Perché la notizia che il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, firma ogni domenica un commento al Vangelo su Il Fatto Quotidiano dovrebbe suscitare scalpore? La novità, infatti, non piaciuta ad alcuni cattolici, ma neanche ad alcuni lettori del Fatto, eppure per capirne le ragioni basta guardare al pontificato di Francesco. La riflessione di Riccardo Cristiano
Novità: il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, firma ogni domenica un commento al Vangelo su Il Fatto Quotidiano. Verrebbe da dire, “e allora”? non fosse che la notizia, o la scelta editoriale, non è piaciuta ad alcuni cattolici. Probabile che non sia piaciuta neanche ad alcuni lettori de Il Fatto, magari quelli più intrisi di quell’anticlericalismo ottocentesco che spesso fa capolino in qualche commento online. Ma se al vecchio anticlericalismo non può interessare che il clericalismo oggi abbia in Francesco il suo critico più fermo (e famoso), che ai cattolici dia fastidio che si parli di Vangelo risulta complesso da capire e quindi vale la pena indagare. Sui social di padre Spadaro si possono leggere commenti tipo “ma le sembra il caso?” oppure, “ma proprio lì”? E già, questo è il punto: cosa conta nella vita?
Se allarghiamo il discorso e osserviamo il difficile percorso della cosiddetta riforma della Chiesa ai tempi di Francesco, la domanda “quale è stata la riforma più importante sin qui compiuta dal papa?” può avere diverse risposte: chi risponde guarda da dentro o guarda da fuori? Guarda da un Paese ricco o da un Paese povero? Parliamo di comportamenti o di strutture?
Questa discussione, che è arrivata su importanti siti cattolici, fa pensare che guardando da dentro è legittima anche questa valutazione: la riforma più importante è stata la scelta di Francesco di portare la celebrazione del Giovedì Santo fuori dal Vaticano. Dove si celebrava fino al suo arrivo la memoria dell’ultima cena? In Vaticano. E la lavanda dei piedi chi riguardava? Maschi, quasi sempre sacerdoti. Con Francesco quel rito è uscito da San Pietro, è andato in carceri, carceri minorili, centri di accoglienza per rifugiati e asilanti, la lavanda dei piedi ha riguardato detenuti e detenute, cristiani e non cristiani, profughi e profughe, e così via. Cosa ci sia di enorme in questo lo si capisce meglio pensando a cosa c’è di enorme in quelle domande: “Le sembra il caso?”, “ma proprio lì?”.
La comunicazione vaticana non può seguire Francesco su un sentiero così difficile, rischioso e delicato in tutto e per tutto, ma portare i vasi a Samo è noto da tanto tempo che non produce grandi risultati. Non sono i pulpiti a fare la predica, piuttosto sono gli sguardi che si incontrano, si intercettano, ritengo.
Ma l’identitarismo oggi è così forte e diffuso che anche questo piccolo esempio ci aiuta a capire quanto sia importante non solo per la Chiesa l’idea di “Chiesa in uscita”. È importante per la Chiesa, certamente, ma non solo, perché se le culture non si confrontano, non si intrecciano, non dialogano, si impoveriscono tutte. Rimarrebbero solo propagande.
Così si capisce che la riforma del giovedì santo conta dentro la Chiesa ma conta anche fuori di essa. Lo scandalo che ha fatto nel mondo progressista la scelta dell’ex segretario del Pd di parlare in talk-show ritenuto “nemico” è una piccola riprova “ad extra” di quanto la tendenza ad uscire oggi sia ritenuta un pericolo. Certo, il problema non si risolve con un’intervista, per uscire davvero occorre farlo ogni giorno. È proprio quello che una rubrica del genere su un giornale come Il Fatto sembra promettere. Se poi renderà Il Fatto un giornale al nostro palato meno manicheo è difficile dirlo. Ma non credo sia quello l’obiettivo: quello che conta è il rapporto con i lettori. Così mi sono ricordato di quando Pasolini accettò di scrivere per il Corriere della Sera: migliorò il Corriere… o migliorammo noi?
La riforma di Francesco sembra proprio un processo avviato e la sua sfida riguarda costumi, modi di vivere e rapportarsi, caserme, barriere, muri. E questo è un dato che riguarda tutti.