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Marco Biagi nel ricordo del figlio Lorenzo: “Fu abbandonato dallo Stato”

A diciannove anni dalla morte, parla il figlio di Marco Biagi, giuslavorista assassinato dalle Brigate Rosse. “Il tema del Lavoro in Italia è molto delicato. Proprio per questo mio padre chiese di essere tutelato. Senza però essere ascoltato”

Quella di Marco Biagi è la storia di un uomo lasciato solo. Abbandonato dallo Stato per il quale “aveva profuso tutto l’impegno di una vita”. Il giuslavorista bolognese venne freddato da un commando delle ‘Nuove Brigate Rosse’. Diciannove anni fa, nella sua Bologna. Biagi, all’epoca, stava lavorando alla legge sul mercato del lavoro che poi, il Governo Berlusconi II, decise di promuovere. A suo nome.

Il figlio del giuslavorista, Lorenzo, all’epoca aveva 13 anni. E, da quando ha deciso di parlare, “perché la guardia non va bai abbassata”, ripete spesso che se le richieste del padre di riavere la scorta fossero state accolte, probabilmente, il 19 marzo 2002 nel pieno centro di una città felsinea avvolta dal torpore, le cose sarebbero andate diversamente. E invece, hanno avuto il sopravvento sangue e piombo. Quella di Marco Biagi è una storia drammatica, maturata all’ombra di parole con cui si è tentato di scriverne un’altra. Anche per questo “tramandare la memoria, per me, è un preciso dovere”.

Biagi, nel suo discorso commemorativo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha manifestato una grande vicinanza da parte delle istituzioni, e dello Stato alla sua famiglia e al ricordo di suo padre. Non sempre però le istituzioni furono dalla vostra parte.

No, mio padre fu abbandonato al suo destino, nonostante fosse un uomo delle istituzioni. Lo Stato, gli voltò le spalle proprio nel momento nel quale ce ne sarebbe stato più bisogno. Tanti furono gli appelli per far riavere la scora che mio padre ebbe fino al novembre 2001. Eppure, tutte queste richieste, non furono accolte. Il resto, ahimè, è storia. Sul presidente Mattarella non posso che spendere parole di stima, anche perché non più tardi di tre anni fa venne a ricordare mio ‘babbo’ proprio nella fondazione universitaria a Modena. Spese parole bellissime, ricordando il suo lavoro. Forse, anche perché in fondo tra la nostra storia e la sua corre un binario comune. Nel suo caso, a uccidere Piersanti, fu la mafia. Ma poco cambia, in fondo.

Secondo lei, le richieste di suo padre di tornare ad avere la scorta non furono accolte perché si pensava che il terrorismo politico fosse un fenomeno confinato agli anni di piombo?

Mi sentirei di escluderlo. Sarebbe quantomeno bizzarro, visto che poco prima, ad esempio, venne ucciso il giurista Massimo D’Antona.

Negli anni si sarà chiesto il vero motivo per il quale è stato ucciso suo padre. Che risposta si è dato?

Di preciso non lo so. E soprattutto non so il motivo per il quale il tema del Lavoro, in questo Paese, sia così delicato. Ma forse è proprio per via di questa delicatezza che mio padre, anche a seguito di tante minacce ricevute, chiese di tornare ad essere scortato. Ad ogni modo papà è stato ucciso dall’ideologia fanatica dei terroristi che, dagli anni ’70, hanno scelto come bersagli coloro che lavoravano per lo Stato.

Se lo dovesse definire, suo padre lei lo chiamerebbe eroe?

No. Non lo chiamerei eroe. Marco Biagi era semplicemente un uomo che aveva votato la sua vita al servizio delle Istituzioni, collaborando con governi e persone di ogni colore e risma. Un giuslavorista preparatissimo e noto anche a livello internazionale. Questo era mio papà.

Secondo lei nella legge del 2003 che porta il suo nome, è stata recepita l’idea di Lavoro che aveva suo padre?

Premetto che non sono un tecnico. Eppure, a mio giudizio, quella legge è solamente in parte fedele a quanto mio padre aveva teorizzato nel Libro Bianco sul Mercato del Lavoro. Ad esempio, un punto che manca è la transazione da statuto dei lavoratori a statuto dei lavori che, ancora attualmente, non è stato recepito. Non è mai troppo tardi comunque, nonostante siano passati 19 anni.

Veniamo all’oggi. Il mercato del lavoro è piegato al cospetto di una pandemia che ancora stenta a regredire. Che cosa avrebbe fatto suo padre, di fronte all’emergenza occupazionale determinata dal Covid?

Faccio fatica a fare una previsione di questo tipo. Posso dire però che l’idea di mio padre era quella di tutelare le categorie più deboli, in particolare i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Sicuramente però, di fronte all’emergenza, avrebbe continuato a mettere a disposizione la sua competenza e il suo lavoro al servizio della collettività.

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