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La bellezza è la forza del cuore. Ricordando Audrey, icona di fragilità

Icona di stile e di sensibilità, Audrey Hepburn raccontata da Elvira Frojo simboleggia la rinascita partendo dai sentimenti, in vista delle nuove riaperture. La storia di una donna del passato ricorda, oggi, al mondo, la potenza dell’amore

Il mondo sospeso e impaurito, da oltre un anno, a causa di un virus. La salvezza nel piano vaccinale, tra ansie e incertezze. Si guarda, tuttavia, alla ripresa e ad una riapertura, sia pure con “gradualità” e con le necessarie cautele, in una prospettiva di rilancio del nostro Paese. Opportunità positive anche dal Recovery plan.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato il via libera a molteplici attività per frenare la crisi dell’economia e per un ritorno alla vita di relazione. Maggio segna, dunque, un cambio di rotta per tornare a sperare. Per costruire quale futuro? Cosa conserviamo di questo tempo presente, per il domani che ci attende e chiede fiducia?

Dopo mesi di pandemia e restrizioni, secondo alcuni studi, non tutti hanno nostalgia del passato e desiderio di riannodare il filo reciso. A parte la “sindrome della capanna”, quali nuove ansie frenano lo scatto per ripartire?
Non solo difficoltà economiche e un lungo periodo di inerzia e di “passività”. Si cercano motivazioni, entusiasmi, energia. Da dove ricominciare?

La forza è, forse, nei sentimenti. Il coraggio di superare la paura non potrà fare a meno del calore del cuore. Per poter vedere, nelle certezze affettive, una vita che sarà comunque diversa. Ma saremo adeguati a vivere una nuova dimensione interiore, più autentica, quando inizieremo a riavvicinarci nella fisicità, incontrandoci ancora dietro la mascherina? O prevarrà la trappola dell’ambiguità e della superficialità, dell’egoismo, del cinismo e del rancore mai sepolti?

Si può sempre rinascere, partendo dai sentimenti. La storia di una donna del passato ricorda, oggi, al mondo, la potenza dell’amore.

Il 4 maggio del 1929 nasce a Bruxelles, da padre banchiere inglese e madre baronessa olandese, la bambina Edda (poi Audrey, durante la Seconda guerra mondiale) che diventerà il “mito Hepburn”.

Nata sotto il segno del Toro. Segno di terra ma governato da Venere. Le native di maggio sono descritte dall’astrologia come volitive e concrete e dalla profonda interiorità. Romantica e sensuale, la donna del Toro è affettuosa e fedele, gelosa e possessiva. Nel lavoro, persegue gli obiettivi con grande impegno, in una ricerca del bello e dell’armonia.

Audrey è minuta, fragile. Raffinata e naturalmente elegante. Immagine di ingenuità e freschezza, diventa, da giovanissima, star di Hollywood e icona di stile. Nella disarmante grazia e con fascino sbarazzino, rovescia i canoni della bellezza femminile del tempo. Conquistano, soprattutto, la dolcezza e la spontaneità del sorriso, la tenerezza dello sguardo vispo. Gentilezza e sensibilità sono le sue armi vincenti.

“La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa né dall’aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi. La bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché quella è la porta del suo cuore, il posto nel quale risiede l’amore”, ha detto la Hepburn.

Tra i tanti riconoscimenti, riceve, per “Vacanze romane”, l’Oscar come miglior attrice protagonista. David di Donatello come miglior attrice straniera e nomination per “Sabrina”. Il riconoscimento del Golden Globe con l’Henrietta Award la celebra migliore attrice del cinema mondiale.

Attrice dal talento artistico e donna della tenacia. Lei che, prima, danzava e sognava di diventare una ballerina. Per volare lontano dalla paura. Da quelle “paturnie”, come le definisce in “Colazione da Tiffany”, di cui non si libererà mai. La paura di qualcosa che non sa spiegare cosa sia. Viene da lontano, è oscuro, dilata le emozioni.
Amata dalla gente. Non solo per la bellezza e il carattere volitivo, ma proprio per la sua vulnerabilità che si trasforma in energia. È il vero fascino di Audrey. Cosa c’è, insomma, dietro il “personaggio” Hepburn?

Un’infanzia difficile. La guerra, la carestia. L’abbandono del padre, una mancanza per tutta l’esistenza futura. Ma decide di amare comunque la vita e gli altri.

“Artista dell’amore”. È l’interprete eccellente di un amore sempre, invano, ricercato nel privato e rappresentato nei suoi film. Un amore incondizionato e enfatizzato. L’amore delle favole? Un amore dal quale sembra fuggire, nella paura di esserne delusa.

Persino la perfezione degli abiti disegnati per lei da Givenchy risponde al desiderio di essere pienamente accettata. Disinvolta e affascinante con la cloche a pieghe bianca del sarto francese in “Sabrina” o con il cappello a falda larga di Holly Golightly in “Colazione da Tiffany”, i guanti lunghi fino al gomito e, tra le labbra, il lungo bocchino per la sigaretta. Il dolcevita in “Cenerentola a Parigi”, le ballerine indossate con qualunque capo, orecchini e cerchietto sui capelli. Foulard e cintura stretta in vita. Inimitabile e sempre imitata, l’immagine di Audrey è nell’intramontabile tubino nero con un filo di perle.

