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Le radici (antiche) dell’innovazione culturale e dell’etica economica

È evidente che l’innovazione classicamente intesa risponde a esigenze profondamente radicate nella personalità umana. Colui che innova oggi lo fa consapevole di effettuare scelta imprenditoriale matura e solenne: come tutte le grandi conquiste, l’innovazione deve sostanziarsi in un risultato concettuale semplice, chiaro da spiegare e da attuare

Già prima dell’evento pandemico, il tessuto sociale costituiva oggetto di un profondo cambiamento nelle sue abitudini gnoseologiche e tecnologiche. L’isolamento cui si è andati soggetti per via della normativa vigente in tema di contesto emergenziale non ha fatto che acuire la sensazione di un mutamento già in atto (si veda lo studio dei New Scientists, collettivo scientifico britannico, Macchine che pensano – La nuova èra dell’intelligenza artificiale, Edizioni Dedalo, 2018).

Il momento è tale per cui l’Internet libero dissemina disagio psicologico specie tra i più piccoli fruitori, che ne stanno abusando per via dell’evento pandemico e delle quarantene, benché ovviamente si inizi a intravedere un’importante via di uscita; peraltro è bene ricordare che l’attenzione della medicina sul punto è ben anteriore alla pandemia. A tal proposito è necessario sottolineare che i casi di digitale controllato (ovverosia il cd. internet “chiuso”) si sono fatti sempre più rarefatti: il digitale controllato infatti consente la navigazione in Internet come se si trattasse di un’edicola materiale, oppure di un negozio virtuale (si pensi alla consultazione dei quotidiani, come anche dei celebri siti elettronici di vendita di libri).

In Italia si vanta un primato: già alla fine degli anni Novanta, l’imprenditore Luca Ometto, di cui si commemora la scomparsa, compie un vero e proprio miracolo imprenditoriale, ideando il sito commerciale libreriauniversitaria.it, esempio ammirevole di genio italiano (cfr. il testo collettivo a tema biografico Luca Ometto, Libreria Universitaria Edizioni, 2020): tutto ciò prima di Amazon, prima dello shopping immateriale che è entrato nelle vite di tutti. Per certi versi, riportare indietro le lancette di venti anni significa respirare in maniera disinvolta molta dell’atmosfera della fine degli anni Novanta – irripetibile come il terroir di un vino raro e pregiato – in tema di imprenditoria digitale. Non è affatto escluso che in futuro occasioni di creatività professionale così uniche si ripresenteranno in una sorta di eterno ritorno, che il nostro umano pessimismo ci spinge a escludere, ma che si dovrebbe sempre auspicare, nella devozione assoluta che meritano tutti coloro che producono cultura e valori veri.

L’imprenditore, l’innovatore, specie in campo culturale e digitale, ricorda per certi versi il Prometeo del mito, o ancor meglio: la figura di cui ha parlato l’antropologo Joseph Campbell, ovverosia L’eroe dai mille volti (edito da Lindau, 2016), in cui si descrive il multiforme attore civile, che poi entra di diritto nella leggenda. Colui che sogna a occhi aperti, figura questa presente chiaramente anche nelle più celebri e visionarie frasi delle Upaniṣad (che si interrogano appunto su chi sia il sognatore e su chi sia infine colui che subisce o che comunque vive il sogno. Cfr., tra le tante, l’edizione di Adelphi, 1991). Il sogno e l’imprenditoria digitale/culturale, in fondo, non sono poi così distanti. Ad oggi, la sinergia tra libreria fisica e quella virtuale sta innalzando notevolmente il livello di alfabetizzazione del Paese, un po’ come accadde decenni addietro nelle edicole di ogni centro abitato (sul punto si è ampiamente pronunciato Valerio Evangelisti con la trilogia di saggi Alphaville, edita da Edizioni del mediterraneo): è proprio questo tipo di scelta particolareggiata, fortemente individuale, a spingere il lettore oltre i propri limiti, mentre l’acquisto in libreria è momento maggiormente estetico e dettato dal caso, benché intenso e importante. Negli store online la ricerca si fa davvero intimista, e si possono sondare i nostri interessi più nascosti se non anche inconfessabili: ad esempio grande sponda ha la letteratura giapponese.

È evidente, dunque, che l’innovazione classicamente intesa risponde a esigenze profondamente radicate nella personalità umana. Colui che innova oggi lo fa consapevole di effettuare scelta imprenditoriale matura e solenne: come tutte le grandi conquiste, l’innovazione deve sostanziarsi in un risultato concettuale semplice, chiaro da spiegare e da attuare.

Come tutti gli aspetti luminosi, purtroppo vi è un forte contraltare di ombra. È un momento molto complesso anzitutto per l’imprenditoria, non tanto sul piano materiale ma su quello dell’ideologia: è una categoria che non gode più del benestare della pubblica opinione e delle istituzioni. Ciò non è un bene, perché la vita costituzionale che è stata disegnata dai padri costituenti nella nostra legge fondamentale si regge anzitutto su un sano traffico giuridico, su una vita economica sfaccettata, complessa, fondamentalmente corretta e tesa al bene comune. È comprensibile, dunque, che in un momento di crisi vi siano voci dissenzienti che identificano l’economia, in fondo benzina dell’imprenditoria, come il male del secolo, un dittatore invisibile, che agisce nel più completo egoismo: questa è anche una delle recenti denunce di papa Francesco (La dittatura dell’economia, Edizioni Gruppo Abele, 2020), ivi affiancato da importanti intellettuali, quali ad esempio Ugo Mattei.

L’invito del pontefice è chiaramente quello di ricominciare a percorrere il solco illuminato di Olivetti e di tutti quegli imprenditori che non si sono limitati a dare lustro al Paese tramite il loro lavoro indefesso, ma a coniugare umanità e imprenditorialità. Questo è il nucleo del lavoro svolto nella disciplina dell’etica economica, studiata da economisti e divulgatori scientifici, anche religiosi. Rendiamoci forti e fieri anche dell’eredità data dalla casa, non troppo distante da qui, dei nostri padri intellettuali, della cui presenza possiamo solo glorificarci.


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