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Lo scossone di Zingaretti ci ha portato Enrico. Parla Fassino

Il presidente della commissione Esteri della Camera, tra i fondatori del Pd, commenta il discorso del neo segretario. “Una prospettiva di pluralità e sguardo al futuro, partendo dalla necessità di tornare alle radici nella società”. Zingaretti? “Le sue dimissioni hanno portato lo shock. Poi è arrivato Enrico”

L’importanza di chiamarsi Enrico. Nella miriade di concetti, spunti, riflessioni, stilettate e stimoli che il discorso del neo segretario del Pd contiene, uno dei padri nobili della sinistra, Piero Fassino, non poteva che partire da qui. “Guidare il partito e chiamarsi Enrico è ancora più impegnativo. E io lo sento questo impegno”. Accanto a sé, sul leggio, oltre ai fogli, la borraccia rossa con la scritta ‘Bella Ciao’. A parlare è Enrico Letta. Sente il peso della responsabilità. Ha sciolto la riserva, ora deve traghettare il partito fuori dalla “china autoreferenziale” in cui era caduto. “Ho apprezzato molto il passaggio nel quale il nuovo segretario ha fatto riferimento a Berlinguer – riconosce Fassino – significa che Letta ha perfettamente compreso la complessità del Partito Democratico e che soprattutto ha in animo di valorizzare tutte le culture che lo costituiscono”.

L’ex ministro della Giustizia è un uomo politico navigato, figlio di una scuola plasmata sul buonsenso. Dunque, nel commentare il passaggio del discorso nel quale Letta fa riferimento alle coalizioni, non ha dubbi: “Qualsiasi persona di buonsenso sa che la politica ha bisogno di alleanze, specie in un Paese, l’Italia, nel quale esiste una pluralità di forze politiche che si aggregano formando i due blocchi di centrodestra e centrosinistra”. Dalle parole dell’ex Premier a detta di Fassino emerge “una sana ambizione di rifondare un campo progressista, con uno sguardo ampio”.

In questa ottica è evidente si parta dal “consolidare l’alleanza con il Movimento 5 Stelle e con Leu. Ma questo passaggio non va visto come punto di arrivo, bensì come il blocco di partenza per costruire un campo progressista e riformista più largo in grado di raccogliere un consenso maggioritario”. L’ambizione, si diceva. Letta stesso ha dichiarato di non aver “lasciato la vita precedente per guidarvi verso una sconfitta”. Al contrario “Certo, puntiamo a vincere nel 2023 e per raggiungere questo obiettivo il Partito democratico – incalza Fassino – deve essere in grado di cogliere le ansie e le speranze del Paese, di “respirare con la società”, di vivere in rapporto osmotico con le necessità che le persone reclamano”.

Insomma, se è vero che “non serve un nuovo segretario, ma un nuovo Pd”, il deputato dem aggiunge che “la nuova stagione si deve aprire alla prospettiva futura, rimettendo radici nella società”. Un po’ la dicotomia anima e cacciavite, più volte citata da Letta questa mattina, prima che venisse ufficializzata la sua elezione. Nel complesso, dice Fassino, “l’ho trovato un discorso alto, di visione, in grado di collocare l’Italia e il suo futuro con uno sguardo europeo e mondiale”. Un programma, quello che emerge dalle parole del nuovo segretario, “riformista, innovativo e inclusivo. Capace di tenere insieme modernità e solidarietà, innovazione e redistribuzione”.

L’incoronazione di un nuovo leader ispirato dall’idea che “occorre andare oltre le tante strozzature che pesano sul futuro dell’Italia”. E che quindi tracci la rotta per un partito che si muova verso “un’Italia più equa, capace di restituire certezze di lavoro, di reddito, di futuro dei figli”. Consapevole della ‘nobiltà’ del ruolo dell’opposizione, l’ex premier nel suo discorso ha lanciato un monito importante: il Pd non deve essere un partito del ‘potere’. “E’ giustissimo – afferma Fassino – non si deve la legittima volontà di governare non significa che si possono avanzare proposte e perseguirle solo se si hanno posizioni di potere. Il senso del discorso di Letta, su questo punto, è assolutamente condivisibile”.

Così come è condivisibile il fatto di voler tornare ad essere “un partito di continuità”. Ripartire dai territori. Sarà proprio su questo terreno, oltre che sull’europeismo che si consumerà la sfida a duello con il Carroccio, attuale partner del Governo Draghi. “Le parole di Letta metteranno alla prova la Lega – così il dem – e saranno la cartina al tornasole per capire se la svolta europeista della Lega sia reale oppure calcolo opportunistico”.

O Draghi, o Orban. Tertium non datur. D’altro canto “Salvini ha dichiarato di voler fondare, al parlamento europeo, un gruppo con Ungheresi e Polacchi: antieuropeisti per eccellenza”. Poche idee e ben confuse, pare di capire. Sul Governo Draghi però, la posta in gioco per il Pd è altissima. “Questo è un Esecutivo che esprime un programma in cui si ritrovano le nostre idee – dice l’ex segretario dei Democratici – se dovesse fallire, significherebbe il fallimento anche del Partito Democratico e delle sue battaglie”. La porta sbattuta, così vigorosamente, sulle coscienze dei dem da parte dell’ex segretario Zingaretti, secondo Fassino ha portato “uno scossone: e lo scossone ci ha consegnato Enrico”.

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