Intervista a Valerio De Luca, presidente dell’Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale e di Task Force Italia. “Per ottimizzare al meglio i benefici dell’ondata di liquidità in arrivo con il Recovery fund, sarebbe auspicabile misurare l’impatto della trasformazione in atto anche con criteri di “qualitativi” del benessere che vadano oltre il Pil”. Lungimiranza, cultura e competenza che servono ora alla guida del Paese
Nei giorni precedenti alla formazione del nuovo governo si è parlato incessantemente delle varie ipotesi di un governo tecnico oppure politico, ma se tecnico e politico si mischiassero? Valerio De Luca ripercorre in questa intervista i diversi governi, da quello di Carlo Azeglio Ciampi a quello di Mario Monti, ricordando le competenze necessarie per un effettivo rilancio del Paese.
Come fondatore e presidente dell’Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale (Aises), che ha visto Carlo Azeglio Ciampi ricoprire la carica di presidente onorario e l’assegnazione a Mario Draghi del premio Aises young “Sulle spalle dei giganti”, qual è il suo giudizio sul nuovo governo?
Le rispondo con le parole contenute nella motivazione che ha accompagnato il premio conferito e consegnato al presidente Draghi nel 2014: “per la sua attenzione ai giovani, ai valori etici come principi al centro dell’economia e per aver esercitato le funzioni pubbliche a lui affidate, con competenza, senso del dialogo e lungimiranza, al servizio dell’Europa unita e in cammino”.
Fu proprio il Presidente Ciampi, premiato nel 2013, a condividere con i giovani della nostra Accademia l’assegnazione della successiva edizione del premio, quasi a testimoniare, in una sorta di “staffetta” ideale di pensiero e azione, la centralità della solidarietà tra generazioni: quello “stare sulle spalle dei giganti” che definisce l’importanza della cultura e la diffusione della conoscenza, anche e soprattutto per la partecipazione di tutti alla vita democratica.
Con riferimento alla natura del governo Draghi posso dire che, in questo caso, la tecnica si fa politica nel momento in cui i tecnocrati vengano chiamati, per prestigio o per debolezza della politica, a definire gli interessi generali di una data comunità.
Non siamo più di fronte ad un governo tecnico tout court, dove la politica fa un passo indietro e si ritrae dalla scena, lasciando ai competenti la facile “discesa in politica”, per gestire in completa autonomia la macchina statale in tempi di crisi.
Come il governo Monti?
Esattamente. Questo fu il caso del governo Monti che di fatto rappresentò un commissariamento del Parlamento, preceduto addirittura dalla sua nomina a senatore a vita da parte del presidente della Repubblica per garantirne ex ante l’immunità, azzerando così il rischio politico del suo fallimento.
Oggi siamo di fronte ad un governo dove il tecnico fattosi politico si consulta dapprima con le forze parlamentari, forma un governo con competenze tecniche e componenti politiche, per poi presentarsi di fronte alle Camere per ottenere la fiducia, assumendo su di sé il rischio del vincere o del soccombere.
In una democrazia parlamentare in cui la maggioranza è volubile e a geometria variabile, questo rischio si presenterà ogni volta di fronte ai provvedimenti del governo.
Questa fatica significa “salire in politica” e il tecnico eleva a fini ultimi le proprie competenze specialistiche, soprattutto nella gestione degli ingenti fondi del Recovery plan.
Ricordo che Carlo Azeglio Ciampi fu chiamato a presiedere nel maggio 1993 un governo composto da una compagine di alta competenza, in parte di estrazione politica e in parte tecnico-accademica.
Lo sfondo emergenziale era aggravato dalla doppia crisi sia politica, per il coinvolgimento dei protagonisti dei grandi partiti negli scandali di Tangentopoli, sia economica per la recessione internazionale, aggravata dalle conseguenze della crisi valutaria che aveva visto la lira esposta ad una speculazione senza precedenti.
