Decentramento, nuovi seminari e sinodalitá. Nell’articolo in uscita su La Civiltà Cattolica dal titolo “Sfide globali del cattolicesimo globale” firmato dal gesuita padre Thomas P. Rausch un’analisi sul cambiamento della Chiesa, ma anche idee su come affrontare la pluralità di culture nel mondo
Divenuta, finalmente, Chiesa globale e non Chiesa occidentale con il Concilio Vaticano II, che a differenza del Concilio Vaticano I ha registrato un elevato numero di vescovi nativi di Paesi non occidentali e non missionari in quei Paesi, la Chiesa cattolica è chiamata ora a pensarsi anche diversamente.
La necessità emerge anche dai numeri, parte importante della realtà. Rappresenta il 50% del cristianesimo globale, nel quale spicca non solo la riduzione del numero di cristiani europei, ma anche la trasformazione di quello latino americano, con la crescita tumultuosa delle Chiese pentecostali a discapito anche dei cattolici. Pochi notano che anche negli Stati Uniti i cattolici diminuiscono, nonostante si parli ancora di una loro affermazione. I dati europei colpiscono, soprattutto se letti globalmente: “Nel 1910 l’Europa ospitava il 65% dei cattolici del mondo, a fronte dell’esiguo 24% odierno. […] Secondo un’inchiesta del Pew Research Forum, più di 1,3 miliardi di cristiani (61%) vivono nel Sud del mondo, rispetto ai circa 860 milioni che vivono in Europa e Nord America (39%). In Africa, la crescita del cristianesimo è stata straordinaria: dai nove milioni del 1900 ai circa 380 milioni di oggi. Secondo Todd Johnson e i suoi collaboratori, entro il 2050 probabilmente ci saranno più cristiani in Africa (1,25 miliardi) che in America Latina (705 milioni) ed Europa (490 milioni) messe insieme. Questo significa che cesserà il dominio numerico dell’Europa sul cristianesimo globale, come avveniva in passato”.
Sono soltanto alcuni dei dati dell’importantissimo studio intitolato “Sfide globali del cattolicesimo globale” che appare su La Civiltà Cattolica che uscirà domani e firmato dal gesuita padre Thomas P. Rausch. Ne risulta evidente la forza transcontinentale del fenomeno pentecostale, la diffusione di Chiese che predicano quel Vangelo tutto nuovo, il “vangelo della prosperità” e le prospettive concrete di un cristianesimo ancor più nuovo, quello cinese: “In Cina il cristianesimo continua a progredire, nonostante gli sforzi dell’attuale governo per controllarlo. Si stima che i cattolici oscillino tra i 10 e i 12 milioni, con una crescita lenta. I cristiani evangelici e pentecostali sono tra i 40 e i 60 milioni, anche se c’è chi ipotizza numeri più elevati, fino a 100 milioni”. Illustrati i dati l’articolo affronta le sfide e parte dalla più grave: i danni causati mondialmente parlando dallo scandalo degli abusi. Liquidato all’inizio, da alcuni, come “questione americana”, ora è attestato come danno globale. La seconda sfida è quella delle vocazioni, in calo, quindi arriva quello delle ostilità: di alcune altre comunità religiose e di alcuni governi. Infine emerge la sfida della pandemia.
“Fin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco si è impegnato a spingere la Chiesa in avanti, proiettandola verso un mondo tanto bisognoso del Vangelo e distogliendola da una focalizzazione «autoreferenziale» su se stessa e sui propri problemi. Il Papa immagina un discepolato missionario, capace di combattere i «miti della modernità» («individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole») e di portare la buona notizia alle periferie, a tutti gli esclusi: i poveri, i migranti, i sofferenti. Egli desidera che la Chiesa venga conosciuta non per ciò a cui è contraria, ma per quello a cui è favorevole, una Chiesa che costruisce ponti. Quale aspetto potrebbe assumere una Chiesa siffatta?”.
La domanda è di assoluta rilevanza anche per noi, che vediamo come Francesco tenti di far emergere il sinodo della Chiesa in Italia davanti a tante resistenze ma anche davanti a tanta chiara urgenza. L’autore del saggio cita la previsione di John Allen nel 2009: “Esso sarà per lo più non occidentale, non bianco e non ricco, più conservatore sulle questioni sessuali, più liberale sui temi della giustizia sociale; sarà contrario alla guerra, favorevole alle Nazioni Unite e diffidente verso il capitalismo del libero mercato; più biblico ed evangelico nell’affrontare le questioni culturali; più attento alla propria forte identità cattolica di fronte al pluralismo religioso. La Chiesa del futuro sarà più giovane, più ottimista e più aperta alla pratica religiosa indigena”.
Quindi padre Rausch presenta alcune idee su come sarà la Chiesa. La prima è che sarà policentrica piuttosto che eurocentrica, sinodale, cioè meno orientata a governantesi in modo verticale, “favorendo la varietà nella teologia, nella liturgia e nella pratica pastorale”. Un nuovo corso si vede già in America Latina, come in Africa la ricerca di una nuova teologia autenticamente africana, “favorendo la varietà nella teologia, nella liturgia e nella pratica pastorale”. Emergeranno dunque nuove autorità, non solo nel rafforzamento delle Conferenze Episcopali nazionali, ma anche di quelle regionali, come la Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche. Questo vuol dire una governance più inclusiva delle diversità. Ma la Chiesa sinodale potrà essere Chiesa del sinodo dei vescovi? I vescovi sono 5600 a livello mondiale. Ecco che emerge un’indicazione importantissima: “Talvolta è accaduto che laici, uomini e donne, abbiano preso parte a gruppi linguistici sinodali, e si possono trovare altre modalità per coinvolgerli in maniera efficace. I due Sinodi sul matrimonio e sulla famiglia (2014-15) e il Sinodo dell’ottobre 2019 sull’Amazzonia sono stati molto diversi da quelli che li hanno preceduti. Al loro interno si è sviluppata una libera discussione su questioni controverse, come non si verificava dal Concilio Vaticano II”.
