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Produrre i vaccini in Italia. Si può fare? Ecco come

L’Italia è indietro sui vaccini. Ma Mario Draghi sembra avere una soluzione: produrre le soluzioni farmacologiche direttamente sul territorio italiano. E coinvolge la Commissione europea

Produrre il vaccino anti-Covid in Italia. Forse si può, con la solerzia di Mario Draghi che è già al lavoro per accelerare la campagna vaccinale nel nostro Paese, ad oggi un po’ in ritardo. Sembrerebbe infatti che il nuovo presidente del Consiglio sia già in contatto con le istituzioni europee per ottenere il via libera alla produzione nazionale. Lo slancio nasce, secondo alcune indiscrezioni, proprio su iniziativa della nuova presidenza, che avrebbe chiesto alla Commissione europea di sentire le aziende farmaceutiche per vagliare l’ipotesi di subappaltare la produzione presso altri siti, al fine di ottimizzare e velocizzare la distribuzione.

LAZIO E VENETO, IL PHARMA ITALIANO PASSA DA QUI

Sono due gli stabilimenti già individuati in Italia per un’ipotetica produzione dei vaccini. Uno nel Veneto, l’altro, Catalent, nel Lazio, ad Anagni, che già lavora con AstraZeneca. Lo stesso commissario Arcuri, del resto, ha confermato la disponibilità da parte degli stabilimenti italiani a condividere le proprie strutture per accelerare la produzione e la distribuzione dei vaccini. Adesso attendiamo, ha riferito Arcuri “la conclusione del confronto tra Ue e produttori”.

PROCEDURE E TEMPI TECNICI

C’è però bisogno di tempo. Per riconvertire gli stabilimenti bisogna in primis adattare i bioreattori. Un ostacolo superabile, però, per l’Italia, che com’è noto è all’avanguardia nella produzione pharma e dispone di strutture di altissimo livello. Al contempo, però, bisognerà attendere le autorizzazioni necessarie affinché gli impianti siano “prestati” a Pfizer e Moderna. Ma anche qui, il passo è breve, dato il coinvolgimento in prima del presidente del Consiglio. Ad ogni modo, secondo il virologo Roberto Burioni, uno o due mesi potrebbero essere sufficienti, come ha scritto su Twitter. Del resto, come ha ricordato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, “Le aziende farmaceutiche che non fanno vaccini avrebbero bisogno di 4-6 mesi per allestire la produzione, ma ce ne sono altre già specializzate che stanno valutando l’adattabilità dei loro impianti”.

UN COMPARTO STRATEGICO

Probabilmente, bisogna riconoscere, un sostegno maggiore e più strutturato al comparto avrebbe consentito all’Italia di restare un player fondamentale nella produzione dei vaccini, e non solo per fronteggiare l’emergenza. Nel corso degli ultimi anni, però, l’Italia ha depauperato le proprie capacità produttive con sfrenate campagne di delocalizzazione, perdendo il vantaggio competitivo su un settore strategico come quello della sanità. Accettando, fra l’altro, mancati investimenti che invece sarebbero risultati fondamentali, ancor più nella gestione della pandemia.

“L’industria farmaceutica è un valore economico, sociale e scientifico del Paese. E in questi mesi lo ha dimostrato ancor di più, collaborando in una logica di partnership con le istituzioni e gli altri attori del sistema salute. E ha quindi confermato, sul campo, di costituire un asset strategico per la crescita dell’Italia”, ha dichiarato a Formiche.net Massimo Scaccabarozzi. “In un quadro favorevole di regole e con una burocrazia più snella – ha aggiunto – le imprese del farmaco sono infatti pronte a investire oltre 4 miliardi di euro nel periodo 2021-2024, ossia circa 2,5 miliardi in ricerca e innovazione e oltre 1,5 in produzione. Investimenti in partnership-pubblico privato, che sono rapidamente cantierabili e in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. E che possono portare a un aumento dell’occupazione: 8mila addetti diretti in più che arrivano a 25 mila considerando l’indotto”.

