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Questione femminile o scusa per calare i capigruppo dall’alto? Scrive Pasquino

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È legittimo che Letta voglia sostituire Delrio e Marcucci, ma più in generale calare dall’alto due nomi non mi pare il modo migliore per andare verso la parità di genere. Che non dovrebbe comunque mai prescindere da valutazioni di capacità e prestazioni. La versione di Gianfranco Pasquino

Qualche volta, in politica, bisogna anche dare giudizi politici. Per esempio, è possibile dire forte e chiaro che i gruppi parlamentare del Partito democratico alla Camera e al Senato sono stati costruiti da un segretario con qualche (è un eufemismo) pulsione solipsistica che ha voluto premiare i suoi  fedelissimi e fedelissime. Di conseguenza, i due capigruppo, loro stessi (già) fedelissimi, sono stati eletti da maggioranze che porta(va)no un imprinting molto preciso. Da allora, se ne sono distanziati a sufficienza? Hanno, comunque, operato attuando una linea politica e parlamentare soddisfacente? Condividono la direzione che il nuovo segretario sta elaborando per il Partito? Per sostituirli, operazione che, a mio modo di vedere, non può e non deve essere imposta dall’alto, bisognerà comunque democraticamente votare in entrambi i gruppi.

È assolutamente legittimo che il neo-segretario Enrico Letta voglia sostituire Delrio e Marcucci. Potrebbe chiedere a loro di fare il classico passo, non “indietro”, ma almeno di lato, a favore, però, non di una, qualsiasi, “donna”, quanto di una rosa di tre quattro deputate e senatrici che desiderino esse stesse candidarsi con motivazioni esplicitamente politiche: “La propria biografia; cariche già avute e svolte con successo; capacità di guidare un gruppo parlamentare”.

Altrimenti, limitarsi a dire che ci vogliono due donne è soltanto un cedimento al politically correct che Letta dovrebbe, invece, sfidare su tutti i piani. Poi, naturalmente, tutte le candidate chiederanno di essere sottoposte alla votazione dei loro colleghi alla Camera e al Senato. Mi aspetto che, prima del voto, i bravissimi giornalisti investigativi (pardon, le bravissime giornaliste investigative) che hanno i numeri di telefono giusti, raccolgano informazioni sulle appartenenze correntizie delle prescelte, in sintesi: in quota di chi? Qualcuna è entrata in Parlamento addirittura sulle code di Veltroni, un’altra è di un qualche “rito” correntizio, tutti sanno che c’è chi è molto vicina a (a voi che leggete lascio inserire il nome) e così via.

Più in generale calare dall’alto due nomi non mi pare il modo migliore per andare verso la parità di genere che non dovrebbe comunque mai prescindere da valutazioni di capacità e prestazioni. Per fortuna che una ex-parlamentare, tuttora molto vicina ad un padre/nonno nobile, vicinanza che ha denunciato come ragione della sua esclusione dalla carica di sottosegretaria, afferma che al prossimo congresso dovrà esserci una candidata donna alla segreteria.

Non sarebbe affatto una novità come la partecipazione alle primarie di Rosi Bindi (2007) e di Laura Puppato (2012) attesta. Sappiamo anche che molte donne non votano le donne. Non entro in questa complessissima tematica perché sono sicuro (sic) che le donne del Pd stanno affaticandosi sul perché. Insomma, c’è anche molto spazio di elaborazione autonoma, non di gregge. Lo si sfrutti.

P.S. Il segretario regionale dell’Emilia-Romagna e il presidente della Regione, il segretario provinciale di Bologna e il sindaco della città e i due attualmente candidati a succedergli sono uomini. Non ho sentito critiche e autocandidature dalle donne di questi luoghi progressisti.



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