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Draghi e i tormenti dei suoi supporters. L’analisi di Polillo

Prevarrà rispetto alle vecchie schermaglie del tempo che fu l’amore per l’Italia invocato da Draghi nel suo discorso al Senato? Questa è la vera posta in gioco. Quel sentiment ha già fatto breccia nel cuore e nella testa di gran parte dell’elettorato italiano. Che le forze politiche presenti in Parlamento lo tengano nel debito conto

Da un lato Mario Draghi: “Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato”.

Da un lato l’idea della sospensione della politica politicante, che potrà riprendersi la scena, quando si riaccenderà la luce su un mondo, che sarà completamente diverso da quello lasciato alle sue spalle. Ed allora, ma questo Draghi non lo dice anche se è sottinteso, sarà necessario un ripensamento culturale complessivo, che innovi profondamente le vecchie posizioni del ‘900.

Dall’altro lo spiazzamento dei partiti, ancora arroccati sui vecchi schemi. Timorosi di prendere il largo. Terrorizzati dalla prospettiva di perdere un vecchio ancoraggio ed essere costretti ad affrontare quelle “terre incognite” in cui lo stesso Draghi è stato costretto ad operare, come presidente della Bce.

Non bisogna cadere nelle illusioni dei primi commenti “laudator” in cui più o meno tutti i leader si sono cimentati. Di fronte alla serietà di un intervento, come quello del presidente del Consiglio, non si poteva fare diversamente, salvo cadere nel ghetto dell’auto esclusione. Un po’ il rischio che Giorgia Meloni ha voluto correre, nella scelta di un posizionamento parlamentare, in grado di dare voce a tutti coloro che non ci stanno.

Si vedrà nel proseguo se questa sarà stata la scelta più giusta. Quando, negli anni Settanta, vi fu l’esperimento della “solidarietà nazionale, il grande abbraccio tra il Pci e la Dc, fu Marco Pannella a sparare contro la “grande ammucchiata” che riteneva ingiustificata, nonostante gravasse su tutti la tragica atmosfera del terrorismo e delle Br. I radicali rimasero, comunque, una piccola forza. Non avevano l’ambizione di trasformarsi in qualcosa di diverso.

L’esatto contrario di quanto spera Matteo Renzi. La sua piccola pattuglia di parlamentari ha scatenato nelle settimane passate il putiferio. E fatto da levatrice all’esperimento Draghi. Non sorprende, quindi, che oggi sia tutto un giubilo di fronte ai risultati di quell’esperimento. Da cui trarre la convinzione a continuare. Guardando, fin da ora, a quel nuovo mondo che lo stesso Draghi ha indicato come inevitabile.

Dalle forze maggiori dello schieramento parlamentare, invece, si è scelto l’arroccamento. Ha iniziato il Pd, annunciando la costituzione di un intergruppo insieme ai 5 Stelle e Leu. Una maggioranza nella maggioranza, per far pesare di più la sinistra. Mentre i 5 Stelle perdono pezzi. La continuazione, sotto altra veste, del Conte II. Dimentichi che in questo caso, come avrebbe dovuto insegnare la storia del capitalismo italiano, i voti non si contano, ma si pesano. Tirare per la giacca il presidente del Consiglio non sarà facile, se non si avranno le giuste munizioni. Proposte all’altezza della crisi che il Paese sta vivendo. Quel che é appunto mancato nel precedente governo.

E la Lega? La mossa del Pd ha costretto lo stesso Salvini a valutare la contromossa proposta da Giorgia Meloni: quella federazione del centrodestra, più volte annunciata e mai venuta alla luce, in forma organica. Oggi ancora più difficile, data la diversa collocazione delle singole componenti. Non se ne farà nulla, anche perché manca un reale incentivo. Il pasticcio della riduzione del numero dei parlamentari, non accompagnato da alcuna riforma, rende quanto mai incerto il futuro panorama elettorale. Sarà un ritorno al proporzionale? Vi sarà una qualche correzione in senso maggioritario? Chi può dirlo? Nel frattempo inutile sperimentare nuove formule organizzative. Destinate a lasciare il tempo che trovano.

Su una cosa invece è importante che la Lega acceleri. La sua posizione nei confronti dell’Europa. I passi in avanti in questa direzione sono stati, per molti versi, sorprendenti. Ma ancora insufficienti. È necessario un supplemento di elaborazione. Non per trovarsi sulla sponda puramente celebrativa del Pd, che lascia intravedere una scarsa considerazione degli interessi nazionali. Non una novità, considerati i trascorsi del ‘900. Ma per dare sostanza a quella difesa, pur nel quadro di una sovranità inevitabilmente traslata.

L’euro non sarà eterno, come dice Matteo Salvini, ma esiste ed esisterà, salvo non augurabili disastri, in un orizzonte temporale dato. Con il quale la stessa politica italiana dovrà fare i conti. Far solo balenare l’idea di un possibile ritorno ad un vecchio conio, vagheggiando ritorni alla realtà italiana degli anni ‘70, prima del divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, è solo un esercizio fantasioso. Che ha, tuttavia, un costo: la credibilità di un intero gruppo dirigente.

Queste, quindi, le contraddizioni di una fase in divenire. In cui è tuttavia evidente l’imperativo del momento. “Oggi, l’unità non è un’opzione, – ha ricordato Mario Draghi, concludendo il suo discorso – l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia”.

Prevarrà rispetto alle vecchie schermaglie del tempo che fu? Questa è la vera posta in gioco. Quel sentiment ha già fatto breccia nel cuore e nella testa di gran parte dell’elettorato italiano. Che le forze politiche presenti in Parlamento lo tengano nel debito conto.


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