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La moda si piega alla pandemia. I numeri della crisi secondo Mediobanca

Tra flussi turistici bloccati e smart working, uno dei comparti più tonici paga un conto cinque volte più salato di quello dell’industria tradizionale. In compenso aumenta la vocazione green

La moda italiana finisce knock-out, sotto i colpi della pandemia e dello smart working. Il blocco dei flussi turistici, inutile negarlo, ha impattato fortemente il settore a livello mondiale e nazionale, bruciando miliardi di fatturato. La cifra del disastro è contenuta nella terza edizione del Fashion Annual Talk, il nuovo report dell’Area Studi Mediobanca sul sistema moda.

L’ANNO ZERO DELLA MODA

Ebbene, i dati dei primi nove mesi del 2020 segnano per le maggiori maison una riduzione del giro d’affari del 21,8%, cinque volte maggiore di quella registrata dalla grande industria. Il mercato europeo ha sofferto di più: -23,7% contro il -19,3% del Nord America, mentre l’Asia ha visto un calo più contenuto (-10,1%, escludendo però il Giappone). In tutte le aree geografiche le vendite online hanno avuto un’accelerazione a doppia cifra (+60% in media). Non mancano però alcuni segnali positivi visti nell’ultimo trimestre 2020: i primi dati indicano un rimbalzo del fatturato a livello aggregato (+17%), anche se con un ritmo di ripresa differente a livello geografico e a seconda delle specialità.

DISFATTA ITALIANA

Guardando all’Italia invece, per il settore della moda la contrazione del fatturato per il 2020 dovrebbe attestarsi al -23%. Una ripresa si vedrà già a partire da quest’anno ma per il Sistema Moda Italia, sottolinea il rapporto di Mediobanca, il ritorno ai livelli pre-crisi è previsto nel 2023. Nel 2019, prima dello scoppio della pandemia, il settore moda italiano ha registrato un giro d’affari totale di 71,1 miliardi (+20,8% sul 2015), con il peso del comparto sul Pil nazionale salito all’1,2%, contro l’1% del 2015.

Si conferma comunque la presenza di gruppi stranieri nella moda del nostro Paese: 71 delle 177 aziende hanno una proprietà straniera e controllano il 37,2% del fatturato aggregato (il 17,3% è francese, fra cui Kering con il 7,3% e Lvmh con il 6,5%).

GIGANTI E PANDEMIA

Guardando alla classifica mondiale per fatturato, nel 2019 al primo posto tra i colossi mondiali c’è Lvmh (53,7 miliardi). Molto distanti, al secondo e terzo posto, Nike (33,3 miliardi) e Inditex (28,3 miliardi). Prima tra gli italiani Prada (3,2 miliardi), al 34esimo posto. Fra i 38 gruppi europei, l’Italia con le sue 10 big è il Paese più rappresentato a livello numerico ma è la Francia, con una quota del 36% del fatturato aggregato, ad aggiudicarsi il primato per giro d’affari. L’Italia è solo al 7%, sorpassata da quasi tutti gli altri Paesi europei nella classifica della ripartizione del fatturato per sede della multinazionale.

LA MODA SI FA VERDE

Intanto cresce l’attenzione dell’industria della moda per l’ambiente. Dall’analisi dei bilanci di sostenibilità 2019 emerge come le multinazionali mondiali del settore si siano impegnate per un futuro più sostenibile: diminuiscono i consumi idrici (-3,4%), le emissioni di CO2 (-5,1%), i rifiuti prodotti (-3,1%) mentre aumenta il ricorso all’energia elettrica rinnovabile (dal 42,6% nel 2018 al 49,9% nel 2019). Mediamente più sostenibili i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei: solo in un indicatore, quello dell’utilizzo di energia rinnovabile, i gruppi europei si posizionano meglio degli Usa, attingendo da fonti green il 59% del proprio fabbisogno energetico rispetto al 38% degli americani.



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