Una buona notizia per il fronte occidentale. La tregua fra Ue e Usa sui dazi si allargherà ad altri comparti e volta pagina. Biden con un solo accordo fa due vittime illustri: Cina e America First. Ed è solo l’inizio. L’analisi di Gianfranco Polillo
Buone nuove sul fronte occidentale. Al momento si tratta solo di una tregua di quattro mesi: sufficiente, tuttavia, per invertire la corsa del pendolo tra Stati Uniti ed Europa, mettendo pace tra le due sponde dell’Atlantico.
L’accordo appena realizzato tra il Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen e quello americano Joe Biden prevede la sospensione dei dazi che erano stati posti sulle esportazioni di entrambi.
Colpa: un contenzioso che durava fin dal 2004, quando era iniziato il contenzioso legale tra la Boeing e l’Airbus. La prima causa era stata intentata da Harry Stonecipher, numero uno di Boeing. In discussione gli aiuti di stato concessi da Francia e Spagna a favore di Airbus. La replica degli Europei non si era fatta attendere. Questa volta l’accusa era rivolta contro Boeing, per le stesse identiche ragioni.
Entrambe le cause si era chiuse, nel 2019, con un verdetto salomonico del WTO (Word Trade Organization) che condannava entrambi. Autorizzava gli Stati Uniti a colpire le esportazioni europee con dazi fino ad un valore di 7,5 miliardi di dollari, contro una richiesta di 25. E l’Europa a fare altrettanto seppure con uno sconto: solo 4 miliardi di dazi contro i 7,5 già concessi a favore degli americani.
Oggi, grazie anche allo zampino del Covid – 19, che ha messo in ginocchio entrambe le economie, il contenzioso si azzera definitivamente. Facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti i Paesi interessati: compresi la Gran Bretagna. Le nuove regole con la sospensione dei dazi, infatti, sono state estese anche al regno di Sua maestà britannica con un atto separato. Necessario dopo la Brexit.
I dazi americani erano stati applicati dalla fine del 2019, con una tariffa pari al 25 per cento su aerei e componenti, prodotti alimentari, alcolici e beni di lusso. L’Europa aveva replicato subito dopo, nei limiti detti in precedenza. Ma Donald Trump non aveva gradito ed esteso ulteriormente la platea dei prodotti, colpendo con nuovi dazi. Un gesto di prepotenza, a ben vedere, considerato che la decisione europea non era stata una ritorsione, ma semplice applicazione della sentenza del WTO. Ma il carattere del 45° Presidente americano era quello che tutti hanno imparato a conoscere.
Grazie a Biden, comunque, si comincia a cambiare registro. Gli slogan dell’ “America first” sono progressivamente messi in naftalina. Riprende un dialogo che, in precedenza, sembrava impossibile. Anche perché le ragioni in precedenza addotte da Donald risultavano, il più delle volte, prive di qualsiasi fondamento.
Si poteva capire la sua critica radicale nei confronti di una globalizzazione malata. Ma quel fenomeno non era stato il prodotto di un anonimo destino, bensì il frutto di precise strategie economiche e finanziarie di cui l’establishment americano era stato il principale intestatario. Quindi se qualcuno doveva pagare era, soprattutto, all’interno che l’Amministrazione si doveva volgere lo sguardo.
Eliminata questa cortina fumogena, si torna a ragionare. Stando alle intese, Washington e Bruxelles si impegnano ad elaborare regole comuni sul sostegno pubblico ai vari settori produttivi, iniziando proprio dall’aeronautica, per poi giungere alla messa al bando delle regole distorsive.
Norme che non varranno solo per i rapporti tra i due ritrovati alleati, ma che avranno una portata di carattere più generale, destinata a coinvolgere quel convitato di pietra, che risponde al nome della Cina popolare.
In attesa di conoscere i relativi frutti, l’intesa è comunque destinata ad estendersi anche ad altri comparti produttivi. C’è ancora da rimediare ai dazi voluti da Trump per altri 6,4 miliardi di dollari (acciaio e alluminio) e le contromisure europee per 2,8 miliardi, contro la produzione americana. Ma come dice un vecchio detto popolare: chi ben comincia è alla metà dell’opera.
Che cos’è che ha spinto Stati Uniti ed Europa a trovare un’intesa, al di là della diversa personalità del nuovo Presidente americano. Che del resto si è subito manifestata nel proposito di sottoscrivere gli accordi di Parigi sul clima, dopo il precedente rifiuto.
Altro pallino negativo nella testa di Donald. E sulla possibile ricerca di strategie comuni contro il Covid, nonché sulla necessità di garantire “il buon funzionamento delle catene degli approvvigionamenti globali”. Si accennava, quasi per inciso, alla presenza della Cina. Che, invece, è tutt’altro che marginale. Seppure con lentezza, infatti, l’Occidente sta scoprendo il pericolo di una sua crescente marginalizzazione proprio a favore dei figli dell’ex Celeste impero.
La pandemia sta accelerando questo processo. A cominciare dai danni che il Covid – 19 ha determinato. Ancora oggi i decessi in Cina risultano essere, secondo le valutazioni della Johns Hopkins University, pari a soli 4.837 casi. In Italia 99.271.
La percentuale su 100 mila abitanti: 0,35. In Italia: 164.27. Insomma: dove tutto è cominciato, da tempo sarebbe già completamente finito. Probabilmente tutto questo non sarà vero. Le cifre saranno state taroccate. Come fuorvianti erano state le informazioni, fin dall’epoca del paziente zero. Ma tutto ciò è solo un drammatico aggravante. Le tesi di Luc Montagnier, dell’Istituto Pasteur di Parigi, che ipotizza un virus costruito in laboratorio saranno anche eccessive, ma tutto il contorno dell’intera vicenda non rende certo tranquilli.
Si può solo aggiungere che nel 2020 la Cina è l’unica grande area del Mondo che può vantare un tasso di crescita positivo: pari all’1,9 per cento, secondo le valutazioni del FMI. Mentre l’Unione Europea dovrà vedersela con un crollo del 7,6 per cento e gli stessi Stati Uniti del 4,3. Fossato destinato a rimanere tale anche per l’anno successivo. Indubbiamente una prospettiva poco rassicurante.
Che giustifica ampiamente la necessità per l’Occidente di voltare pagina e cambiare passo, per evitare che questa sorta di “coesistenza pacifica 2.0”, a differenza della prima, si traduca nel trionfo del dispotismo contro le regole della democrazia parlamentare. Come il caso Hong Kong è lì, ancora una volta, a dimostrare.