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Ecco come sarà il Recovery Plan di Mario Draghi

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È da attendersi che, con una squadra di governo in cui un gruppo di ministri è stato evidentemente scelto per rimettere mano al Pnrr e presentare un testo di alto livello all’Ue entro il 30 aprile e con dirigenti e funzionari dello Stato di qualità (integrati da alcuni consulenti), il documento verrà in buona parte riscritto sotto tre aspetti: a) la specificazione delle riforme e l’analisi dei loro effetti economici; b) i nessi tra riforme ed investimenti; c) la valutazione micro-economica dei progetti

Nel suo discorso programmatico alle Camere, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha posto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) nella prospettiva giusta e ha subito voluto sgombrare il campo da un tema che è stato molto divisivo.

La prospettiva giusta è considerare la Recovery and Resilience Facility non un’elargizione dell’Unione europea (Ue) all’Italia per buona condotta o simpatia o solidarietà ma uno strumento con un duplice obiettivo: evitare, da un lato, che una crisi del nostro Paese contagi il resto dell’Ue e permetterci, dall’altro, di lasciare alle future generazioni un’Italia più moderna e più giusta come ha fatto la generazione del dopo guerra per quella che oggi è al governo e in Parlamento.

Sgombrare il lavoro futuro sul Pnrr da un tema divisivo vuol dire subito che per la governance non ci saranno accentramenti a Palazzo Chigi e cortei di manager e di esperti – alcuni, peraltro, paiono in uscita – ma, come d’altronde auspicato da questa testata, il timone sarà saldamente in mano del ministero dell’Economia e delle Finanze, adeguatamente potenziato da una unità di missione presso la Ragioneria Generale dello Stato, peraltro prevista nell’ultima legge di bilancio.

Draghi ha anche sottolineato le riforme su cui occorre porre l’accento (in linea con le raccomandazioni della Commissione europea) e ha dato l’onore delle armi al governo che lo ha preceduto per il lavoro fatto.

È perfettamente a conoscenza delle osservazioni e dei pesanti rilievi fatti nelle ultime settimane dai servizi studi della Camera e del Senato, dall’Ufficio parlamentare di bilancio, dalla Banca d’Italia, dal Cnel, dalla Corte dei Conti, dall’Istat (nonché da varie associazioni di categoria) sulla stesura ultima dell’11 gennaio, che il governo ha inviato al Parlamento prima dell’inizio della crisi di governo.

Le istituzioni, hanno presentato rilievi, per molti aspetti non dissimili a quelli fatti anche su questa testata in tema di analisi sugli effetti delle proposte del Pnrr sulla crescita, del nesso tra riforme ed investimenti, dell’articolazione dei progetti e soprattutto dei parametri di valutazione e dei criteri di scelta dei progetti da includere nel Piano. Anzi, sono stati molto più duri di quanto è stata questa testata. Andrea Montanino in un brief datato 10 febbraio, ma diramato il 17 febbraio, suggerisce di agganciare le riforme strutturali agli investimenti per innescare crescita e produttività.

È da attendersi che, con una squadra di governo in cui un gruppo di ministri è stato evidentemente scelto per rimettere mano al Pnrr e presentare un testo di alto livello all’Ue entro il 30 aprile e con dirigenti e funzionari dello Stato di qualità (integrati da alcuni consulenti), il documento verrà in buona parte riscritto sotto tre aspetti: a) la specificazione delle riforme e l’analisi dei loro effetti economici; b) i nessi tra riforme ed investimenti; c) la valutazione micro-economica dei progetti.

Dato che la maggioranza è differente da quelle dei due governi Conte (a trazione di destra la prima ed a trazione di sinistra la seconda), nel riscrivere il Pnrr si terrà conto delle proposte delle forze politiche che erano all’opposizione del governo Conte II e che ora supportano l’esecutivo Draghi.

La formulazione più organica si trova nel Pnrr alternativo di 240 pagine, in bella vista da oltre un mese sul sito web di Forza Italia. Ha avuto poca attenzione sulla stampa, ma è per certi aspetti in sintonia con le dichiarazioni del presidente del Consiglio. Si basa su tre pilastri: riforma della Pubblica amministrazione, riforma della giustizia e riforma del fisco eì ha un focus particolare su riassetto del welfare e sostegno del capitale umano di giovani e di donne.

Propone, poi, un effetto blending, facendo leva per attirare capitale privato ed aumentare quindi in molte aree (ad esempio, digitalizzazione e riconversione ambientale) i finanziamenti complessivi a supporto delle riforme.

Persino queste ultime sono molto più dettagliate di quanto non siano nell’ultima stesura del Pnrr del governo Conte; non è detto però che, specialmente in materia di giustizia, sia facile farne una sintesi con quelle proposte dal governo Conte II. Manca una descrizione accurata dei progetti e, quindi, un’analisi micro-economica dei loro costi e dei loro benefici. Per certi aspetti, ciò è inevitabile poiché la documentazione progettuale è quasi interamente nelle pubbliche amministrazioni, a cui chi è all’apposizione non ha facile accesso.


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