzioni Ue (non) funzionano

Le sanzioni Ue contro la Russia hanno cambiato il mercato interno e aperto un corridoio a Est. Dal caso Navalny al North Stream II, l’arma di Bruxelles rischia di rivelarsi spuntata. A meno che… L’analisi di Igor Pellicciari, professore di Storia delle Relazioni internazionali alla Luiss e all’Università di Urbino

Le scintille nell’incontro tra l’Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell ed il sempreverde ministro degli affari esteri russo Sergei Lavrov prospettano all’orizzonte un inasprimento delle tensioni tra Bruxelles ed il Cremlino.

In seguito alla nuova condanna di Alexei Navalny a Mosca, nel fronte europeo sono tornate a levarsi voci con richieste di rafforzare il già esteso pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia.

“Aiuti ai Nemici, Sanzioni agli Amici” è l’incipit di un saggio uscito anni fa su Limes (1/2016) in cui cercavamo di sintetizzare, a partire dal titolo, alcuni dei recenti paradossi legati all’uso nuovo di vecchi strumenti di politica estera, come appunto aiuti e sanzioni. Oramai lati opposti ma sinergici della stessa medaglia.

Il principale rimandava, nella mutevole giostra di partenariati tra Stati, alla ricorrente coesistenza di politiche di aiuto tra soggetti in forte tensione diplomatica e, invece, di sanzioni in contesti di buona collaborazione reciproca.

Emblematico è il caso degli aiuti della Ue alla Turchia – paese con il quale periodicamente si infiammano feroci polemiche senza esclusione di colpi – e dei blocchi imposti appunto alla Russia, proprio mentre alcuni Stati membri europei (su tutti, l’Italia) continuano a tesserci insieme reti di collaborazione.

Come accaduto con gli aiuti, anche le sanzioni hanno subito una profonda trasformazione. Solo che nel loro caso, questa è andata oltre il semplice innalzamento del livello di complicazione tecnica, toccando la loro stessa iniziale natura.

Pensate nella teoria classica delle relazioni internazionali come ultimo passo da intraprendere prima di una guerra (una sorta di assedio con cui indebolire il nemico in vista dell’attacco), esse si sono trasformate in scelta primaria da attivare in alternativa allo scontro armato.

Questo ha comportato alcuni cambiamenti di fondo nella morfologia politica ed amministrativa delle sanzioni, rendendole facili da introdurre e complicate da togliere. Una volta in essere, sono destinate a durare a lungo; ben oltre il motivo stesso che ne ha giustificato la delibera. Ma soprattutto, da momento eccezionale delle relazioni internazionali, esse sono diventate strumento frequente e privilegiato nelle dispute di politica estera.

Il che ha tuttavia riacceso la discussione sulla loro reale efficacia, sulla quale letteratura scientifica e politica oramai nutrono forti dubbi.

Restando nel caso specifico russo, le sanzioni non solo non hanno portato ad un cambio di politiche e di establishment al Cremlino ma addirittura hanno dato l’opportunità a Mosca per la regola della reciprocità diplomatica di introdurre delle contro-sanzioni da cui ha tratto notevoli benefici economici prima e sociali poi.

Disegnate per colpire l’export europeo verso Mosca, esse hanno come reazione dato un notevole impulso allo sviluppo della produzione interna russa in alcuni settori come l’agroalimentare ed il terziario collegato.

Senza contare altri effetti collaterali come il forte rilancio del mercato turistico domestico, dovuto sia alla svalutazione del rublo (legata a sua volta anche alle sanzioni) che all’affluenza massiccia del turismo asiatico e mediorientale, dopo che per bilanciare l’isolamento ad Occidente, Vladimir Putin ha fatto virare il paese ad Oriente.

Il punto è che queste contro-sanzioni non hanno danneggiato in maniera uguale la Ue, con alcuni paesi membri, tra cui spicca l’Italia, molto più penalizzati di altri.

Roma è stata duramente colpita nel perdere all’improvviso il ricco mercato russo per i suoi prodotti alimentari,  per non dire del calo drastico registrato – già prima del Covid – nell’incoming turistico russo, sia alto-spendente che della classe media su destinazioni come la riviera romagnola.

Inoltre le insegne in lingua cinese nei negozi a Mosca introdotte per prime dal creativo magnate del commercio russo  Mikhail Kuznirovich con formule tax free e “prezzi uguali a Milano” (sic) dicono molto dell’ambizione della capitale russa di imporsi come nuovo hub per lo shopping del lusso per chi viene da Est.

La strutturale debolezza politica italiana ha impedito a Roma di incidere su questo processo per quanto tutti i Governi recenti (soprattutto quelli di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) in Consiglio Europeo hanno levato le loro rimostranze ogni volta che le sanzioni a Mosca sono state rinnovate.

Per comprendere perché oggi a Bruxelles si continui ad insistere sullo strumento delle sanzioni, è necessario abbracciare una visione realista dell’azione degli Stati sovrani secondo la quale essi agiscono in linea di principio per difendere i propri interessi nazionali. Una tendenza che il Covid se possibile pare avere ancora più rafforzato.

Seguendo questa lettura, per una Ue a trazione tedesca è più facile continuare a parlare di sanzioni di cui Berlino paga un costo minore invece che raccogliere il provocatorio appello (rivoltole guarda caso da Parigi e Washington) di punire la Russia colpendo il progetto North Stream.

Data la cronica dipendenza energetica della Germania dalla Russia, ridurre l’uso del gasdotto e bloccarne il raddoppiamento in corso comporterebbe un altissimo prezzo per l’industria e la società tedesca, con evidenti ripercussioni economiche e politiche.

Per inciso, lo sdegno mostrato da Parigi sul caso “Navalny-diritti umani” pare strumentale se letto in contemporanea al recente intensificarsi dei rapporti tra Emmanuel Macron con il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi; nonostante la campagna mossa da Amnesty International di censurare Il Cairo dopo i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki.

Alla luce di queste considerazioni, si può ipotizzare che – come nel caso degli aiuti – anche in quello delle sanzioni il loro successo non vada tanto misurato nel raggiungimento degli obiettivi dichiarati quanto di quelli razionali sottaciuti.

Essi non necessariamente puntano a punire il nemico di domani, quanto ad avvantaggiarsi nei confronti del proprio alleato di oggi. Che spesso è il vero competitore.


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