Accuse incrociate alla Cina sulla situazione degli uiguri dello Xinjiang. Il Washington Post ha puntato il dito contro il sistema di limitazione del flusso di informazioni sulla regione, mentre Amnesty International ha pubblicato un report sulle famiglie uigure separate a forza e bambini costretti negli orfanotrofi. Tutto durante la calda giornata dell’incontro fra Usa e Cina in Alaska
Nel giorno dell’invettiva della Cina contro gli Usa e l’Occidente, in cui il diplomatico cinese Yang Jiechi ha usato parole molto dure, da più parti si torna ad accusare il Paese per la situazione degli uiguri dello Xinjiang.
L’accusa è quella che dal 2017 il governo dello Xinjiang ha condotto una vasta campagna di “rieducazione” politica contro gli uiguri, musulmani, e altri gruppi minoritari. Si stima che oltre un milione di persone siano detenute nei campi di lavoro e che numerose siano state trasferite in prigione.
Secondo il Washington Post il governo cinese ha limitato il flusso di informazioni nella regione proprio per il dibattito nel mondo occidentale intorno alla repressione della popolazione e di altre minoranze etniche.
Gli organi di propaganda cinese, sostiene il quotidiano, cercano di screditare le denunce che circolano con informazioni obsolete e vaghe.
Ma la censura e la poca trasparenza hanno da sempre ostacolato un dibattito chiaro sulla questione. Lo scorso anno, in concomitanza della pandemia da coronavirus, la Cina bloccò i confini e allontanò tutti i giornalisti stranieri che riportavano notizie sullo Xinjiang, cancellando anche le informazioni dai siti web in tutta la regione.
Secondo il Washington Post le notizie sono così scarse e poco chiare perché l’accusa di genocidio macchierebbe la figura del presidente Xi Jinping e avrebbe come conseguenza, oltre un ulteriore avvicinamento degli Stati Ue agli Stati Uniti, anche sanzioni economiche e boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino previste per il 2022.
La repressione di Pechino sulle informazioni ha reso difficile per i ricercatori dello Xinjiang dimostrare l’attuazione di torture e stupri nei campi di lavoro. La mancanza di chiarezza sta anche limitando l’azione degli attivisti per i diritti umani.
Ma proprio ieri Amnesty International ha pubblicato un report nel quale sostiene che la Cina ha separato con la forza le famiglie uigure, trasferendo i bambini piccoli negli orfanotrofi statali.
Amnesty riporta in questa inchiesta le testimonianze di genitori che hanno dovuto lasciare i bambini ai parenti in Cina quando sono stati costretti a lasciare il Paese.
L’organizzazione umanitaria cita casi di persone che sono andate per lavoro in Australia, in Turchia, in Olanda, in Canada e anche in Italia, con racconti di genitori che non possono più rientrare nel loro Paese, separati dai loro figli che non riescono a rivedere a causa delle decisioni unilaterali della Cina.
Il rapporto di Amnesty chiede al Paese di fornire pieno e illimitato accesso allo Xinjiang agli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite e per tutti i bambini detenuti, senza il consenso dei loro genitori, il ritorno alla famiglia.