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Torture di profughi siriani, la denuncia di Amnesty e la fine del Libano

libano

Collasso delle istituzioni e una crisi che risale alla fine del 2019. Il Libano sta precipitando e in questo tornado giungono le denunce dei rifugiati siriani ad Amnesty International che accusano il Paese di arresti arbitrari e torture per motivi legati al terrorismo

Nel tornado che sta devastando il Libano, Amnesty International denuncia gravi torture contro uomini, donne, bambini, tutti rifugiati siriani in quello che è stato il Paese dei Cedri. A compierle – afferma Amnesty – sono stati agenti libanesi che hanno usato i più odiosi metodi impiegati da sempre nelle segrete siriane.

Ha scritto al riguardo l’Ansa: “Le forze di sicurezza libanesi hanno commesso ‘scioccanti’ violazioni umanitarie contro rifugiati siriani, arrestati spesso arbitrariamente con accuse legate al terrorismo, impiegando alcune delle stesse atroci tecniche di tortura utilizzate nelle tristemente note prigioni siriane: è quanto emerge da una relazione di Amnesty International pubblicata nelle ultime ore. La relazione documenta una serie di violazioni commesse principalmente dai servizi di sicurezza dell’esercito libanese tra il 2014 e il 2021 contro almeno 26 siriani, tra cui due donne e quattro minori, in carcere senza un processo equo e sottoposti a torture di vario tipo, condotte con bastoni di ferro, cavi elettrici, tubi di plastica. I detenuti hanno anche descritto di essere stati appesi a testa in giù o costretti in posizioni di stress per periodi di tempo prolungati”.

Vediamo meglio: “Questo rapporto fornisce un’immagine del trattamento crudele, violento e discriminatorio delle autorità libanesi nei confronti dei rifugiati siriani detenuti perché sospettati di reati di terrorismo. In molti casi, rifugiati che scappavano da guerra, repressioni spietate e torture diffuse si sono ritrovati detenuti in maniera arbitraria e in regime di incommunicado in Libano, dove subiscono molti degli stessi orrori delle prigioni siriane”, ha dichiarato Marie Forestier, ricercatrice di Amnesty International sui diritti dei rifugiati e dei migranti.

“Non c’è dubbio che i membri dei gruppi armati responsabili delle violazioni dei diritti umani debbano rispondere delle loro azioni, ma l’evidente violazione del diritto al giusto processo dei rifugiati siriani da parte delle autorità libanesi mette in ridicolo la giustizia. In ogni fase, dall’arresto all’interrogatorio, alla detenzione e al giudizio durante processi iniqui, le autorità hanno completamente ignorato il diritto umanitario internazionale”, ha aggiunto Marie Forestier.

Ma non basta. La condizione disperata dei profughi siriani è stata recentemente discussa dal governo libanese – dimissionario da agosto scorso e quindi in carica per il disbrigo dei soli affari correnti – ma non per chiarire cosa è accaduto e accade, ma per cercare con l’ambasciatore russo e quello siriano un sistema che consenta il rimpatrio dei rifugiati in Siria. Che nel tracollo finanziario attuale l’ostilità per i profughi aumenti è ovvio, anche considerato che sono più di un milione in un Paese di cinque milioni di abitanti, ma è evidente il timore di molti che tornando in Siria troverebbero su larga scala il destino denunciato da Amnesty. Già esistono denunce di alcuni dei pochi profughi che sono rientrati di cui si sarebbero perse le tracce.

La denuncia di Amnesty indica date che rendono evidente che non è la recente e devastante crisi economica ad aver spinto alcuni agenti a torturare rifugiati siriani. La crisi che sta devastando il Libano origina alla fine del 2019, mentre qui si parla di torture che risalgono fino al 2014. Dunque non è l’economia, ma con ogni evidenza il pregiudizio politico contro i rifugiati siriani la causa. I più fermi sostenitori del “rimpatrio” dei rifugiati sono stati da sempre Hezbollah e l’ex ministro degli esteri, Gebran Bassil. Nel rapporto di Amnesty si legge: “Molti detenuti hanno detto che durante le percosse le forze di sicurezza libanesi hanno fatto riferimento alla loro resistenza nei confronti del presidente Bashar al-Assad, suggerendo che potessero esserci delle motivazioni politiche dietro queste aggressioni”.

La questione, in sé gravissima, si inserisce in un panorama politico terremotato come quello libanese, dove il patriarca maronita, Beshara Rai, che ha chiesto una conferenza internazionale per salvare il Libano, è stato accusato per questo semplice atto di buon senso di essere parte dell’asse americano-israeliano. Ma il governo, controllato da Hezbollah e dal presidente in carica Michel Aoun, non riesce più a tenere in piedi la valuta nazionale, precipitata nel giro di un anno dal cambio a 1500 per un dollaro a sfondare quota 15000. Gli scontri a fuoco si susseguono in tutto il Paese, la linea del Patriarca sembra la sola che può salvare il Paese, e le parole che giungono in queste ore da un autorevole esponente appena recatosi alla sede patriarcale – l’ex ministro dell’Interno Nouhad Mashnouq – che definisce il Libano un Paese militarmente occupato dall’Iran, fanno capire che la situazione è già precipitata in un collasso delle istituzioni.



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