Il trauma dell’abbandono paterno è il suo costante vulnus. Alimenta sensibilità e malinconia, insicurezze, ansie e il timore distruttivo di non essere amata abbastanza. E, nelle relazioni affettive, le delusioni sono la risposta all’eccessiva richiesta di amore.

Sposa prima Mel Ferrer e poi Andrea Dotti, e, infine, si unisce a Robert Wolders, compagno di vita fino alla fine.

Audrey conclude la sua carriera ritirandosi con Robert, gli adorati figli e i cani in un paesino svizzero, a Tolochenaz, nella residenza “La paisible” (La pacifica). Per ritrovare la gioia di una serenità e di una tranquillità a lei sconosciuta.
Ma continua la ricerca dell’amore, con diverse prospettive. Ambasciatrice Unicef, svolge un’attività instancabile di solidarietà per aiutare i bambini. Estremo slancio per guarire anche la propria ferita. Cibo per nutrire l’anima degli altri e di se stessa.

Una storia, quella di Audrey, sempre attuale. Ora, più che mai, nel difficile periodo della sfiducia ma anche della voglia di ripresa. La “semplicità” e il suo glamour essenziale. La forza di uno stile, soprattutto, interiore, sono il simbolo di ciò di cui tutti abbiamo bisogno. Un “galateo del sentire” fatto di autenticità, sensibilità e empatia, per una vita tutta da ridefinire e immaginare.

Quella semplicità espressa anche con l’abito indossato da Audrey nella serata del 10 aprile 1968, per la 40esima edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar, tra il luccichio di sontuose mise delle star presenti.
“Il nostro nemico è il nostro più grande maestro”, ha detto il Dalai Lama.

Il virus ha rafforzato la capacità di guardare in noi stessi. L’amore è stato l’unico conforto. Opportunità per eliminare l’inutile, il superfluo, sovrastrutture mentali ed emotive del passato. Riusciremo a ricordarlo, nel prossimo futuro?
“Abbiamo bisogno gli uni degli altri”, ha affermato la Hepburn. Mai frase più adeguata a questo tempo di pandemia. Evidenziata dalle Istituzioni, laiche e religiose, e suggerita come un mantra dal dolore individuale emerso dalla solitudine e dal disorientamento globale.

Ricercare la forza nella sofferenza è stato il palcoscenico della vita di Audrey. Lontana dai riflettori, del compagno Robert ha detto: “Mi fido di lui e del suo amore, non temo di perderlo. Mi rassicura in ogni modo”.

In occasione della cerimonia degli Oscar del 1993, per la consegna al figlio del Premio umanitario Jean Hersholt, nel sottofondo musicale di Moon river, la canzone da lei voluta per “Colazione da Tiffany”, Gregory Peck ha detto di lei: “Nessuno dimenticherà la sua compassione, il suo coraggio, la sua volontà di comprendere, le sue forti speranze, il suo aiuto”. In una parola, il suo grande amore. Attraverso la tenerezza specchiata negli occhioni magnetici del “personaggio Audrey”. Una bellezza che non ha età. “La bellezza di una donna aumenta con il passare degli anni. La bellezza di una donna non risiede nell’estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. È la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra”, ha affermato la diva senza tempo.

L’amore donato e ricevuto è stato il sogno di Audrey durante tutta l’esistenza. Fino alla prematura scomparsa (gennaio 1993, a soli 63 anni). Come nei suoi film. È il sogno, credo, di uomini e donne. Anche se le donne amano, spesso, fino a dimenticare se stesse.

È l’insegnamento di un “mito”. Lezione di vita universale, in ogni latitudine. Per ricercare un senso nel futuro al quale, ora, guardiamo con ansia. Per riconoscere, nella paura e nelle ferite provate, la forza di quei messaggi del cuore di cui, oggi, abbiamo grande bisogno.

Per abbandonare il narcisismo e l’egoismo che permeano i meccanismi della politica, dell’economia, della finanza e della società nel suo complesso. Radicati nella mente e nelle relazioni, attraversano ogni aspetto della vita, hanno generato arroganza e insoddisfazione, rancori e solitudine, manipolazioni e dipendenze. Siamo pronti a ripartire da un nuovo sentire?

È il tempo di amare se stessi, gli altri, la Comunità, il Pianeta, in modo diverso. È il dono condiviso per poter sperare in un mondo migliore. È la musica dolce e intramontabile della vita. Struggente “colonna sonora” di “Colazione da Tiffany”. Per vivere partendo dall’amore e dai sentimenti più profondi.

“…Alla scoperta del mondo
C’è così tanto mondo
Da vedere
Ricerchiamo la stessa felicità…”
(da “Moon river”)

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