Colgo, dunque, nell’attuale governo Draghi una linea di continuità ideale e delle affinità con quel governo Ciampi, soprattutto in un ritorno della grosse politik su questioni fondamentali, come il futuro dei giovani e della Comunità europea.
Una politica in grande stile che si fa carico professionalmente di un’etica della responsabilità nelle decisioni di governo con una visione pragmatica e lungimirante, capace di focalizzarsi sull’ora presente e al tempo stesso di orientare i mezzi per realizzare finalità e valori che guardano alle “cose ultime”, come l’attenzione alle future generazioni.
Nello stato di emergenza sanitaria, in che modo si manifestano le qualità di un leader e l’azione di un governo di alto profilo?
La competenza fondata sulla conoscenza è essenziale per comprendere la complessità delle dinamiche economiche e sociali, per quantificare i rischi associati a determinate situazioni emergenziali e per valutare l’effettiva necessità di azione conseguenti.
Innanzitutto, bisogna dare “dare il buon esempio” e testimoniare sul campo la propria leadership, in particolare quando la storia precipita nello stato di eccezione e chiama con urgenza ad una decisione di ultima istanza, ad un giudizio risolutivo che qui e ora è in grado di salvare la comunità dalla catastrofe.
In questo caso, il leader rappresenta l’incarnazione della storia nel momento in cui attua con coraggio, umiltà e determinazione una decisione nell’interesse generale che, sebbene altamente tecnica, di fatto è eminentemente politica, nel momento in cui determina una “grande trasformazione” con effetti e benefici per l’intera comunità.
Le decisioni che gli individui, governi e aziende intraprenderanno oggi per contrastare l’emergenza sanitaria su scala nazionale e mondiale plasmeranno profondamente e nel lungo termine la società in cui vivremo domani.
L’ampiezza delle sfide che ci attendono è coerente con lo status di un paese, come l’Italia, seconda potenza manifatturiera d’Europa, leader indiscussa in molti settori e con un export decisivo per l’equilibrio economico nazionale ed europeo.
Allo stesso tempo, però, è un Italia “zoppa”, che rallenta sul sentiero della crescita e dello sviluppo, a causa di un’arretratezza prima di tutto culturale e poi strutturale, associata ad un ritardo nella dotazione di moderne infrastrutture e di nuove tecnologie.
In questo quadro, vede delle assonanze tra la pandemia di oggi e la crisi finanziaria del 2008 nel modo in cui è stata affrontata l’emergenza da parte dei leader?
Certamente. Il c.d. “Whatever it takes” del presidente della Bce Draghi, in una situazione di grave e perdurante crisi economica, com’era quella dei debiti sovrani, ha “salvato l’euro” e con esso la “comunità europea”.
Mi spiego meglio. Il presidente Draghi avrebbe potuto interpretare alla lettera ed applicare “tecnicamente” lo Statuto e le funzioni della Bce, che sono primariamente la stabilità dei prezzi e il controllo dell’inflazione, senza necessariamente ricorrere al bazooka del quantitative easing e senza “rischiare” un possibile esercizio ultra vires del proprio mandato. Il suo predecessore Trichet affrontò la crisi finanziaria del 2008 proprio applicando alla lettera il suo mandato, ma non riuscì però a stimolare l’economia e a traghettare l’Europa fuori dall’emergenza.
Il presidente Draghi è andato “oltre” la lettera ed ha “incarnato” lo spirito del diritto dei trattati europei, e cioè il principio fondamentale della solidarietà tra Stati e tra generazioni che sono costitutivi di una comunità di destino, com’è l’Europa in cammino. È stato un vero e proprio risveglio per l’Europa, che a lungo aveva dimenticato le sue radici comunitarie, attuando in modo rigido le politiche di austerità con gravi conseguenze soprattutto per i popoli, se guardiamo ad esempio alla gestione dell’affaire Grecia.
