L’Europa può avere un ruolo nella ricomposizione della sicurezza nel Golfo Persico? Secondo un policy paper redatto per l’Ecfr dall’esperta della regione Cinzia Bianco, la risposta è sì: l’Ue e i Paesi europei insieme possono costruire ponti tra le monarchie sunnite e la Repubblica islamica di Iran
Il direttore politico dell’European External Action Service (Eeas), Enrique Mora, tra i vari contatti tenuti recentemente sul dossier nucleare iraniano, ha avuto conversazioni con il Kuwait. Mora è colui che ha lanciato l’invito a Teheran e Washington per un “incontro informale” a cui entrambi i Paesi hanno accettato di partecipare (si vedrà come far coincidere le agende poi). Il Kuwait, senza esporsi eccessivamente, ha più volte sottolineato la necessità di creare un dialogo per la sicurezza generale nel Golfo anche pensando alla propria minoranza sciita e soprattutto alla stabilità dell’Iraq confinante – paese diventato più volte valvola di sfogo delle tensioni Iran-Usa.
Anche il Qatar si è esposto pubblicamente sulla volontà di mediare con l’Iran, sia per conto degli Stati Uniti che per il Golfo. Meno ha fatto finora l’Oman, scottato dal ruolo chiave giocato nella costruzione dell’accordo Jcpoa del 2015 e dalle reazioni avverse di emirati e sauditi. Qatar, Kuwait e Oman sostengono comunque in toto l’accordo, perché lo ritengono un modo per abbassare le tensioni nella regione e si sentono vittime dello scenario negativo che si è (ri)costruito negli ultimi due anni dopo l’uscita americana dall’intesa, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti hanno invece una posizione più ostica, spiega Cinzia Bianco, esperta di Golfo dell’Ecfr.
“I sauditi si sentono abbandonati, perché vedono una incompatibilità di fondo tra loro e gli Stati Uniti e le prime mosse dell’amministrazione Biden, dallo stop al sostegno in Yemen e la revisione dei ribelli yemeniti Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche, alla volontà Usa di rientrare nel Jcpoa, supportano questa sensazione”, spiega Bianco a Formiche.net.
In un policy paper per l’Ecfr che sta facendo il giro di Parlamento europeo, Eeas e diverse cancellerie europee (è già stato presentato in Olanda, Germania e Italia), Bianco ha indicato negli europei E3 (Francia, Regno Unito e Germania, parti negoziali dirette del Jcpoa) e nell’Unione europea gli attori in grado di facilitare un dialogo tra Iran e monarchie del Golfo, questo perché – spiega Bianco – gli Stati Uniti non possono giocare questo ruolo di mediazione essendo troppo coinvolti e impegnati direttamente a rientrare nell’accordo.
“Il problema nello spingere per la ricomposizione dell’intesa Jcpoa tout court da parte di Usa e Ue è che così non si ascoltano sauditi ed emiratini: per loro non c’è solo il nucleare, ma l’influenza geopolitica che l’Iran ha rafforzato nella regione”, spiega Bianco: “Temono che dopo l’accordo Teheran potrebbe sfruttare l’abolizione delle sanzioni per allargare la propria sfera d’influenza”.
Secondo l’esperta dell’Ecfr non basta inquadrare tutto questo nei cosiddetti follow-up talks, perché Riad (e Abu Dhabi) temono che certe questioni possano finire dimenticate o che dopo l’accordo Stati Uniti e Unione europea finiscano per perdere leve negoziali su faccende complesse come la guerra in Yemen, la stabilità dell’Iraq, le milizie sciite che i Pasdaran controllano nella regione mediorientale.
“Per scongiurare un sabotaggio da parte delle potenze regionali sui nuovi passaggi dell’accordo con l’Iran – continua Bianco – occorre mettere in moto meccanismi su certi temi già da adesso, e per farlo occorre che siano gli europei gli interlocutori e non Cina e Russia che hanno interessi diversi che rischiano di creare condizioni caotiche”.
La Francia ha già provato a intestarsi un ruolo chiave giocando azioni più proattive, offrendo per esempio a Riad e Abu Dhabi (e a Tel Aviv, che ha già declinato) l’offerta di partecipare ai negoziati. Ricorda Bianco che in questo caso il problema “è che Parigi non dovrebbe muoversi da sola, ma coordinarsi per non perdere peso e non sembrare interessata ad azioni personali: un esempio attivo è la missione Emasoh (pensata nel 2018 per la sicurezza dello Stretto di Hormuz dopo diversi attacchi da parte dei Pasdaran e dei gruppi regionali collegati contro le petroliere a seguito dell’uscita unilaterale statunitense dal Jcpoa, ndr)”.
“Per essere degli interlocutori attivi nel Golfo – spiega Bianco – bisogna essere degli attori della sicurezza regionale: Emasoh per esempio andrebbe implementata e potrebbe trovarvi maggiore spazio e coinvolgimento anche l’Italia, che già partecipa dal punto di vista diplomatico, aumentando il proprio ruolo potrebbe dare un messaggio di ulteriore neutralità alla missione”.
Come con le navi lungo Hormuz, secondo l’esperta “adesso è imprescindibile chiedere all’Iran di interrompere qualsiasi rapporto di finanziamento militare con gli Houthi, perché i sauditi, più volte colpiti dai ribelli yemeniti, non possono sedersi a un tavolo con gli iraniani se sanno che hanno una loro pistola puntata alla testa”. Nel paper dell’Ecfr, Bianco sottolinea che questo è il punto di partenza da cui gli europei dovrebbero iniziare a dare le carte tra Golfo e Iran.