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Da Roma a Baghdad, così Fratelli Tutti prende vita. Parla Tonelli (Fbk)

Il documento di Abu Dhabi e l’enciclica Fratelli Tutti prendono vita nel viaggio epocale di papa Francesco in Iraq, spiega Debora Tonelli, ricercatrice della Fondazione Bruno Kessler. L’Islam radicale? Il papa conosce i rischi, ma vuole evitare una frattura

Inutile affannarsi a capire il senso di un viaggio epocale come quello di papa Francesco in Iraq con una lettura “terrena”, esclusivamente politica. È l’autorità morale e spirituale del pontefice che ha permesso la buona riuscita di una missione che a molti pareva un azzardo, finanche uno sbaglio. “Se avesse dovuto soppesare uno ad uno tutti i pericoli potenziali in una logica umana questa visita non avrebbe avuto la stessa portata profetica”, commenta con Formiche.net Debora Tonelli, ricercatrice del Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler.

Certo, non si può ridurre la trasvolata del papa in Medio Oriente a vuoto irenismo. È stata una visita studiata e preparata nei dettagli, con un’agenda politica chiara, gli interlocutori e le parole mai casuali. La dura condanna della barbarie e del terrorismo pronunciata tra Ur e la Piana di Ninive, ha scritto sul Foglio Matteo Matzuzzi, non era prevista dal protocollo diplomatico. E l’incontro intenso con il Grande ayatollah sciita Al Sistani a Najaf, le parole di elogio che Francesco gli ha riservato, sono un preciso passo per delegittimare il fondamentalismo islamico, prendere le distanze dalla sua strumentalizzazione che porta al radicalismo, a Mosul come a Teheran.

“Io penso che questo viaggio possa essere letto da tante prospettive, per la diversità degli interlocutori, politici, religiosi, comunità locali – spiega Tonelli – ma è ancora presto per tracciare un bilancio. Come ha detto il papa, questa visita è il filo che si tesse  per comporre la trama di un tappeto. La trama completa richiederà tempo e colori diversi”. E forse, se vi saranno le condizioni, un’altra visita apostolica in Medio Oriente. Magari in Libano, ha annuciato papa Francesco sulla via di ritorno, “ho fatto la promessa di fare un viaggio lì”.

È una visita che lascerà il segno. Sulla comunità cristiana, che spera di trovare finalmente tutela dopo i massacri per mano dei jihadisti, ma anche una legittimazione politica e civica che finora è stata inesistente. Sulla comunità islamica, con effetti imprevedibili. Al Sistani ha usato col misurino le parole, ha chiarito di parlare a nome degli sciiti iracheni. Sa che l’altro volto della famiglia sciita, come quello che ha sposato la deriva khomenista in Iran, non digerirà di buon grado l’apertura ai cristiani.

“L’Ayatollah Al Sistani ha ancora un notevole potere politico oltre che morale nella regione – nota Tonelli – credo che abbia ponderato le conseguenze della sua apertura nei confronti della Chiesa, non avrebbe ricevuto il pontefice con tanto onore e considerazione, aprendo a una sua visita nei luoghi d’origine  delle tradizioni monoteiste”. Papa Francesco, da parte sua, ha “volutamente evitato di provocare una frattura nella comunità islamica”, sostiene l’esperta. “Non si potranno evitare del tutto tensioni, ma l’apertura al dialogo del Papa  è stata una scelta consapevole”.

I discorsi iracheni di Francesco, continua Tonelli, devono essere letti alla luce dei documenti che hanno preparato il terreno per la visita. Il documento di Abu Dhabi, l’Enciclica Fratelli Tutti. “All’origine di un viaggio difficile sotto ogni punto di vista e per nulla scontato, c’è una visione profetica della fratellanza, di come va messa in atto. L’enciclica Fratres Omnes è davvero dirompente: essa restituisce la responsabilità di scelta all’individuo, chiarisce che l’indifferenza non è un modo per smarcarsi dalla responsabilità, offre strumenti di riflessione e criteri di discernimento. Francesco in Iraq ha preso quelle parole e le ha messe in atto”.

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