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La Pad (Politica a distanza) è stata un fallimento

Di Igor Pellicciari e Fabio Bordignon

Lo streaming ha permesso di tenere viva l’attività politica durante i lockdown, ma ha anche dimostrato l’importanza degli incontri dal vivo e la povertà dell’esercizio individuale del potere. Se in un summit da remoto il collegamento web è disturbato, è un disguido tecnico; Ursula Von der Leyen che resta senza sedia ad Ankara è uno schiaffo alla Ue. L’analisi di Igor Pellicciari (Università di Urbino, Luiss) e Fabio Bordignon (Università di Urbino)

Forse la domanda più frequente rivolta ai nati bilingue – è quali idiomi usino per pensare, come se le parole venissero prima del ragionamento e non viceversa.

È divertente e innocuo errore di prospettiva, facile da svelare.

Il linguaggio è tra i vettori con cui si esprime il pensiero, utile ma non imprescindibile.

Come al non-vedente non è certo precluso il sognare immagini e colori.

Eppure, lingue ricche come l’italiano creano interessanti circostanze dove un gioco di parole o una stortura, magari casuali (un lapsus, un errore di battitura, un semplice escamotage) anticipa il ragionamento e lo stimola a plasmarne via via il significato.

È il caso dell’acronimo PAD (Politica a Distanza), coniato semi-seriamente a latere di nostri articoli sull’impatto della forzata digitalizzazione imposta dal Covid sulla vita politica interna e su quella internazionale.

Superato l’effetto ironico del momento (in periodi di lockdown basta poco per sorridere o piangere) ha senso tornare sul termine e dargli una sua dignità; elevarlo a categoria a se stante, utile per rileggere trend e prassi introdotte dalla pandemia.

Al tempo del virus, la PAD ha funzionato al contempo da àncora di salvezza e dispositivo rivelatore. Ha consentito alla democrazia di funzionare, nei mesi della più significativa sospensione della routine istituzionale dal secondo dopoguerra. Ha però messo pure in evidenza limiti e insidie della democrazia senza corpi, senza movimento, privata dell’interazione diretta. In questo modo, ha aggiunto ulteriori interrogativi al dibattito sulla democrazia digitale.

In diversi contesti nazionali, parlamenti e governi hanno potuto continuare a “riunirsi” e deliberare (anche) attraverso l’innovazione dei regolamenti e l’ausilio (temporaneo) delle “piattaforme”. In tempi di restrizioni agli spostamenti, i cittadini hanno potuto votare a distanza: via posta o via web. Hanno trovato nello spazio online nuove opportunità di partecipazione. Più di quanto fosse già avvenuto in epoca pre-pandemica, sono così emerse forme inedite di mobilitazione immobile. Contaminazioni tra online e offline.

La politica, tuttavia, non può esaurirsi nella dimensione individuale. Esercitarsi in forma privata. Alla lunga, nessuna piazza virtuale, per quanto sconfinata, contiene la stessa spinta politica di quella reale. Una piattaforma online non accoglie la spinta politica di un’agorà fisica, né le permette di esprimersi. Svariati Leader politici carismatici, al pari degli influencer star dei social, hanno perso smalto nel periodo del primo lockdown. Confinati nel cyberspazio, distanziati dal loro popolo, hanno perso la “connessione” con i loro follower.

In numerosi paesi (dalla Spagna all’Australia, dall’Argentina all’Irlanda, solo per fare degli esempi) si è così assistito a violazioni al divieto di occupazione dello spazio fisico: diventata, di per sé, espressione di protesta. Non appena le misure di contenimento sono state allentate, il ritorno dei corpi in movimento si è manifestato in modo dirompente, talora persino violento. Come reazione a problemi prima oscurati e poi ingigantiti dagli effetti del lockdown. Esempio perfetto della sintesi tra queste tensioni è stato l’assalto a Capitol Hill da parte dei fan trumpiani (naturalmente, dopo chiamata alle armi via social).

Nelle relazioni internazionali, l’ingresso della PAD ha segnato più involuzione che evoluzione rispetto alle abitudini pre-pandemiche. Tra gli aspetti negativi delle liturgie istituzionali da remoto, vi è stata la debolezza di contenuti di eventi e summit on-line, accomunati da ridondanza e bassa efficacia decisionale.

Video-conferenze tra leader mondiali hanno fatto rimpiangere i tempi degli incontri tenuti in presenza, espressioni di una diplomazia tradizionale, rivalutata e rimpianta nell’anno pandemico.

A venire meno nella stagione 2020\21 è stata la portata politica degli eventi internazionali, per un intreccio di motivi sia organizzativi che simbolici.

Summit a distanza hanno annullato occasioni di confronto, mediazione e negoziazione a latere degli eventi ufficiali, in genere sconosciute alle cronache ma decisive per l’aiuto che danno al continuo ricalibrarsi delle politiche estere a confronto.

La debolezza dell’evento internazionale in remoto non è stata tanto nell’assenza fisica dei leader, quanto delle delegazioni che in genere viaggiano al loro seguito, protagoniste assolute di un dietro le quinte denso di sostanza diplomatica, venuto oggi completamente a mancare.

Infine, ad aggravare il senso di inconsistenza della PAD in politica estera è stata la scoraggiante banalità delle raffigurazioni e coreografie ufficiali a corredo degli eventi, come quella del leader di Governo seduto compunto al tavolino davanti ad un televisore, simile ad un candidato ad un colloquio di lavoro o ad uno studente un po’ attempato collegato da casa.

Sono immagini da “il Re è nudo”, prive di quella simbologia e sacralità che nei secoli ha caricato di significato e rispetto le istituzioni e chi le rappresentava, per il solo motivo di essere solenni e visibili.

Con le relazioni Internazionali in carne ed ossa assenti, è emerso in tutta chiarezza quanto fossero importanti nel passato servizi diplomatici spesso incompresi come il protocollo, incaricati di occuparsi di aspetti all’apparenza formali ma in realtà portatori di grande sostanza.

Involuzione della politica estera, la PAD non riesce a cogliere questi aspetti e paga un prezzo per l’occasione mancata, nell’illusione che basti un video ad alta definizione perché parta un dialogo off the record tra leader nazionali.

Se in un summit da remoto il collegamento web è disturbato, si tratta di un disguido tecnico; invece Ursula Von der Leyen che resta senza sedia ad Ankara è uno schiaffo alla Ue.

Politico, proprio perché avvenuto in presenza.

[Nella foto: Boris Johnson alza la mano durante una riunione del G7 in videoconferenza]

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