Sorprendenti le dichiarazioni del capo economista, Laurence Boone, quando afferma che le priorità elencate dal nuovo governo sono esattamente quello che abbiamo raccomandato all’Italia per anni. Gianfranco Polillo spiega i margini del possibile errore
Che il sentiment nei confronti dell’Italia stesse cambiando, si era visto da tempo. Già nei giorni successivi alla nascita del governo Draghi. Quell’apertura di credito che nasceva, sui mercati internazionali e nella politica, dalla conoscenza della qualità del personaggio. Dalla garanzia che egli aveva offerto dopo i lunghi anni in cui era stato visto all’opera negli incarichi più diversi: dal direttore generale del Tesoro italiano, fino alla Presidenza della Bce.
Incarico quest’ultimo svolto con un piglio di cui tutto si può dire, meno che sia stato segnato dal rispetto dell’ortodossia dominante e dalla voglia di tirare a campare.
Ed ecco allora, a distanza di pochi giorni, un doppio riconoscimento. Ursula Von Der Leyen che accoglie la proposta italiana di congelare le esportazioni dei vaccini prodotti da quelle industrie, che non hanno rispettato gli impegni contrattuali, per la consegna.
In un’epoca diversa grida di lesa maestà della sovranità del mercato. Come se disattendere gli impegni presi fosse una buona regola di condotta. Oggi, invece, atto necessario per far emergere il peso della sovranità popolare, che si riflette nel comportamento delle istituzioni. Quindi, secondo elemento, le nuove previsioni dell’Ocse.
Sorprendenti, soprattutto, le dichiarazioni del suo capo economista, Laurence Boone: le priorità elencate dal nuovo governo Draghi in Italia – vaccinazioni, Recovery Plan, digitalizzazione e transizione verde – “sono esattamente quello che abbiamo raccomandato all’Italia per anni”. A voler essere pignoli, il copyright di quelle scelte appartiene ad altri. È stata infatti la Commissione europea a porle come base della Next generation Ue. Lo diciamo senza voler nulla togliere all’attuale governo, la cui rinnovata credibilità la fa da padrone.
Solo qualche settimana fa, dominavano le preoccupazioni. Ed era stato Paolo Gentiloni a farsene interprete sollecitando l’Italia ad accelerare. Fuoco amico? Tutt’altro: anticipare per evitare interventi più pesanti da parte di quei Paesi che erano stati costretti a subire la decisione del Recovery Fund, ma che covavano rivincite. Preoccupazioni eccessive? Il Ministro dell’economia, nella sua audizione presso il Senato, ha fatto presente che i programmi già impostati dal Precedente Governo “cubano”, come si dice in gergo, per circa 65 miliardi, pari al 34 per cento della somma spendibile (191,5 miliardi) quando mancano poco più di 50 giorni alla deadline per la presentazione dei progetti in Commissione europea. Bisognerà, quindi, correre.
L’Ocse è stata anche una delle prime grandi Istituzioni internazionali ad aggiornare le previsioni per i prossimi anni. La stessa Commissione europea, lo scorso 21 febbraio, aveva effettuato alcuni tentativi, ma essi si erano limitati solo alla zona europea. Da questo punto di vista i risultati collimano. Per l’Eurozona, la previsione è che dopo una caduta complessiva del Pil, pari al 6,8 per cento, si abbia una crescita del 3,9 (Ocse), 3,8 (Commissione) per il 2021 e del 3,8 per l’anno successivo. L’Italia, invece, dal confronto ci guadagna. Le stime Ocse sono sistematicamente più ottimistiche, sebbene esse siano state rivisti al ribasso, almeno per quest’anno, rispetto alle precedenti previsioni.
L’Italia dovrebbe quindi crescere del 4,1 per cento nel 2021 (0,2 punti in meno rispetto alla previsione di dicembre), ma di ben 0,7 punti in più rispetto ai dati della Commissione europea, che si era fermata al 3,4 per cento. Mentre le previsioni per l’anno successivo sono del 4 per cento (0,9 per cento in più rispetto a dicembre) contro il 3,5 per cento della Commissione.
Quali sono i margini del possibile errore? Il primo deriva dagli sviluppi della pandemia. Certamente la disponibilità del vaccino induce all’ottimismo. Ma le difficoltà nell’approvvigionamento e la complessità della logistica non lasciano tranquilli. Com’è noto la situazione varia da Paese a Paese e questo spiega perché le rettifiche non sono state uniforme. Vi sono Paesi, come l’Italia, oggettivamente, indietro. C’è poi da considerare il fattore tempo. Per il Bel Paese che deve tanto allo sviluppo del turismo e dei servizi, occorre fare presto per non bruciare interamente la prossima stagione. Il tutto senza considerare le variabili imponderabili di un virus che muta in continuazione. Circostanze che spiegano perché si tenda a prevedere migliori condizioni negli anni a venire, piuttosto che nell’immediato.
Unica eccezione, a quanto sembra, gli Stati Uniti. Spicca la revisione al rialzo di quell’economia: 3,3 punti percentuali in più sul recupero 2021 ora indicato al più 6,5%, di cui 3 punti vengono imputati ai nuovi stimoli all’economia, dopo un meno 3,5% nel 2020. Sul 2022, invece, la previsione è una crescita del 4%., con un più 0,5 per cento rispetto a quelle dello scorso dicembre. Questa differenza prospettica – l’anno in corso migliore di quello successivo – riflette i timori che si avvertono sui mercati internazionali. Finora l’amministrazione ha varato una manovra espansiva pari a 1,8 miliardi di dollari. Guinness dei primati, specie se si tiene conto degli stimoli precedenti: per un 1 altro miliardo.
Una manna per i mercati, in grado di trasformare gli animal’s spirits in tanti volatili. Ma, come insegna l’esperienza, in economia non esistono, purtroppo, pasti gratis. Ed ecco allora i primi segni di un’inflazione che cova sotto la cenere. Se i prezzi cominceranno a crescere, ma non è detto, la Fed sarà costretta ad intervenire per non superare la barriera del 2 per cento. Ed allora, come sempre è avvenuto, sarà un’altra musica. Purtroppo non solo per l’America di Joe Biden. La stessa Ocse ne è consapevole e quindi frena, per il futuro più immediato, i possibili entusiasmi.