Oggi il calcio è tramortito. Un’attività commerciale come un’altra. Un gioco per gente che conta miliardi invece di gol ed assist. È un giorno triste per tutti i dilettanti d’Europa, per tutti i vivai e gli oratori dove si insegue un pallone, per le squadrette che militano ai margini delle città, nei paesini, nelle periferie d’Europa. La Superlega è uno schiaffo alla storia del football. L’opinione di Gennaro Malgieri
Il calcio dei ricchi distruggerà il calcio del popolo. Una grande banca d’affari ed una dozzina di club tra i più ricchi del mondo si costruiscono un loro miliardario teatro nel quale, per grazia ed interessi, inviteranno di anno in anno a partecipare al grande ed esclusivo torneo cinque squadre tra le vincenti del momento. Ed organizzeranno un campionato tutto loro dal quale le altre società di football saranno rigorosamente escluse perché prive del blasone necessario per essere ammesse o non abbastanza ricche da far parte della finanza del football. La chiameranno, secondo quando stabilito, Superlega, una esclusiva combriccola europea dominata dal denaro, guidata dai presidenti delle squadre più rinomate. Ma non tutte hanno aderito per fortuna.
L’operazione è ideologicamente “giustificata” dall’attuale presidente della Juventus, Andrea Agnelli, il più perdente a livello continentale dei presidenti europei pur avvalendosi dell’apporto del più grande calciatore del mondo, Cristiano Ronaldo. Si tratta di una competizione d’élite alla quale partecipano i club più esclusivi o che vantano un passato glorioso. Una competizione che nell’intenzione dovrebbe inglobare l’attuale Champions League e, se abbiamo capito bene, le prime squadre, ad invito, che conquistano le posizioni eminenti in Europa League e nei campionati nazionali.
Le squadre fondatrici della Superlega — il cui presidente è Florentino Pérez gran padron del Real Madrid, coadiuvato dai vicepresidenti Andrea Agnelli e Joel Glazer, rispettivamente a capo della Juventus e del Manchester United — sono queste: Milan, Arsenal, Atlético Madrid, Chelsea ,Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Real Madrid , Tottenham, Barcellona. Hanno orgogliosamente rifiutato di far parte della Superlega Paris Saint Germain, Borussia Dortmund, Bayern Monaco.
Nelle intenzioni dei partecipanti l’operazione dovrebbe vedere il coinvolgimento di finanziatori eccellenti, coordinati dalla JP Morgan, diritti televisivi, sponsor d’alto lignaggio, un pubblico che può permettersi poltroncine eleganti e costose negli stadi a cinque stelle, gente insomma intenzionata a godersi lo spettacolo che, dal punto di vista strutturale sarà diviso in due gironi da dieci squadre, una fase finale a otto ad eliminazione diretta e quindi una finalissima.
Le squadre continueranno, nelle intenzioni dei promotori (ma difficilmente glielo permetteranno: stanno già partendo carte bollate, denunce e diffide) a competere nei campionati nazionali, i giocatori dei club potranno accedere alle formazioni nazionali e tanto la Champions quanto l’Europa League non dovrebbero essere cancellate. Questo nelle intenzioni dei nuovi padroni del calcio europeo. Ma siccome la FIFA e l’UEFA hanno immediatamente dichiarato guerra alla Superlega, come tutte le altre leghe nazionali, difficilmente chi aderirà a questo circolo di ottimati del pallone potrà partecipare ai rispettivi campionati e probabilmente i loro giocatori non verranno convocati dalle compagini nazionali.
Lo scopo di questa “invenzione” sportivo-finanziaria? Far saltare il tavolo del calcio internazionale incamerando la maggior parte dei fondi che il football “produce”. Strategia di una guerra per i soldi, è stata definita la cervellotica invenzione il cui fine è quello di eliminare dalla scena calcistica tutti coloro i quali non meriterebbero, ad insindacabile giudizio dei “magnifici” dodici, di misurarsi tra pari.Un’oscenità.
Insomma, il campionato per nababbi, vuole apertamente e arbitrariamente operare una massiccia selezione fondata sull’esclusione, contraddicendo palesemente la filosofia del calcio che da quando è nato si fonda proprio sull’inclusione, soprattutto, almeno fino ad una certa epoca, dei più diseredati, di coloro che correvano dietro ad una palla di stracci. Il nobile sport proletario e nazionale perché appunto di tutti.