All’epoca di Draghi, la Bce come prestatore di ultima istanza si è trasformata in decisore politico di ultima istanza, attuando con coraggio misure non convenzionali nella cornice del diritto dei Trattati e delineando un indirizzo di politica monetaria che ha innovato profondamente le istituzioni europee, a partire dal ruolo della Bce, creando così un importante precedente che si è rivelato lungimirante.
Proprio grazie a questa decisione, che ha fatto storia, la Bce si è rivelata oggi determinate per contrastare gli effetti economici della pandemia con iniezioni di liquidità che hanno sostenuto i bilanci pubblici, le imprese, i lavoratori e gli investimenti.
In concreto, cosa significa nel contesto di una crisi attuale adottare politiche a favore delle future generazioni?
I governi dovrebbero allora disegnare gli interventi con una visione più orientata a prevenire nuovi shock e a preparare il mondo economico e sociale ad un nuovo assetto più sostenibile, sfruttando anche gli orientamenti che stanno emergendo nella parte più innovativa del mondo imprenditoriale e della finanza.
C’è dunque bisogno di una nuova alleanza tra generazioni per il rilancio del sistema paese imperniato su finanza sostenibile, ambiente, capitale umano e innovazione. La flessibilità, nel quadro europeo delle finanze pubbliche, è stata attivata dalla Commissione europea che ha applicato la “clausola di salvaguardia”, derogando all’obbligo del pareggio di bilancio e al limite del 3% del Patto di stabilità, per consentire misure eccezionali di sostegno al bilancio degli Stati ed investimenti strutturali in grado di generare uno sviluppo del Pil che potenzialmente sia in grado di ridurre progressivamente il costo del debito.
In questo modo sarà possibile applicare la massima flessibilità alle norme di bilancio per aiutare i governi nazionali a sostenere finanziariamente i sistemi sanitari e le imprese e a contrastare la disoccupazione, soprattutto giovanile, durante la crisi da Covid-19. Ciò non significa la riproposizione di fallimentari ricette di austerità ma neanche disperdere le risorse, adottando stimoli occasionali e incentivi a pioggia.
C’è bisogno, però, di politiche fiscali e industriali centrate su investimenti di lungo periodo in infrastrutture, grandi opere e capitale umano sulla base di un nuovo patto tra pubblico e privato per sostenere i ritmi di una incessante trasformazione tecnologica che tenga conto della sostenibilità ambientale.
Il partenariato pubblico privato – inteso come cooperazione tra pubblico e privato nella realizzazione di opere di interesse generale – può costituire uno strumento significativo di rilancio dell’economia e di attrazione di capitali privati, anche esteri.
Come possono questi investimenti rappresentare un aiuto concreto per le generazioni future?
L’importanza di mettere in campo azioni volte a sostenere gli investimenti, sia pubblici che privati, e a permettere che la composizione dei bilanci pubblici, pur rispondendo ai princìpi di responsabilità fiscale, favorisce la crescita, l’occupazione, l’inclusione.
Puntare sullo stimolo endogeno alla crescita, basato su investimenti pubblici e su quelli privati, significa affrontare il problema dell’occupazione di oggi e di domani, e al tempo stesso, costruire una capacità produttiva aggiuntiva, a beneficio delle generazioni future.
Ciò implica una coerenza delle politiche settoriali ed un loro indispensabile coordinamento per conseguire uno sviluppo sostenibile e l’inclusione digitale, i quali necessitano di una cultura e di una formazione al cambiamento, affinché sempre più larghi della popolazione possano beneficiare dei risultati del progresso, in primis le giovani generazioni.
A suo parere il Recovery plan si muove in questa direzione?
Si tratta di un vero e proprio investimento sul futuro delle nuove generazioni, il piano europeo per una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa” che non a caso si chiama Next generation Eu e che è dotato di 750 miliardi di euro e con una potenza di fuoco complessiva del bilancio dell’Ue che, nel periodo 2021-2027 arriverà a 1.850 miliardi di euro.
