Quindici espulsi, e ci sono big come Nicola Morra o Barbara Lezzi. Vito Crimi sceglie la linea dura e saluta un pezzo di Movimento Cinque Stelle dopo il no alla fiducia a Draghi. Può nascere un nuovo gruppo parlamentare?
“I 15 senatori che hanno votato no alla fiducia saranno espulsi”. L’ancora capo politico del M5s, in attesa di comprendere come evolverà la governance pentastellata dopo il voto sullo statuto e l’introduzione del Direttorio al vertice, annuncia quello che già si sapeva da ieri sera: via i dissidenti che hanno detto no a Draghi (solo multa pesante per gli assenti, per ora), stessa cosa accadrà oggi dopo il voto alla Camera, dove si conteggiano già una decina di no di futuri ex 5S.
Ed è quindi, di fatto, sancita una scissione, con i nomi al Senato di Rosa Abate, Luisa Angrisani, Margherita Corrado, Mattia Crucioli, Fabio Di Micco, Silvana Giannuzzi, Bianca Laura Granato, Virginia La Mura, Elio Lannutti, ovviamente Barbara Lezzi, ex ministra del Conte 1, Matteo Mantero, Cataldo Mininno, Vilma Moronese, il presidente della commissione antimafia Nicola Morra, Fabrizio Ortis.
Poi ci sono gli assenti, i multati, come dicevamo, per ora: Giuseppe Auddino, Elena Botto, Antonella Campagna, Emanuele Dessì, Vincenzo Garruti e Simona Nunzia Nocerino. Ma la pattuglia dei separatisti prima grillini (o rimasti al Grillo dei Vaffa), si può arricchire ovviamente anche dei già fuoriusciti senatori Gianluigi Paragone, Mario Giarrusso, Carlo Martelli e Alfonso Ciampolillo, Paola Nugnes e Elena Fattori.
Un pattuglione diasporizzato che sul no a Draghi potrebbe costruire una nuova unità antisistema, e perchè no un nuovo gruppo parlamentare. Nuove opposizioni nascono, non c’è solo Fratelli d’Italia. Ma soprattutto si assiste ogni giorno di più alla trasformazione fisiologica del MoVimento in Partito, alla terza esperienza di maggioranza consecutiva. Operazione che, almeno sul piano degli attuali numeri in Parlamento, lascia qualche fastidioso strascico ma è chiaramente riuscita senza troppe ferite.
È la storia, d’altronde, di tutti i movimenti, prima o poi devono fare i conti con la RealPolitik. Pagando, spesso anzi spessissimo, anzi quasi sempre, un successivo altissimo prezzo elettorale. Ma per quello c’è ancora tempo, intanto c’è magari da far crescere l’intergruppo con Pd e LeU. Tutta un’altra storia.