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Chi si gioca questa (fondamentale) partita?

Nello sforzo di mettere in sicurezza corridoi economici, puntellare governi amici e assicurare comunicazioni vitali, sul tavolo verde del Mediterraneo per oltre mezzo secolo si sono sfidati Unione Sovietica e Stati Uniti. Tra gli attori europei più attivi si contavano Parigi e Roma, abituate da secoli di storia a muoversi in un teatro noto e affacciate geograficamente sul Mediterraneo, quadrante marittimo che chiude Medio Oriente, Africa del nord e Balcani di cui l’Italia è l’asse nord-sud.
Oggi, con il Mediterraneo ridotto a una polveriera e troppi fiammiferi in giro, urge un pompiere. Chi può essere?
Il principale candidato sono ovviamente gli Stati Uniti, che nel Mediterraneo avevano piantato le tende per l’intera durata della contesa tra il blocco sovietico e quello occidentale. Nella nostra penisola, snodo obbligato di rotte commerciali, interessi militari, negoziati formali, diplomazia sotterranea, spionaggio, la presenza americana è stata forte e intensa. Da circa venti anni a questa parte, peraltro, l’agenda americana si è spostata a oriente, in quello che gli scenaristi definirebbero un axis shift. Con il crollo del Patto di Varsavia e il progressivo spostamento dell’agenda strategica americana verso oriente, si è quindi fatto largo il convincimento dell’inevitabilità di Chimerica, la sintesi transpacifica che prima sposta l’occidente verso l’oriente, dall’Atlantico al Pacifico, e poi gli fa perdere la sua identità storica ibridandolo con l’Asia. Risuona la profezia di Theodore Roosevelt, pronunciata a San Francisco all’inizio del Novecento in occasione della posa del cavo telegrafico sottomarino tra America e Asia, secondo cui il Pacifico diventerà il nuovo Mediterraneo.
 
La storia, però, è imprevedibile e a volte imbocca traiettorie circolari. Con quello che sta accadendo oggi, gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere il Mediterraneo. Non possono farlo perché sono in gioco molte variabili strategiche: i delicatissimi equilibri all’interno del mondo musulmano (in particolare il bilanciamento tra sciiti e sunniti e il mantenimento di élites secolarizzate), la tutela delle rotte marine, gli snodi delle telecomunicazioni, i rapporti con l’Asia minore e la Turchia, l’amicizia profonda con Israele. Per Washington urge presidiare l’area in prima persona, la gestione indiretta tramite ascari non regge più.
Ebbene, dando per certo un ritorno degli americani, l’altra cosa da capire è chi li affiancherà. In questo momento è ovviamente da escludere l’Unione per il Mediterraneo, che pure sulla carta avrebbe obiettivi ambiziosi.
 
Un ruolo forte può senz’altro essere giocato dalla Turchia, tornata al centro del sistema “afro-eurasia” ed elemento portante del nuovo ordine mondiale, capace di dominare gli accessi dal Mediterraneo al Mar Nero, mentre le vallate del Tigri e dell’Eufrate la collegano con il Medio Oriente (Siria e Mesopotamia). Come ha scritto di recente il generale Jean in una bella analisi pubblicata da Aspenia, sotto il profilo geopolitico, la Turchia ha un orizzonte molto ampio. Si trova infatti al crocevia di cinque sottosistemi regionali: a) il Mediterraneo-Africa settentrionale; b) il Vicino e Medio Oriente, inclusa l’intera area del Golfo; c) i Balcani che, con la vallata del Danubio, costituivano la “perla” dell’Impero ottomano; d) il Caucaso che, unitamente alla Crimea, trasformava il Mar Nero in un lago turco; e) l’Asia centrale, inclusa la regione che gli americani denominano Af-Pak, cioè l’Afghanistan e il Pakistan. C’è dell’altro: la geopolitica e soprattutto la geostoria della Turchia hanno anche un respiro mondiale. Con l’Arabia Saudita, che custodisce i luoghi più sacri dell’Islam, gioca un ruolo centrale nell’Organizzazione della conferenza islamica, anche per l’eredità del califfato ottomano. Fa parte del G20. È stata la nazione dell’Ocse che ha registrato nel 2010 la maggiore crescita economica, di livello quasi cinese. Inoltre la sua demografia (età mediana di 29 anni, rispetto ai 40 dell’Ue) fa prevedere che la sua crescita continuerà ad essere superiore alla media mondiale e attrarrà fondi sovrani non solo arabi, ma anche dell’Asia orientale, oltre dei cospicui investimenti europei.
 
Che dire poi dell’Unione europea? Il comunicato congiunto dei capi di Stato e di governo europei dello scorso 4 febbraio sulla crisi egiziana pare il celebre enigma della sfinge, ma un ruolo nuovo nel Mediterraneo potrebbe essere svolto dalla Germania. Gli elementi che conducono a questa riflessione sono diversi. Il primo è il possibile ampliamento dell’agenda mediorientale di Berlino, rafforzata dalla potente rete di accordi economici tra aziende tedesche e i Paesi dove queste operano. Il secondo è la frequente interazione tra fondi sovrani mediorientali e il gotha industrial-finanziario tedesco, un sodalizio iniziato nel lontano 1974 (il fondo del Kuwait entrò in Mercedes) e oggi particolarmente intenso. Il terzo dato interessante è l’esistenza di ambiziosi progetti infrastrutturali nel Mediterraneo, come Desertec. Quest’ultimo è un progetto tedesco di una rete di centrali elettriche e infrastrutture per la trasmissione di energia elettrica a lunga distanza da fonti rinnovabili, in particolare energia solare dai deserti del Sahara e del Medio Oriente tramite la tecnologia del solare termodinamico.
 
Un altro fattore per cui la Germania guarda al Mediterraneo è la salvaguardia dei rapporti commerciali con l’Asia. Per la Cina, per esempio, che destina il 20% delle proprie esportazioni all’Europa, l’insicurezza sulle rotte marittime che passano dal Mediterraneo sarebbe problematica. Da Suez passa a sua volta il 20% dei cargo cinesi, e dover transitare da Cape Town anziché da Suez significherebbe allungare di parecchi giorni le consegne.
Nessun Paese europeo desidera che il Mediterraneo perda rilevanza strategica, Berlino per prima. Ma la fase è particolare: da un lato Berlino ha un’influenza senza precedenti, specie nell’Eurozona, dall’altro lato il 2011 in Germania è un anno di elezioni regionali e di conseguente, parziale paralisi gestionale. Non sarà dunque da escludere che possa chiedere a Francia e/o Italia di gestire alcune “deleghe” sul Mediterraneo. Magari sottotraccia e in cambio di altro.


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