La vicenda dei vaccini non è il primo caso in cui la Commissione ha perso punti. Generalmente ogni volta che ci siano degli standard tecnici da accreditare la Commissione ha delle difficoltà di negoziazione. Questo, e tanto altro, ha alimentato sentimenti anti europei alla base dell’onda sovranista che ha travolto l’Europa
A sentire i media italiani si potrebbe dire che, da paria della Ue, dove fino a pochi giorni fa eravamo additati come spendaccioni e inaffidabili, in occasione del recente Consiglio Ue siamo diventati dei fustigatori della Ue e in particolare della Commissione. Sembra, infatti, che il presidente Draghi abbia pungolato energicamente la Commissione sulla problematica dei vaccini.
L’euroscetticismo di molti sovranisti italiani sembra essersi tramutato in una sorta di euroentusiasmo. Cerchiamo di capire come stanno realmente le cose, cerchiamo di vedere quali potrebbero essere le motivazioni dietro a questi repentini mutamenti di atteggiamenti. Cerchiamo di fornire una mappa della situazione nella speranza di aiutare i nostri operatori ad orientarsi.
Al di là dell’atteggiamento profondamente a favore delle istituzioni europee che ha caratterizzato l’Italia a partire dalla fine degli anni ‘80 (prima di questo periodo non tutta l’Italia era a favore dell’Europa visto che il Pci era molto sospettoso della Cee che vedeva come un antagonista del blocco comunista), i rapporti tra le istituzioni italiane e quelle europee non sono mai stati facili. Siamo stati cronicamente in ritardo nel recepimento delle direttive e nella applicazione dei regolamenti Ue. Non siamo mai riusciti a spendere più del 30% dei fondi strutturali che ci sarebbero spettati. La Corte del Lussemburgo ci ha spesso fatto le bucce mettendo a nudo le nostre carenze istituzionali.
Cosa ancora più grave, anche se generalmente non percepita dai media, abbiamo sempre avuto della costruzione europea un’idea errata: la abbiamo sempre percepita come una sorta di zio Sam di seconda generazione dalla cui benevolenza ci si aspettavano miracolose risorse finanziare che, però, ci venivano erogate con il contagocce e con pretese di rendicontazione che abbiamo sempre considerate assurde, anche se meno fiscali di quelle richieste dalla agenzia delle entrate alle nostre imprese.
Qui va segnalata una prima grande distorsione di prospettiva: la Ue non è mai stata una fonte significativa di risorse finanziare! Basti pensare che il bilancio annuale della Ue a 27 si aggira sui 150 miliardi di euro mentre solo il bilancio italiano supera gli 800 miliardi di euro. Anche il Next Generation Eu ha bisogno di essere smitizzato. Ma la più grande distorsione di prospettiva consiste nella diversa percezione del rapporto tra politica e amministrazione: il processo decisionale nella Ue (in linea con la cultura nordeuropea) vede un ruolo marcato della tecnostruttura amministrativa laddove in Italia è il livello politico a guidare le danze. Questa sfasatura fa sì che l’Italia risulti cronicamente assente non giustificata negli snodi dove si matura la legislazione Ue.
Le difficoltà di convivenza non dipendono solo da noi. Anche la Ue ha i suoi peccati cui dovrebbe porre rimedio. La architettura della Ue ha bisogno di essere aggiornata ancora una volta (dopo l’atto unico di Milano, il trattato di Maastricht, quello di Amsterdam, quello di Nizza e quello di Lisbona). Qui mi voglio soffermare sulla necessità di fare un tagliando al ruolo della Commissione, attorno alla quale gira tutto il processo decisionale Ue.