In questo quadro, le linee guida del Recovery fund hanno delle condizionalità che si basano sui due pilastri di innovazione e sostenibilità per stimolare la resilienza economica e sociale, a cui i paesi dell’Ue dovranno guardare per indirizzare la preparazione del ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’.
Proprio per ottimizzare al meglio i benefici dell’ondata di liquidità in arrivo, sarebbe auspicabile misurare l’impatto della trasformazione in atto anche con criteri “qualitativi” del benessere che vadano oltre il Pil, come insegna l’economista Jean Paul Fitoussi, componente autorevole del comitato scientifico di Aises.
L’ampiezza di queste sfide è coerente con lo status di un paese, come l’Italia, seconda potenza manifatturiera d’Europa, leader indiscussa in molti settori e con un export decisivo per l’equilibrio economico nazionale ed europeo.
Ma ci sono anche delle problematiche…
Allo stesso tempo, però, è un Italia “zoppa”, che rallenta sul sentiero della crescita e dello sviluppo, a causa di un’arretratezza prima di tutto culturale e poi strutturale, associata ad un ritardo nella dotazione di moderne infrastrutture e di nuove tecnologie.
Sono sicuro che il recupero della grosse politik, in ambito nazionale ed europeo, può indirizzarsi verso una reale modernizzazione del nostro paese attraverso la transizione ecologica di un Green new deal, la digitalizzazione con la c.d. banda larga e la tecnologica 5G.
La produzione di lavoro qualificato nel settore dell’innovazione non soltanto migliorerà la capacità del nostro paese di crescere e competere, ma è un potentissimo volano di inclusione sociale, di sviluppo sostenibile e di mobilità per le nuove generazioni, per i giovani talenti e per la riduzione delle diseguaglianze, anche di genere.
È di prossima uscita un volume da lei curato insieme a P. Abet dal titolo “Una visione strategica del sistema paese. Innovazione, sostenibilità e sicurezza”. Sono queste anche le linee guida del nuovo governo per rilanciare il sistema Paese?
I trend globali sono caratterizzati da una forte instabilità politica, economica e sociale, a causa di un peggioramento del quadro economico internazionale, e legati ai rischi della pandemia, del cambiamento climatico, ai flussi migratori, sino agli insidiosi attacchi cyber, che minano la sicurezza come bene comune globale.
La ricerca e l’innovazione mirano a sviluppare nuove tecnologie e ad elaborare sistemi e processi sempre più efficaci, economicamente sostenibili, eticamente accettabili, a protezione del sistema Italia e a salvaguardia della pacifica convivenza della comunità nazionale e internazionale.
La cooperazione internazionale e la partnership pubblico-privato nel settore dell’innovazione non solo si rendono necessari ma soprattutto rappresentano una componente fortemente strategica: un potente strumento di crescita e di occupazione, soprattutto giovanile, un moltiplicatore di opportunità per l’intero sistema paese.
Bisogna innanzitutto ridefinire una governance multi-livello per l’innovazione, secondo una logica multi-settoriale e cross-industry, capace di includere sia il tessuto capillare di startup e Pmi innovative, sia il nerbo dorsale delle grandi industrie e dei player di portata sistemica, focalizzando gli investimenti e il supporto alla ricerca di base.
Quali sono i settori fondamentali a cui dedicare maggiori investimenti?
L’aerospazio, la difesa e la sicurezza, così come il settore energetico, dei trasporti e delle multi-utilities, sostenuti da infrastrutture sostenibili e tecnologicamente avanzate, sono industrie innovation driven ad alta intensità di capitale, tecnologia e conoscenza, che stimolano importanti investimenti in ricerca e sviluppo, e occupazione fortemente qualificati.
Si tratta di settori fondamentali per la crescita nei quali sarà sempre più decisivo investire nei prossimi anni per favorire il processo di transizione digitale ed energetica del nostro sistema produttivo, anche nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale, allo scopo di accrescere e di riqualificare le competenze e le skills dei lavoratori.