Qualche indicazione ulteriore emerge anche dai territori: “Con quello che è stato definito un «esercizio di sinodalità» i vescovi francesi hanno allargato la loro Assemblea plenaria del novembre 2019, consentendo a ciascun vescovo di es- sere accompagnato da due fedeli, uomini o donne, ordinati o laici, per riflettere insieme a loro sulla missione futura della loro diocesi. Anche la Germania sta sviluppando un processo sinodale”. Basta? No, non basta. C’è anche Roma e i criteri di selezione dei vescovi: “I laici, uomini e donne, potrebbero essere rappresentati meglio anche nei dicasteri vaticani e dovrebbero avere voce in capitolo nella scelta dei loro vescovi. L’attuale sistema non sempre riesce a essere rappresentativo di tutte le voci ecclesiali. Un sistema di candidature da parte delle diocesi locali, con il diritto del Papa di prendere la decisione finale, potrebbe rendere possibili al tempo stesso la partecipazione locale e la supervisione papale”.
Questa Chiesa, che Francesco sta cercando di far emergere, per “riuscire a evangelizzare le diverse culture in cui vive, deve inculturarsi. Significativi sono, a questo riguardo, la scelta, da parte di papa Francesco, di cardinali provenienti da sedi non tradizionali e l’inclusione delle voci delle Conferenze episcopali regionali nelle sue lettere apostoliche, come pure la sua insistenza sulla sinodalità”. Molti si sono attardati a leggere questo come una riduzione del peso dell’Italia o delle famose “sedi cardinalizie”, perdendo completamente il punto. Emblematico poi è stato il sinodo per l’Amazzonia. Si è detto: un sinodo per sole 3 milioni di persone, quanti sono gli indios amazzonici? No. Ci sono anche 31 milioni di coloni, non amazzonici. E poi ci sono milioni di incendi dolosi, per liberare chilometri di foresta pluviale e renderli disponibili all’agricoltura intensiva o all’allevamento del bestiame. Quegli incendi annunciano attività inquinanti, sfruttamento sessuale, transfer di popolazione. Ecco perché più che gli uomini “pennuti”, come dissero alcuni, il sinodo cercava una Chiesa dal volto amazzonico. È davvero questo “un attacco alla signoria di Cristo”? Sembra evidente, sebbene l’articolo non lo dica, che l’Amazzonia è un luogo teologico, come lo sono i milioni di “migranti”.
Dopo essersi soffermato sull’esplosione dei ministeri laicali, cioè di quei servizi (ministeri) svolti nelle parrocchie, nelle diocesi, da uomini e donne laici, l’articolo si sofferma sui sacerdoti, che nel 2017 sono diminuiti a livello globale, come non accadeva dal 2010. Come non affrontare il discorso sia valorizzando il diaconato sia ripensando i seminari? “Se si collocano i seminaristi in strutture tutte maschili e semi-claustrali, dando luogo a una formazione per isolamento, non li si prepara ad affrontare le sfide del mondo attuale. Molti di loro hanno scarsa percezione delle sfide della vita familiare o dei rapporti di lavoro equi con i ministri laici. La maturità affettiva e psicosessuale e il clericalismo sono questioni cruciali da affrontare, come ha dimostrato la crisi degli abusi sessuali”.
Tutto questo non implica solo seminari misti, come la vita e la società, ma anche nuovi sacerdoti che siano capaci di dialogare. Il mondo in cui si poteva imporre la propria visione non esiste più. “I giorni in cui poteva limitarsi a imporre la propria visione morale alla società tramite le leggi civili – l’antica alleanza fra il trono e l’altare – sono finiti in gran parte del mondo. La Chiesa ha bisogno di dialogare con la cultura, portandole il contributo delle sue tante risorse personali e istituzionali. È la via seguita da papa Francesco, che invoca un dialogo sincero con le istituzioni sociali e civili, con i centri universitari e di ricerca, con i leader religiosi e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per la costruzione nella pace di una società inclusiva e fraterna e anche per la custodia del creato”.
Bisogna imparare a dialogare anche con le nuove Chiese. Anche in questo l’articolo è profondamente innovativo, e fa capire quanto sia vero che pensare di poter restare fermi danneggi se stessi e anche gli altri. “Le Chiese occidentali e quelle del Sud del mondo possono imparare molto le une dalle altre. Dotate di un forte senso della loro missione evangelica e dei doni dello Spirito, le nuove Chiese sono comunità vitali, sebbene abbiano bisogno di andare oltre la loro predicazione su salute e ricchezza; di imparare che fede e ragione collaborano; e di ricercare l’unità visibile con le altre Chiese. Le Chiese occidentali possono avere un contatto più forte con la tradizione storica della Chiesa e con le dimensioni sociali della sua missione, ma la loro teologia troppo spesso è stata inquinata dal razionalismo illuminista, per cui oggi è necessaria una maggiore attenzione all’esperienza e alla percezione della vicinanza di Dio”. Sono le sfide ecclesiali di Francesco.