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La parabola russa (e bielorussa) spiegata da Nona Mikhelidze

Putin ha soffocato le opposizioni, come ha cercato di fare Lukašenka, ma il rischio per Mosca è ritrovarsi tra qualche anno in una situazione simile a quella di Minsk, con la società civile in conflitto aperto contro il governo, spiega Mikhelidze (IAI), che racconta l’incontro con la leader bielorussa Tikhanovskaya

“È  stato inusuale per i bielorussi vedere le donne leader delle proteste, ma le donne sono dovute stare in prima linea perché i nostri uomini erano già in carcere quando è iniziata questa campagna pre-elettorale […] E dopo le elezioni fraudolente, il regime ha realizzato tre giorni di inferno: migliaia di uomini sono stati arrestati, sono stati brutalmente picchiati, e le donne sono dovute uscire per sostenere gli uomini, comprendendo che stavano lottando per il loro futuro, per i loro bambini, contro la violenza e la tortura”. Svetlana Tikhanovskaya, leader della società civile in Bielorussia, lascia con la visita in Italia un messaggio forte, amaro, positivo. Rivendica un successo elettorale che gli è stato negato dal batka, Aleksander Lukašenka, padre e padrone della Russia Bianca, che ha stretto la presa sul potere e avviato dalla scorsa estate un’azione severissima contro le opposizioni che ancora si porta dietro gli strascichi.

Nona Mikhelidze, a capo del programma Europa orientale e Eurasia dello IAI, ha incontrato personalmente Tikhanovskaya e racconta a Formiche.net che le proteste nel Paese non sono scomparse nonostante le repressioni durissime. Lukašenka ha usato armi e manganelli, arresti e violenza, ma non è riuscito a soffocare i movimenti che gli si oppongono – continuati anche in inverno, esplosi su Internet, mossi da una resistenza popolare che parte dal basso e diventate oggetto di relazioni internazionali come dimostra il viaggio di tre giorni di Tikhanovskaya in Italia e in altri paesi europei (“tutti i paesi democratici che stanno supportando il popolo bielorusso nella sua lotta per la democrazia”, ha detto la leader bielorussa).

“È diventato chiaro che questa è una lotta non tra Lukašenka e un’opposizione, ma tra lui e il popolo bielorusso che chiede libere elezioni. Le violazioni inaudite dei diritti umani hanno imposto un rallentamento delle proteste di massa, ma si sono prodotte iniziative creative che coinvolgono la quotidianità dei cittadini nella resistenza”, spiega Mikhelidze. “Le persone in Bielorussia, per voce di Tikhanovskaya, chiedono all’Occidente di essere fedeli ai propri valori, che sono universali come quello del rispetto dei diritti umani, e di dare sostegno alla resistenza nel Paese, mostrando fedeltà a quei valori”, aggiunge.

Recentemente il ministro degli Esteri di Minsk ha dichiarato a Euronews che la reazione del governo alle proteste è stata giusta e giustificata. La situazione in Bielorussia, il supporto di Mosca, la violazione continuativa dei diritti umani, è una di quelle questioni che ha allargato la faglia esistente tra Ue e Russia. Una distanza che si è nelle ultime ore acuita con le sanzioni (divieto di ingresso nel Paese) disposte contro il presidente del Parlamento europeo, la vicepresidente della Commissione europea e altri sei alti funzionari istituzioni europei.

“Non è il primo passo ostile – sottolinea l’esperta dello IAI – e dimostra ancora che la Russia non è pronta per dialogo, come già messo in chiaro con la visita di Josep Borrell, quando l’Alto rappresentante ha cercato di essere aperto (anche mostrandosi debole) ed è stato accusato in conferenza stampa dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, di essere rappresentante di un attore ipocrita (l’Ue, ndr), capace solo a sanzionare e non interessato ad avvicinarsi alla Russia. È chiaro che a Mosca non interessi parlare con Bruxelles, ma avere sotto controllo il rapporto bilaterale con alcuni paesi come Germania, Francia e in parte Italia. Questo perché l’Europa non è percepito come un soggetto geopolitico dal Cremlino”.

Tutto mentre proseguono le richieste da Bruxelles per la liberazione del leader della lotta alla corruzione e simbolo delle opposizioni anti-Putin, Alexei Navalny. “Il governo russo – continua Mikhelidze – ha deciso di rendere impossibile la vita ai gruppi dell’opposizione, perché ha deciso che non deve esistere un’opposizione. Basta pensare che il network di Navalny verrà con ogni probabilità messo fuorilegge come organizzazione estremista. Adesso la possibilità dei gruppi di attivisti e della società civile di cambiare qualcosa in Russia è praticamente pari a zero”. “Organizzazione estremista” significa identificare il movimento di Navalny alla pari di al Qaeda, Is, neonazisti; da aggiungere che recentemente la testa Meduza – l’unica che faceva opposizione sui media – è stata identificata come un “agente straniero”, e dunque destinata alla chiusura.

Mikhelidze ricorda che secondo un sondaggio del Levada Center il gradimento di Vladimir Putin è sceso a un livello storicamente basso negli ultimi tre anni: parliamo comunque di percentuali al di sopra della normalità europeo, ma l’analista sottolinea che quello che conta è il trend. Putin si sta indebolendo? “Non è assurdo pensare – continua – che fra qualche anno ci si possa trovare davanti a qualcosa di simile a quanto sta avvenendo in Bielorussia. Non tanto un conflitto tra gruppi di opposizione e governo, ma tra società civile e stato”.

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