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Allarme disagio sociale. Caligiuri spiega perché serve più democrazia

Che il disagio sociale, secondo il presidente della Società italiana di intelligence, potesse essere la manifestazione più grave della pandemia era prevedibile. Ecco cosa c’è dietro e come fronteggiarlo. Il commento di Mario Caligiuri

La realtà come sempre è davanti agli occhi di tutti. Occorre provare a unire i punti, che non è un esercizio propriamente facile, sommersi come siamo da informazioni irrilevanti e dalla propaganda martellante dei media di élite. Che il disagio sociale poteva essere la manifestazione più grave della pandemia era prevedibile. E questo perché era già presente da prima.

La rivoluzione dietro l’angolo. Il disagio sociale digitale come minaccia alla sicurezza nazionale, allegato a “Formiche”, dicembre 2019. L’avanzata del disagio sociale (e quali rimedi), in “Formiche”, n. 146/aprile 2019, pp. 38-39.

Per cui le vicende di questi giorni, stanno amplificando un fenomeno preesistente, che era stato provocato, come avevo avuto modo di argomentare, soprattutto dalle scelte e dai comportamenti delle classi dirigenti pubbliche, che in gran parte dei sistemi democratici sembrano dimostrarsi inadeguate.

Fin dall’inizio della pandemia, sul tema del disagio sociale più volte ci siamo interessati su Formiche.net, mettendolo in relazione alla sicurezza nazionale e individuando anche una ipotetica linea di faglia costituita dal punto di equilibrio numerico tra chi subisce una semplice riduzione di ricchezza, che in definitiva non intacca sostanzialmente la qualità della vita, e chi da condizioni quasi normali è trascinato nell’indigenza, determinando quindi possibili esplosioni di rabbia. Adesso occorre riflettere su due elementi: se le manifestazioni che si stanno verificando in questi giorni, e che non sono le prime, siano destinate a durare e se siano eventualmente strumentalizzate.

Provo ad esprimere il mio punto di vista. Tali manifestazioni possono essere destinate anche ad accentuarsi se le politiche pubbliche non riducono efficacemente il malessere. Infatti, che cos’è è stato ed è il reddito di cittadinanza se non un modo per frenare un disagio sociale sempre più esteso? Adesso si fa affidamento sul Recovery Fund, ma per fronteggiare le difficoltà economiche dei cittadini i provvedimenti attuali del governo allargano ulteriormente il deficit di bilancio.

Inoltre, i 209 miliardi (posto che siano questi) non sono pronta cassa: occorre produrre progetti e, soprattutto, eseguirli secondo le regole comunitarie. E va rilevato che nel corso degli anni non siamo stati dei fenomeni nello spendere i fondi europei e che la macchina burocratica e le norme sono identiche chiunque governi. Inoltre, tra il comunicare un intervento e realizzarlo concretamente, gli effetti sulle finanze dei cittadini non sono certamente immediati. Pertanto, tutti gli indicatori ovviamente confermano che anche nel nostro Paese si stanno allargando le distanze sociali e territoriali.

La contrapposizione è evidente, accentuando lo scontro sociale: da un lato chi è percettore di un reddito fisso e gode di rendite di posizione, dall’altro i liberi professionisti e le attività economiche. In prospettiva, non tanto remota, si può anche radicalizzare lo scontro territoriale tra Nord e Sud, con il primo che, avendo più attività legate al mercato, soffre di più rispetto al resto d’Italia, dove l’area dell’assistenza è tradizionalmente più ampia.

In una situazione del genere c’è qualcuno che può soffiare sul fuoco? Certamente. Prima di tutto è la realtà che può provocare l’incendio e poi le inefficienze complessive delle istituzioni pubbliche centrali e regionali, che si toccano adesso con mano con la somministrazione dei vaccini, finanche in quei contesti più celebrati per la sanità pre-covid. Risulta più che evidente che il sistema sanitario, in parte, è anche impostato per produrre reddito e per alimentare assistenza, realizzando di fatto una netta separazione di ruoli tra privato e pubblico.

Sono queste, a mio modo di vedere le cause principali del disagio sociale, alle quali poi si può collegare il resto. Certamente la criminalità, che approfitta come sempre della inefficienza pubblica per infiltrarsi ulteriormente nel tessuto economico, più di quanto già non lo sia, al Sud come al Nord.

Agitare l’eversione, magari di destra, mi sembra una visione debole, funzionale principalmente per separare le responsabilità da altro da sé: dalle incapacità personali dei rappresentanti di un sistema che, messo alla prova, dimostra innegabili limiti, sedimentati nel tempo, determinando la prevalenza dell’incompetenza attraverso meccanismi legalizzati che rendono evidente il successo scollegato dal merito.

Dal mio punto di vista, il pericolo fascista è inesistente. C’è però molto di peggio: tutte le condizioni che hanno determinato l’avvento del fascismo, e cioè una grave crisi del sistema democratico. Bisogna allora rendere efficienti le istituzioni democratiche, che rappresentano l’unico argine all’ingiustizia sociale, che è quella, che più di tutte, alimenta il disagio.

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