Nella scuola italiana c’è da anni un enorme problema di formazione che deriva dall’impreparazione di tanti insegnanti che danneggiano tutti quelli che invece danno l’anima per preparare al meglio i propri studenti. Migliorare la formazione dei professori e restituire loro l’orgoglio del ruolo potrà far sì che i giovani delle superiori possano acquisire anche una mentalità e una maturità diverse. E tra parecchi anni, si potrebbe cominciare a ragionare sul voto ai sedicenni. L’opinione di Stefano Vespa
Sono passati 46 anni da quell’8 marzo 1975 quando fu approvata la legge che abbassò la maggiore età da 21 a 18 anni anticipando dunque il diritto di voto e la possibilità di prendere la patente. Fu così che i diciottenni di metà anni Settanta andarono alle urne per la prima volta il 15 giugno successivo per il rinnovo dei consigli comunali, provinciali e regionali. Il riferimento storico è importante all’indomani della proposta di Enrico Letta, neosegretario del Partito democratico, di rilanciare la discussione per il voto ai sedicenni. Proposta che lui stesso ha definito divisiva e complicata e che, forse, è soprattutto sbagliata o almeno molto prematura.
È necessario azzardare dei paragoni tra generazioni ed epoche molto diverse per spiegarsi: naturalmente c’erano allora e ci sono oggi adolescenti brillanti che vincono il Certamen Ciceronianum e loro coetanei incapaci di articolare una frase in italiano corretto, ma chi è cresciuto negli anni Settanta aveva una maturità politica sconosciuta ai giovani di oggi. In quel decennio avvenne di tutto: dallo Statuto dei lavoratori all’istituzione delle Regioni (1970), dal compromesso storico di Enrico Berlinguer (1973) al referendum sul divorzio (1974), dalle stragi neofasciste al terrorismo rosso, dalla morte di Aldo Moro (1978) alle prime elezioni europee (1979). Fondamentale per gli studenti fu l’approvazione dei provvedimenti delegati sulla scuola (i famosi “decreti delegati”) che tra il 1973 e il 1974 introdussero gli organi interni, come il rappresentante di classe, che di fatto portarono la politica nelle scuole con tanto di liste studentesche che si contrapponevano nelle elezioni.
Erano anni caldi, nelle città di provincia poteva scapparci qualche rissa mentre nelle metropoli ci scappava il morto. Quando si andava in pizzeria non si parlava solo di sesso e sport, ma di politica, delle crisi di governo e ci si infiammava sul ruolo di socialdemocratici e repubblicani. Oggi, oltre a sesso e sport, l’attenzione è su Tik tok o Instagram, difficilmente si ragiona su Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle o sulla scissione di +Europa: mediamente, i diciottenni o ventenni di oggi considerano il loro mondo a forma di web, figuriamoci i sedicenni che difficilmente conoscono la differenza tra Camera e Senato, ed è giusto aggiungere che anche per i sedicenni degli anni Settanta sarebbe stato impossibile votare con cognizione di causa.
Nel rilanciare la sua proposta, Letta non ha rinunciato a un po’ di retorica sostenendo che “dobbiamo allargare il peso dei giovani nella società”. Cioè? Nel 1975 era in carica il quarto governo Moro, un bicolore Dc-Pri, e difficilmente abbassò la maggiore età pensando di lucrarne vantaggi elettorali visto che la gioventù ribelle era piuttosto proiettata a sinistra come dimostrarono le elezioni del 1975 e 1976. La scelta fu oculata e saggia per adeguarsi a una società che cambiava velocemente mentre oggi le parole di Letta lasciano pensare a una “captatio benevolentiae” nei confronti dei ragazzi.
È un altro passaggio del discorso del nuovo segretario all’assemblea del Pd che invece va colto pensando in prospettiva ai ragazzi, quello sugli insegnanti: “Noi dobbiamo lavorare per far tornare gli insegnanti a pensare che il loro è il mestiere più bello del mondo. Però deve essere il mestiere più bello del mondo non come lo stiamo gestendo, ma dobbiamo dare l’idea che sia il mestiere più bello anche per i giovani”. Ha aggiunto che questi saranno al centro della sua azione perché “non possiamo essere tra gli ultimi Paesi nell’Unione europea per i giovani che concludono l’università”.
Nella scuola italiana c’è da anni un enorme problema di formazione che deriva dall’impreparazione di tanti insegnanti che danneggiano tutti quelli che invece danno l’anima per preparare al meglio i propri studenti. Migliorare la formazione degli insegnanti, restituire loro l’orgoglio del ruolo, consentire di nuovo la bocciatura nelle scuole medie anziché essere costretti a mandare avanti gli ignoranti, fornire di ogni mezzo la scuola farebbe sì che nel tempo i giovani delle superiori possano acquisire anche una mentalità e una maturità diverse. In quel caso, forse, tra parecchi anni, si potrebbe cominciare a ragionare sul voto ai sedicenni. Oggi il voto nelle urne bisogna guadagnarselo diversamente.