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Sui vaccini no a ultimatum, sì alla prudenza. Gli appunti di Polillo per il vertice Ue

Produrre un vaccino, che abbia tutti i crismi necessari, non è una cosa semplice. Non basta conoscere la formula. È necessario conoscere quel know how che è stato il frutto di una lunga sperimentazione e che solo i proprietari del brevetto sono in grado di fornire. Occorre una collaborazione straordinaria. E questa può essere ottenuta sola se non si lanciano ultimatum. Ma si invita ad uno sforzo comune, garantendo che, comunque vada, alla fine si ripristinerà la legalità del mercato. Che rimane garanzia di libertà e di responsabilità. Il commento di Gianfranco Polillo

La decisione di Joe Biden di chiedere una moratoria sui brevetti del vaccino anti-Covid è piombata, come un fulmine, sulla Riunione informale dei capi di Stato o di governo, in programma a Porto, la terza città del Portogallo, sulle rive del fiume Duero, di fronte all’Oceano Atlantico. Ed ha costretto tutti i leader europei a prendere posizione. Immediato il “sì” di Emmanuel Macron, subito seguito da quello della Spagna. Aperture anche da parte del Presidente Putin, più scettici invece i cinesi. Defilate, almeno così è sembrato, le posizioni dei principali leader europei: da David Sassoli, a Ursula von del Leyen, per finire con Charles Michel.

Negli occhi della popolazione mondiale, grazie alle antenne della Tv globale, sono ancora presenti le immagini di un India devastata. Roghi in mezzo alle strade per bruciare i cadaveri. L’ossigeno che manca e rende drammatica la vita di coloro che hanno contratto il morbo. L’idea che il mondo intero sia di fronte ad una delle tante mutazioni del virus, con tutte le incognite che questa incertezza determina. Insomma: sono stati tanti gli stimoli emotivi che hanno consentito a Joe Biden di cambiare radicalmente una vecchia posizione di rifiuto. Com’era stata quella sostenuta, in precedenza, dall’amministrazione americana e dalla stessa Commissione europea in sede di Wto.

Era indispensabile? Ci vorrebbe una certa prudenza. Nello spazio di poco più di 60 giorni, stando ai dati pubblicati dalla Johns Hopkins University, i contagi sarebbero aumentati, a livello internazionale, del 36 per cento ed il numero dei decessi del 27,5 per cento. In valore assoluto i contagiati avrebbero raggiunto un totale pari ad oltre 155 milioni, mentre i decessi avrebbero superato i 3 milioni. Cifre indubbiamente impressionanti, anche se da rapportare ad una popolazione mondiale di oltre 7.858 milioni di individui.

La stessa India, al di là delle immagini televisive, mostra coefficienti di rischio che sono decisamente inferiori a quelli italiani. Poco più di 21 milioni di contagiati e 230 mila morti, su una popolazione pari ad oltre 1.381milioni di abitanti. Il numero dei decessi per 100 mila abitanti, pari a 16,84, rimane pertanto un dodicesimo dei valori italiani (202,34 decessi per 100 mila abitanti). Cifre che, naturalmente nulla tolgono al dramma di un Paese in gran parte dominato da quel sottosviluppo, che la globalizzazione è riuscita appena a sfiorare.

La complessità della situazione spiega pertanto le più equilibrate posizioni di Mario Draghi. Il quale ha cercato di focalizzare l’attenzione sul da fare più immediato, evitando di impantanarsi in una discussione tutta giuridica e, comunque, dagli esiti imprevedibili. Tanto più che l’India è il principale produttore di vaccini. Due sono i problemi di base, che richiedono una corsa contro il tempo. Il produrre il massimo sforzo possibile per implementare la produzione dei vaccini, approntare una logistica efficiente, in grado di distribuire, nei modi più rapidi possibili, un prodotto estremamente deperibile. Basti pensare alle elevate basse temperature richieste dalla sua conservazione.

L’idea di giungere all’abolizione dei brevetti risolve o aggrava questi problemi? Questo è il terreno principe su cui misurarsi e per le quali le risposte si avranno solo mangiando il budino. Come reagiranno, infatti, le principali industrie produttrici? Ci saranno scontri legali e lungaggini burocratiche? Ad Angela Merkel, ovviamente, sono fischiate le orecchie. Il Pfizer è prodotto dalla tedesca BionTech. Ed è difficile credere che la società abbia apprezzato la proposta americana. E, come al solito verrebbe da dire, la Cancelliera tedesca non ha esitato a correre il rischio di andare contro corrente, per riaffermare una posizione di buon senso.

Il nodo non è giuridico. Vi sono infatti mille altri modi per fornire il vaccino ai Paesi più poveri. Non dimenticando, comunque, qual è l’origine del virus e la sua capacità di diffondersi maggiormente nei Paesi del benessere e nelle realtà più globalizzate. Il che è un bene, ovviamente, per i Paesi più fragili dal punto di vista economico e sanitario. Altrimenti, date le loro strutture, la Caporetto finale sarebbe a portata di mano, inverando una delle più oscure profezie di Thomas Malthus. Le catastrofi naturali – sempre che il virus sia tale – come strumento a risolvere gli eccessi di sovra popolazione.

Produrre un vaccino, che abbia tutti i crismi necessari, non è una cosa semplice. Non basta conoscere la formula. È un po’ come la Coca-Cola. Richiede innanzitutto molteplici componenti, molti dei quali scarseggiano, quindi, a parte la disponibilità di adeguati macchinari, quel known how che è stato il frutto di una lunga sperimentazione e che solo i proprietari del brevetto sono in grado di fornire. Da questo punto di vista tecniche, per così dire, di esproprio servono a poco. Occorre al contrario una collaborazione straordinaria. E questa può essere ottenuta sola se non si lanciano ultimatum. Ma si invita ad uno sforzo comune, garantendo che, comunque vada, alla fine si ripristinerà la legalità del mercato. Che rimane garanzia di libertà e di responsabilità.

Con questi temi complessi dovrà misurarsi il vertice europeo, in un’atmosfera in precedenza già resa effervescente dalle dichiarazioni di Joe Biden. E che, domani si caratterizzerà con un lungo faccia a faccia, seppure in videoconferenza, con il primo ministro indiano Narendra Modi. Di fronte al rappresentante di quel Paese, l’Ue dovrà dimostrare di avere delle cose da dire, per tener fede alla tabella di marcia quinquennale per il partenariato strategico, secondo quanto già deciso in occasione del precedente vertice di circa un anno fa. Da questo punto di vista le dichiarazioni del presidente americano non sono state proprio il cacio sui maccheroni. Piatto a Washington molto apprezzato, ma solo a condizione che non sia cucinato dagli stessi chef locali.


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