QUESTIONE BREVETTI

Ma anche i brevetti riguardano, e non del tutto collateralmente, la discussione in merito alla produzione in-shore di vaccini. C’è infatti chi ha auspicato la cessione dei brevetti per una più ampia distribuzione del vaccino, mancando però di una visione di più ampio respiro. Com’è noto, infatti, il brevetto è lo strumento attraverso il quale un’azienda che impiega ingenti investimenti (in risorse sia economiche che umane) riesce a rientrare economicamente della spesa sostenuta. Abolirli rischierebbe di eliminare qualunque forma di tutela all’innovazione, spingendo le aziende a non fare più ricerca. Sospendere i brevetti, dunque, non può essere una soluzione, che invece potrebbe essere ravvisata in semplici accordi bilaterali di produzione dislocata con le aziende proprietarie del brevetto.

VACCINATI TRE MILIONI DI ITALIANI

Il timore che probabilmente ha spinto Mario Draghi a fare questo passo nasce dal ritardo che l’Italia sta accumulando nel programma di vaccinazione anti-Covid, che oggi ha raggiunto quota tre milioni di vaccinati. La stessa Moderna, tra l’altro, ha da pochissimo riferito che non riuscirà a rispettare le scadenze di consegna, dimezzando per il momento le dosi destinate al nostro Paese. Recupereranno, secondo le loro previsioni, entro il mese di marzo, ma è ormai evidente come il tempo rappresenti un elemento cruciale nella lotta contro il virus.

IL PUNTO DELL’EUROPA

“Avremo in totale 100 milioni di dosi per la fine del primo trimestre”, assicura la commissaria alla Salute europea Stella Kyriakides in un’intervista pubblicata su Avvenire. “E nel secondo trimestre avremo altri 300 milioni di dosi a cui dovrebbero aggiungersi i sieri di Johnson&Johnson e Novavax”, aggiunge.

AUTORIZZAZIONE EMA PER JOHNSON&JOHNSON?

Del resto la Johnson&Johnson ha appena chiesto all’Ema l’autorizzazione per la distribuzione del suo vaccino, ma il feedback difficilmente arriverà prima di marzo. Si tratta tra l’altro di un prodotto di più facile gestione rispetto agli altri vaccini. È infatti destinato a tutte le fasce di età, prevede una sola somministrazione, senza richiami, e necessita di alcuna accortezza nelle attività di stoccaggio e conservazione.

ERRORE SOTTOSTIMARE RISCHI DISTRIBUZIONE

Ma è la stessa Europa a riconoscere che alcuni errori sono stati compiuti, soprattutto nel sottostimare “la difficoltà della produzione di massa”, come ha riferito la commissaria Ursula Von der Leyen. L’obiettivo italiano resta quello del 70% delle vaccinazioni entro settembre. Con una produzione sul territorio nazionale, auspicata da Draghi, il goal sembra meno lontano. Senza, però, difficilmente riusciremo a rispettare le tempistiche.

THIERRY BRETON: ENTRO FINE ANNO PIENA AUTONOMIA VACCINALE UE

Ad ogni modo, Thierry Breton, a capo della task force Ue per aumentare le capacità di produzioni vaccinali europee, ha assicurato che entro un anno o al massimo un anno e mezzo l’Europa avrà piena indipendenza vaccinale. “Per la sola Europa penso che saremo a piena capacità già entro fine anno ma guardiamo anche al vicinato” ha riferito Breton in occasione di un’intervista rilasciata a diverse testate, strizzando l’occhio alle vicende di colonialismo farmaceutico che negli ultimi giorni se non mesi stanno scaldando i rapporti commerciali – e non solo – internazionali. Il riferimento, è indubbio, è sopratutto ad Africa e Balcani, come ha riferito lui stesso. Coinvolta in questo programma anche l’Italia. Oltre ad Anagni, riferisce Breton, “ci sono numerose altre società che potrebbero essere coinvolte”. “Ogni nuovo candidato – ha concluso – è il benvenuto”.

E IL VENETO, INTANTO…

Il Veneto, nel frattempo, gioca da solista. Temendo di non riuscire a vaccinare gli abitanti della Regione, Luca Zaia ha pensato di attivarsi per acquistare in autonomia vaccini da destinare agli abitanti del proprio territorio, in aggiunta alle forniture nazionali. L’Aifa, sostenuta anche dalla Commissione europea, ha però chiesto alle Regioni di non derogare “dal rispetto delle norme per l’importazione dei farmaci”, invitandole a confrontarsi direttamente con Arcuri. Intanto, però, il Veneto avrebbe ricevuto un’offerta da Pfizer pari a 27 milioni di dosi, da dividere in due lotti, come rivelato dal direttore della sanità veneta Luciano Flor.



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