Non è un caso che questi ambiti strategici per il rilancio del paese siano affidati nel nuovo governo a personalità altamente qualificate e competenti e presidiati dal nuovo presidente del Consiglio.
In particolare, Enrico Giovannini, neo ministro alle Infrastrutture e trasporti, e anche componente del comitato scientifico dell’Aises, con la rete dell’Asvis ha aperto già da tempo un solco importante per il posizionamento dell’Italia in prima linea nell’adozione di politiche pubbliche aderenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, incamminando così il nostro paese nella direzione di quelle che lui chiama “resilienza trasformativa”.
Lei è anche presidente e fondatore di Task Force Italia, una piattaforma permanente di esperti con competenze tecniche traversali e unite nel comune intento di rilanciare il potenziale unico dell’Italia. Quali sono le ricette che metterete al servizio del nuovo governo?
In un’epoca in cui l’emergenza tende a diventare la normalità, abbiamo costituito lo scorso febbraio Task Force Italia: una piattaforma permanente, no profit e indipendente, di circa 60 componenti con lo scopo di mobilitare conoscenze integrate e competenze multidisciplinari, per poi trasformarle in soluzioni pragmatiche da porre al servizio dell’azione di governo e delle aziende sistemiche per contribuire a definire una nuova visione strategica dell’Italia, che ponga al centro finalità di interesse generale, come lo sviluppo sostenibile, l’occupazione, la formazione e la trasformazione digitale.
Abbiamo appena chiuso la prima fase dei nostri 15 tavoli di lavoro tecnici, coordinati dall’infaticabile Dina Ravera, e consegnato al precedente governo le proposte più significative.
Ci apprestiamo ora ad aprire una seconda fase, focalizzata interamente sulla fase progettuale e di riforme strutturali, grazie all’arrivo del fondi del Recovery plan e quanto prima forniremo con spirito di servizio le prime proposte al nuovo governo, che già dai primi passi sembra aver chiara la visione strategica e gli obiettivi da perseguire, con i nuovi ministeri dell’innovazione e della transizione ecologica, che si raccorderanno sotto la sapiente regia della presidenza del Consiglio e di un ministro dell’Economia e finanze, con consolidata esperienza e competenza, come Daniele Franco, il quale già conosce la macchina ministeriale, avendo già ricoperto il ruolo di ragioniere generale dello Stato.
Quali sono state le prospettive uscite dai primi tavoli di lavoro di Task Force Italia?
Sulla base dei primi lavori di Task Force Italia posso affermare che il futuro dell’Italia, e della sua leadership in Europa e nel mondo, sta nella capacità di coniugare sapientemente il binomio innovazione-sostenibilità, che si irradia con un effetto moltiplicatore in settori ad elevata capacità di spillover.
Infatti, la sostenibilità connessa alla conservazione del capitale naturale e ambientale implica un grande ammontare di investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie.
A tal fine sono necessari anche ingenti investimenti in capitale umano, e cioè in risorse per istruzione e salute; investimenti in capitale sociale, e cioè investire in “fiducia” e, quindi, in un sistema di protezione e assicurazione collettiva verso coloro che sono esclusi dai processi di globalizzazione.
Visione, curiosità, flessibilità, persistenza, impegno civile e capacità di apprendere dai propri errori rappresentano quel patrimonio di conoscenze e quel set di competenze indispensabili per balzare in avanti e rilanciare il potenziale unico dell’Italia.
Missione comune a due presidenti del Consiglio di alto profilo, cultura e competenza, come Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, i quali simbolicamente mi piacerebbe immaginare l’uno sedere sulle spalle dell’altro. Solo così l’Italia sarà in grado di guardare più lontano verso un futuro aperto alla speranza, soprattutto per le giovani generazioni di oggi e di domani.