La Commissione gioca un ruolo istituzionalmente sfuggente, difficile da inquadrare. È l’unico attore che può iniziare una procedura legislativa ma non ha agganci reali con i cittadini europei (la Commissione non è approvata dal Parlamento che ne approva solo i singoli Commissari). I tentativi della Commissione di crearsi un ponte con la società civile hanno sortito solo il meccanismo delle consultazioni (molte delle quali on line). La Commissione è il risultato delle negoziazioni tra gli Stati Membri. Ma a questi non risponde una volta entrata in carica. Una volta insediata diviene in qualche modo schiava del suo ruolo di “guardiana dei trattati”, del ruolo di fare le pulci agli Stati Membri per assicurarsi che rispettino il quadro normativo europeo.
La Commissione (che fino al trattato di Lisbona aveva una personalità giuridica che la rendeva in grado di operare a livello internazionale mentre la Ue ne era priva) è strettamente coerente con le funzioni di una agenzia di integrazione quale era la Comunità europea, promossa a suo tempo dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. La Commissione (e le risorse umane che la popolano) è tradizionalmente abituata a percepirsi come al di sopra degli Stati Membri, forse in maniera anche autoreferenziale. Penso di poter testimoniare che questo atteggiamento non è uniforme nei funzionari provenienti dai vari Stati Membri. I funzionari francesi e tedeschi della Commissione non si sono mai percepiti come “superiori” rispetto ai loro colleghi delle rispettive amministrazioni nazionali. I funzionari italiani e spagnoli si sono a lungo percepiti (forse a ragione) un gradino al di sopra dei colleghi delle amministrazioni nazionali italiane e spagnole.
Questi stili comportamentali si intrecciano in maniera pericolosa con l’atteggiamento delle burocrazie di alcuni Stati Membri (tra queste la burocrazia italiana) che sono abituate ad un atteggiamento passivo, nei confronti della politica. Ne consegue che il rapporto tra funzionari della Commissione e funzionari di questi Stati Membri non è sempre privo di tensioni.
Tre sono le conseguenze di questa situazione.
Da una parte la Commissione (che, ad ogni buon conto è il braccio operativo della Ue) non è abile a comunicare, essendo piuttosto abile a fare le pulci agli Stati Membri. Buona parte del’euroscetticismo dei sovranisti è dovuto al fatto che la Commissione non sa comunicare quello che fa, non riesce a far capire ai cittadini europei quanto sia importante il ruolo della Ue nel garantire a tutti i cittadini europei lo standard di vita più alto al mondo, al punto che oggi un passaporto di uno Stato Membro della Ue è ricercato più di una carta verde Usa.
In secondo luogo la Commissione (le risorse umane che le danno vita) non è abituata a trovarsi ad agire in situazioni di parità e/o di concorrenza con altri attori. La Commissione è caratterizzata dalla cultura del guardiano dei trattati, cultura propria di una agenzia di integrazione. Con un simile retaggio si trova a disagio a doversi misurare con gli squali (altri stati ma anche colossi privati) che popolano lo scenario internazionale. La vicenda dei vaccini non è il primo caso in cui la Commissione ha perso punti. Generalmente ogni volta che ci siano degli standard tecnici da accreditare la Commissione ha delle difficoltà di negoziazione.
Tutto questo si rispecchia in una terza caratteristica: il ruolo degli Esperti Nazionali Distaccati (END). Il rapporto tra le amministrazioni nazionali e la tecnostruttura della Commissione (e delle sue agenzie ed authorities) viene facilitato dal fatto che è possibile per gli Stati Membri collocare in certe nicchie significative dei propri funzionari nazionali distaccati. Qui va notato che mentre Francia, Germania e Paesi Scandinavi sono molto presenti con i loro END, le amministrazioni italiane sono restie a distaccare dei propri funzionari a Bruxelles.
Il problema della necessità di adeguamento dell’architettura della Ue ai mutati scenari riguarda in grande misura la necessità di cambiare il ruolo e la cultura della Commissione. L’Italia potrebbe giocare un ruolo di primo piano in questo settore potendo far leva sul prestigio del suo capo del governo e sulla competenza dei suoi ricercatori.