Secondo il premier occorre il rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Sul Patto per le migrazioni e l’asilo nato nel settembre scorso si va, quindi, verso un articolato negoziato
Immigrazione, non lasciare soli chi accoglie. Non ci sono solo i vaccini, le imprese e il Recovery nel discorso programmatico di Mario Draghi al Parlamento. Ma un passaggio significativo, e come altri spiccatamente politico, lo si scorge alla voce immigrazione.
“Altra sfida – ha osservato l’ex numero uno della Bce – sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati”.
PATTO PER LE MIGRAZIONI
Il Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo citato da Draghi è stato presentato lo scorso 23 settembre dalla Commissione Europea con l’obiettivo di essere discusso e approvato dai Governi dei 27: è stato definito “un nuovo inizio” dalla Commissione. Il precedenza la Commissione Juncker aveva presentato nel 2015 l’Agenda per la migrazione, seguita dodici mesi dopo da un pacchetto di proposte di riforma del Sistema europeo comune di asilo, molte delle quali però non approvate prima della fine della legislatura. Dal 2019, anno di insediamento della Commissione Von der Leyen, si è provato a dare seguito alla materia, traducendo le direttive in atti giuridici. I nove atti normativi infatti sono stati accompagnati da una rigida tempistica.
Per valutare con attenzione la portata dell’iniziativa Ue, è utile ricordare che annualmente arrivano nell’Unione, in modo irregolare, dai 2 milioni del 2011 ai 150.000 del 2019. Ma solo alcuni degli arrivati avanzano poi domanda di protezione e addirittura appena un terzo di coloro ai quali la domanda è negata, vengono in seguito allontanati.
Se nel Patto, da un lato, si confermano le policies di contenimento dei flussi attraverso la cooperazione con i Paesi di origine e transito, dall’altro ci sono alcune novità circa la cosiddetta migrazione legale. Pollice in su alla voce estensione della libertà di circolazione dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo: in questa categoria sono ricompresi i beneficiari di protezione internazionale. Ma non mancano le note dolenti.
MEGA HOTSPOT
L’Italia, ad esempio, in virtù del nuovo Patto dovrebbe essere chiamata ad aumentare la capienza dei propri centri di ben 7 volte in periodi normali, come emerso da un paper di EuroMed Rights, e addirittura di 50 volte in anni di flussi più intensi come accaduto nel 2016.
Critiche a quel Patto sono giunte da diciotto Associazioni in un documento di analisi promosso da Asgi, Intersos, Mdm, Medu, Msf, Sanita’ Di Frontiera e Simm e rivolto alle istituzioni e ai governi europei. Sostengono che il provvedimento rischia di ingrossare il modello drammatico rappresentato dai grandi centri di accoglienza, come accaduto nel mega hotspot di Moria, sull’isola greca di Lesbos che, a fronte di una capienza di 3000 persone ne conteneva 12mila prima di essere dato alle fiamme dagli ospiti.
LESBOS
Dopo il fuoco a Lesbos, che ha distrutto Moria, è stata realizzata una nuova struttura temporanea a Kara Tepe, dichiarata ampiamente attrezzata per l’inverno dal ministro greco della migrazione, Notis Mitarakis, ma che appare allagata e in sostanza circondata dal fango. La solitudine di alcuni Paesi di prima accoglienza, come la Grecia, si ritrova plasticamente proprio nell’isola che diede i natali alla poetessa Saffo: il governo ellenico intende costruire cinque nuovi hotspot sulle isole prima dell’inizio del prossimo inverno, ma c’è un problema: non è ovviamente possibile creare dal nulla un sistema di accoglienza per un numero qualsiasi di persone visto e considerato che sono ancora 15.000 i rifugiati e migranti presenti sulle isole dell’Egeo.
Tra l’altro Lesbos è stata interessata da un altro particolare che, se possibile, ha peggiorato la già complessa situazione: alcune Ong, tra cui Human Rights Watch, hanno denunciato il possibile avvelenamento da piombo in un campo di migranti. Hanno anche chiesto che i migranti vengano evacuati come misura precauzionale. Sì, ma dove? Sulla questione ci sarà un’indagine con l’aiuto di esperti dell’Unione europea per analizzare campioni di suolo.
MEDITERRANEO & BALCANI
Oltre Grecia e Italia ci sono i Balcani a comporre questo terzetto di transito e approdo: le ultime dammatiche immagini sono giunte dal campo bosniaco di Lipa che, dopo l’incendio che lo rase al suolo nel dicembre scorso (stesso destino di Moria, per intenderci), è ancora più precario. I 900 ospiti sono senza acqua calda ed energia elettrica. Manca dunque una regia comune che non scarichi solo su alcuni il gravoso compito, amministrativo e pratico.
Un riferimento che il premier italiano ha fatto palesemente, quando ha osservato che “occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro”.
Ma la rotta balcanica era stata ufficialmente chiusa nel 2016, quando Bruxelles raggiunse un accordo d’oro con la Turchia, affinché Erdogan non aprisse il rubinetto della frontiera ellino-turca di Evros.
Oggi il Presidente turco batte nuovamente cassa anche sul quel fronte. C’è però un aspetto di quell’accordo che fa specie: in un comma si legge che una volta terminati, o per lo meno drasticamente e sostenibilmente ridotti, gli attraversamenti irregolari fra la Turchia e l’Ue, “verrà attivato un programma volontario di ammissione umanitaria. Gli Stati membri dell’Ue contribuiranno al programma su base volontaria”. Un passaggio fin qui ancora impervio come dimostrano le recenti immagini al confine con la Croazia.
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