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Chiudere l’Ilva sarebbe un danno enorme (allo Stato). Cosa farà il nuovo governo

Un danno irreparabile arrecato ad un bene tuttora pubblico, come la chiusura dell’Ilva a colpi di ordinanze del sindaco di Taranto, potrebbe indurre la Procura della Corte dei Conti ad intervenire contro coloro che determinassero quel danno. Federico Pirro, professore di Storia dell’industria all’Università di Bari, commenta la decisione del Consiglio di Stato sull’acciaieria

A parere dello scrivente deve apprezzarsi pienamente la sentenza con cui il Consiglio di Stato nell’udienza dell’11 marzo – accogliendo il ricorso di ArcelorMittal, Ilva in A.S. e Invitalia – ha sospeso quella del Tar di Lecce che, invece, aveva confermato un’ordinanza ‘contingibile ed urgente’ del Sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020, finalizzata ad imporre lo spegnimento dell’area a caldo del Siderurgico ionico, qualora il suo gestore non avesse rimosso entro trenta giorni le cause di ‘alcune criticità e anomalie ambientali’ denunciate dal primo cittadino e da lui ascritte all’esercizio della fabbrica.

Un apprezzamento convinto il nostro per le motivazioni addotte dai supremi giudici amministrativi che – riservandosi “un più approfondito scrutinio delle doglianze articolate delle parti” nella seduta del 13 maggio p.v. – hanno comunque ritenuto prevalente l’esigenza di evitare ‘evidenti profili di danno’ che, in caso di mancata emanazione della misura cautelare domandata, sarebbe derivato dallo spegnimento dell’area a caldo ‘probabilmente irreversibile’, entro i termini stabiliti dall’ordinanza sindacale, e di fatto assentiti dal Tar leccese che in primo grado aveva respinto il ricorso dell’azienda contro di essa.

Danni gravi e irreparabili all’area fusoria di quella che è tuttora la più grande acciaieria d’Europa a ciclo integrale, attualmente ancora posseduta dall’Ilva in Amministrazione straordinaria – e pertanto considerabile a tutti gli effetti un compendio impiantistico di proprietà pubblica, insieme a tutti gli altri siti del Gruppo Ilva – che è affidato in locazione (propedeutica all’acquisto) ad AMInvestco Italy, controllata da Arcelor MIttal, primo produttore di acciaio al mondo: AmInvestco Italy in cui, secondo gli accordi sottoscritti alla fine dello scorso anno, si accinge ad entrare, rilevandone il 50%, Invitalia, finanziaria controllata dallo Stato, che peraltro entro il 2022 dovrà salire al 60% del capitale della società che diventerà proprietaria del Gruppo Ilva.

E’ del tutto evidente, allora che il supremo organo della giustizia amministrativa accogliendo il ricorso del gestore, dell’attuale proprietario e del futuro partner pubblico abbia voluto tutelare l’integrità impiantistica di un bene tuttora pubblico, messa con tutta evidenza a repentaglio da un’ordinanza del Sindaco di Taranto che aveva imposto tempi ravvicinati fra la sua emanazione e l’obbligo imposto all’azienda, qualora essa non avesse ottemperato a quanto prescritto dal primo cittadino.

In realtà, ciò che sembra ignorare l’Amministrazione comunale del capoluogo ionico – ostinatamente protesa ormai da tempo ad imporre la dismissione dell’area a caldo del sito, posta sotto sequestro dalla Magistratura dal 26 luglio del 2012, ma abilitata alla facoltà d’uso da una legge approvata alla fine del 2012 – è proprio la persistente natura pubblica dello stabilimento tarantino che, con quelli di Genova e Novi ligure, costituisce il cespite fondamentale dell’Ilva in A.S., la cui vendita con il relativo ricavo dovrà peraltro ristorare i tanti creditori che si sono insinuati nello stato passivo della stessa Amministrazione straordinaria.

Ora, un danno irreparabile arrecato ad un bene tuttora pubblico – ma destinato ad essere venduto ad una società in cui peraltro un azionista pubblico assumerà dal 2022 il 60% del capitale, dopo averne rilevato nella fase d’ingresso già il 50%, potrebbe (presumibilmente) indurre la stessa Procura della Corte dei Conti ad intervenire contro coloro che determinassero quel danno. Se ne rende pienamente conto il Sindaco di Taranto il quale, a commento della sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato fra l’altro che “noi fermeremo l’area a caldo del Siderurgico con ogni mezzo possibile” ?

Ora la piena ambientalizzazione della grande fabbrica a tutela dell’ambiente, della salute di operai e cittadini e dell’occupazione degli addetti diretti e di quelli dell’indotto è un obiettivo prioritario su cui è impegnato anche il nuovo Governo, come ha sottolineato sin dal suo insediamento il Ministro Giorgetti. Il piano industriale posto alla base dell’accordo fra Invitalia e Arcelor muove passi significativi in quella direzione. 

Ma se lo si ritenesse del tutto insoddisfacente e si volesse riaprire il confronto pubblico su quel piano – come peraltro chiesto con insistenza anche dai Sindacati, almeno per i suoi risvolti occupazionali – bisognerebbe farlo, a nostro avviso, con assoluta competenza tecnica, con proposte tecnologicamente praticabili a breve medio termine, e con rigorose analisi dei costi degli investimenti necessari e della redditività prevedibile nell’esercizio di un sito le cui produzioni devono competere con agguerrite concorrenze.

Invece le chiassate demagogiche non hanno alcuna utilità e non servono al successo di una causa che pure è condivisibile.


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