In un’intervista il professor Jawad al-Khoei, nipote dello scomparso ayatollah al-Khoei, rende noto che si sta lavorando all’incontro tra l’ayatollah al-Sistani e lo sceicco dell’Università islamica, sunnita, Ahmad al-Tayyeb. Un percorso di fratellanza sulla scia di quello intrapreso da papa Francesco. Ma le sue dichiarazioni sono state oggetto di critiche nel mondo islamico. L’analisi di Riccardo Cristiano
Finimondo. Pare che sia scoppiato davvero il finimondo per le affermazioni teologiche contenute nel colloquio pubblicato dal sito al-arabiya.net con il segretario generale dell’istituto al-Khoei, il professor Jawad al-Khoei. È il nipote dello scomparso ayatollah al-Khoei, il più importante nella storia recente dell’islam sciita. È l’ayatollah che ha retto e reso celebre la scuola di Najaf in epoca contemporanea ed ha formato l’attuale ayatollah al-Sistani, che ne segue la teologia.
Nel colloquio il professor Jawad al-Khoei, rendendo noto che si sta lavorando all’incontro tra l’ayatollah al-Sistani e lo sceicco dell’Università islamica, sunnita, Ahmad al-Tayyeb, di fatto ha parlato della fratellanza. Quella fratellanza che ha portato Francesco a raggiungere la firma di uno storico documento congiunto firmato con lo sceicco al-Tayyeb ad Abu Dhabi e poi ad incontrare proprio a Najaf l’ayatollah al-Sistani. Entrambi confermano nella fratellanza umana un cardine per i credenti.
Il professor al-Khoei ha espresso soltanto le sue idee, ma queste idee pesano. Per lui l’islam vola sulle ali di sciismo e sunnismo, bisogna favorire ovunque uno Stato civile, non teocratico o confessionale, fondato sulla partecipazione e il rispetto per tutte le religioni. In tutto questo traspare la forza incoercibile del pontificato di Francesco. È chiaro che se le supreme autorità teologiche sciita e sunnita si dovessero incontrare, come evidentemente auspicato dalle supreme autorità politiche irachene che hanno ufficialmente invitato lo sceicco al-Tayyeb in Iraq subito dopo la partenza del papa da Baghdad, lo farebbero per loro scelta e determinazione a porre termine a un odio confessionale oggi molto usato dalla politica imperiale degli opposti schieramenti. È chiaro anche però che è il pontificato di Francesco ad aver abbattuto il muro dell’autoreferenzialità, offrendosi anche come ponte nelle difficoltà a capirsi tra chi non si sente capito. Una Chiesa globale e non più occidentale può riuscire come sincero facilitatore non solo favorendo il dialogo con se stessa, ma anche tra gli altri. Questa apertura riguardosa all’altro ha aperto allo sceicco al-Tayyeb, e sebbene se ne sappia di meno, ha chiaramente corrisposto al desiderio di superare un confessionalismo chiuso anche quando è andato a Najaf, per incontrarsi con l’ayatollah al-Sistani.
Ma non è la prospettiva dell’incontro l’oggetto del finimondo. Sono le dichiarazioni di Jawad al-Khoei. Cosa c’è che non va nel vedere nell’islam un uccello con due ali? Cosa c’è che non va nell’auspicare uno Stato che noi diremmo laico ma in arabo si dice Stato civile per l’assenza del vocabolo (laico diviene qualcosa di simile al nostro laicista)? Cosa c’è che non va nell’archiviare il cameratismo confessionale?
Non va la concezione del tempo. Il tempo per alcuni gruppi miliziani e integralisti, quelli che devono aver contestato le tesi del professor Jawad al-Khoei, non comporta distinzione tra passato, presente e futuro. Il loro tempo non è il tempo storico. Quando ricordano il martirio per mano dei fondatori della dinastia omayyade dei capostipiti dello sciismo, il califfo Ali e l’imam Hussein, per loro ricordano un episodio iscritto nel passato, nel presente e nel futuro.
Il professor Antoine Courban, libanese, scrivendone ha trovato nel poeta irlandese Joseph O’Connor le chiavi per farci entrare in questa concezione del tempo nella poesia dell’irlandese O’Connor, “Fiannaland”, da Fianna, cioè orda. Comporta la negazione stessa del tempo storico, del divenire. “Questo è un luogo”, scrive O’Connor, “dove gli eventi accaduti secoli fa vengono discussi con l’amarezza corrosiva del dolore recente; dove le tragedie accadute ad altri morti molto tempo fa vengono raccontate come se noi stessi fossimo le vittime attuali”.
Infatti, commentando questo brano di O’Connor, Courban ha scritto: “In questi luoghi abitati dallo spirito di corpo, dominato dalla volontà di potenza, le lacrime sono inesauribili perché le ferite non si rimarginano mai; nessuna consolazione viene ad aiutare gli afflitti, nessuna misericordia illumina la notte del rimorso e nessun perdono disseta la sete di pentimento”. In questa concezione nessuna redenzione è possibile. E allora si finisce inevitabilmente in una visione messianica e manichea. I figli del bene sono coinvolti in una lotta con i figli del male. È il linguaggio che pervade anche visioni religiose cristiane nemiche di Francesco e della fratellanza. Questa visione che divide ed esclude il tempo (quello che ad esempio noi chiamiamo “un futuro diverso”), chiude i confini dell’orda, è per questo che vive la fratellanza come una sfida inammissibile.
Posti davanti al futuro dei loro popoli e delle scuole teologiche al-Tayyeb e al-Sistani hanno chiaramente indicato con Francesco la scelta opposta, che comporta quanto detto dal professor Yawad al-Khoei e che i giovani dei movimenti di piazza confermano nei fatti. È questo che rende la sfida globale di Francesco la più importante del tempo presente.
(Foto: account Twitter Padre Spadaro @antoniospadaro)