Mario Sconcerti ha scritto sul corriere.it parole che sentiamo di sottoscrivere: “Il calcio è sentimento, colpito alle spalle diventa rancore. È un affare? Facilita la vendita di prodotti Fiat? Assolutamente no. Sarebbe interessante conoscere il parere di John Elkann, sulle cui spalle cadrebbero le conseguenze industriali. Per il resto il disegno è rozzo ma convincente: gestire in pochi la ricchezza di molti. Non una grande idea, non una novità almeno, è stata tentata molte volte in passato da regimi autarchici perché prepotente, quindi forte, avida. Che nell’euforia dimentica un altro particolare: quale sarebbe il piazzamento della Juve in questo super campionato? La storia dice tra il 6° e il 9° posto. Cioè il prodromo della noia. Auguri”.
Andrea Agnelli si è dimesso dall’esecutivo dell’Uefa consapevole della contraddizione nella quale si è venuto a trovare: se vuole terremotare il calcio europeo è evidente che non possa far parte del suo vertice. Ma senza rimpianti, forse con gioia. Il progetto, del resto, lo studiava da anni a suo vantaggio e di pochi altri ricchi. Ma probabilmente non si è chiesto che se il suo club e gli altri undici hanno un senso è perché glielo danno proprio gli esclusi. Coloro i quali gli permettono di giocarsi campionati e coppe e di vincere il possibile (molto poco se si escludono gli ultimi nove scudetti consecutivi).
Partecipando alla sua Superlega, quasi certamente la Juventus degli ultimi due anni non si collocherebbe tra i primi cinque. Non ci sembra un gran risultato. È probabile tuttavia che forse, abbagliati da possibili successi sportivi che dovrebbero mischiarsi con redditizie acquisizioni finanziarie, Agnelli ed i suoi sodali, intendono tentare l’azzardo di sbaragliare sul campo come nei consigli di amministrazione i loro poveri colleghi qualcuno dei quali già preme per ingraziarsi i nuovi padroni del calcio europeo.
Ma non per tutti è così. Chi ama il calcio e detesta la sua finanziarizzazione, i tifosi insomma, sa che che perfino una squadretta provinciale può vincere mettendo in fila le formazioni dei ricchi. Il Cagliari cinquantuno anni fa conquistava lo scudetto contro tutti i pronostici; il Verona vinceva il campionato trentasei anni fa; per due anni nel 1987 e nel 1990 , gli anni di Maradona, il Napoli trionfava contro tutto e tutti, guidato dal mitico funambolo. Non avevano il pedigree di quelle squadre che hanno aderito alla Superlega, ma avevano un’anima, come il Bologna, la Fiorentina, la Lazio: palmares poveri e tanta passione: questo potevano regalare ai tifosi che li acclamavano anche se stavano in fondo alla classifica, in tutte le serie.
Il football non è altro che questo. Se lo mettano in testa gli spavaldi sceicchi europei. È un gioco popolare, una volta anche povero, che ammalia milioni di ragazzini e di anziani – è senza età – per i quali correre appresso ad un pallone è la vita.
Oggi il calcio è tramortito. Un’attività commerciale come un’altra. Un gioco per gente che conta miliardi invece di gol ed assist. È un giorno triste per tutti i dilettanti d’Europa, per tutti i vivai e gli oratori dove si insegue un pallone, per le squadrette che militano ai margini delle città, nei paesini, nelle periferie d’Europa. La Superlega è uno schiaffo alla storia del football. O si rivelerà un flop oppure metterà la pietra tombale sullo sport più bello del mondo. Abbiamo l’impressione che non basteranno dodici Paperoni per creare un grande spettacolo globale al quale, forse, vorrebbero pure partecipare Asia, Africa, Americhe, Oceania (non temete: i Paperoni di Stati illiberali come la Cina, l’Arabia Saudita, di alcune repubblichette caucasiche, per non dire dell’ambiziosa Russia si attrezzeranno). Che faranno i grandi del football europeo? Si chiuderanno nei loro piccoli confini complimentandosi a vicenda credendosi i migliori? Non funziona così. Il mondo è altrove. Anche quello del calcio.