Cosa ci dice la storia del principe Micheal di Kent, parente stretto della regina Elisabetta, sorpreso a promettere a finti uomini d’affari un incontro con Putin, dei rapporti fra Buckingham Palace e il Cremlino. L’analisi di Igor Pellicciari (Università di Urbino/Luiss)
Ha suscitato comprensibile interesse, misto a sarcasmo e un po’ di preoccupazione, la notizia che un membro della famiglia reale britannica, stretto parente della Regina Elisabetta II, abbia offerto a finti uomini d’affari (in realtà giornalisti investigativi) servizi di consulenza per garantire un accesso diretto a Vladimir Putin.
Michael di Kent è caduto vittima di una trappola che nella dinamica ricorda molto quelle a suo tempo tese rispettivamente a Gianluca Savoini e Heinz Christian Strache, anche se questa volta lo scandalo presenta risvolti meno giudiziari e più politici.
Non sorprende l’attività di lobbysmo svolta dal principe, consentitagli in quanto non working royal senza sussidi pubblici, ma il vantare un rapporto stretto e personale con il leader del paese che Londra considera acerrimo competitore internazionale.
Sentimento ricambiato con schiettezza da Mosca.
I motivi di questa rivalità sono tradizionali e assumono connotati politici, istituzionali, finanche socio-culturali.
Imperi classici di estensione territoriale, Londra e Mosca sono state accomunate da ambiziose strategie su scala globale, che le ha portate a muoversi con obiettivi geo-politici simili per terra e per mare.
Nemmeno la grande lontananza e l’esigua dimensione dello scenario di turno ne ha pregiudicato l’azione decisa del caso: le lontane isole Kuril sono per Mosca importanti quanto per Londra quelle lontanissime delle Falkland.
Spesso in rotta di collisione sul piano multilaterale (in primis, nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu), si fatica a trovare tra i principali scenari degli ultimi due decenni (dalla Siria all’Ucraina, al Kosovo al Venezuela) loro posizioni che non siano in frontale contrapposizione.
Come ha ricordato il recente scontro diretto sfiorato nel Mar Nero.
ll tradizionale rigido modello statalista ministeriale e l’estremo centralismo amministrativo russo sono apertamente ispirati alla Francia, paese europeo che nei secoli più si è contrapposto alla politica estera d’oltre manica.
Davanti ad un simile incrocio di destini, le opportunità di rivalità si sono moltiplicate, facilitate dal comune rivaleggiare nel potenziamento ossessivo delle rispettive diplomazie, eserciti e servizi di intelligence.
Al netto degli obiettivi dietro la trappola tesa al principe Michael (da tempo è in corso una campagna di de-legittimazione della casa reale, che ha risparmiato solo la Regina), l’episodio permette di richiamare aspetti dei rapporti russo-britannici (o meglio russo-inglesi) meno noti ma in realtà importanti.
Al centro vi è il crescente ruolo ricoperto a Londra da un élite russa, la cui prima generazione negli anni 90’ vi era approdata cercando riparo per sé e per i propri ingentissimi capitali.
Abbandonato ogni ruolo attivo in Russia, essa aveva faticato ad integrarsi nella selettiva high society della City, diffidente nei confronti di arricchiti late comers stranieri, non importa se slavi, asiatici o arabi (il caso eclatante dell’epoca fu Mohamed Al Fayed).
La seconda generazione di questa élite invece è cresciuta autoctona, ha frequentato scuole di eccellenza e assimilato in pieno la cultura britannica e – a differenza della prima – ha giocato un ruolo sociale attivo a Londra e a Mosca.
Nel primo caso, è diventata presenza meno imbarazzante per una democrazia britannica avanzata ma proprio per questo non insensibile ai potenziali benefici politici offerti da enormi disponibilità finanziarie personali, tanto più se ripulite di un ingombrante passato.
Nel caso di Mosca, l’élite ha riallacciato i rapporti con la madrepatria grazie all’accordo con i tecnocrati al Cremlino, promotori di una moral suasion per condonare i capitali in rientro in Russia, purché non reinvestiti a fini politici domestici (come nell’azzardo di Mikhail Khodorkovsky).
Questo nuovo ceto russo-britannico, spesso munito di doppia cittadinanza, ha orbitato e partecipato attivamente agli ambiti eventi di socialità organizzati dall’Ambasciata di Mosca a Londra, in particolare nel decennio d’oro del lungo mandato dell’ambasciatore Alexander Yakovenko (2011-2019).
Si è così creato un collegamento stabile, intenso e diretto tra le classi sociali più alte dei due paesi che si è sviluppato dietro le quinte, scollegato e noncurante dei concomitanti momenti di tensione nella politica estera tra Russia e Regno Unito.
È ipotizzabile che, nel promettere un incontro con Putin, il Principe abbia fatto affidamento non tanto ad un improbabile rapporto diretto con il presidente Russo quanto a contatti garantiti da questo canale di rapporti personali nati sulla direttrice Mosca-Londra.
Il che permette una considerazione aggiuntiva su un altro aspetto poco noto della antropologia culturale russa e che riguarda il forte richiamo che su questa esercita l’aristocrazia in tutte le sue forme e coniugazioni.
Il fascino che Mosca ne subisce è più interessato ai rituali e alla sacralità delle istituzioni della nobiltà, meno a quelli del gossip che invece appassionano tanto le cronache rosa Occidentali.
Le radici di questa attrazione affondano nella secolare tradizione zarista di un paese che per ultimo nell’Europa dell’Ottocento ha posto dei limiti costituzionali, peraltro deboli, ad una monarchia-militare ancora titolare di prerogative assolute.
La sistematica e brutale eliminazione fisica e cancellazione culturale dell’aristocrazia applicata nel periodo sovietico ha in realtà fatto covare e alimentato sotto le ceneri curiosità e misticismo verso un mondo letteralmente scomparso, aggiungendovi il fascino del vietato.
L’attuale storiografia del Cremlino, portatrice di una rivalutazione razionalista anche del periodo monarchico, ha determinato il rilancio al contempo delle istituzioni religiose ortodosse e di quelle aristocratiche zariste e ha fatto emergere con vigore un sentimento popolare di attaccamento ad entrambe.
Il che aiuta a capire perché – stando ai commenti a Mosca, dove il Principe è stato l’ultima volta nel 2019 – la popolarità di Michael sarebbe dovuta alla sua forte somiglianza fisica con l’ultimo Zar, Nicola II.
Trattasi di memorabilia monarchica dunque. Non di spia russa a Buckingham Palace.