Una politica mondiale, che includa Paesi poveri e ricchi, è divenuta indifferibile. Sorprende l’inanità della comunità internazionale di fronte ad una tragedia dalle proporzioni immani e della quale fino ad oggi abbiamo visto e sperimentato soltanto un assaggio. Se esplodono l’Asia e l’Africa, non si può certo pensare che l’Occidente resti immune. La riflessione di Gennaro Malgieri
Il vento del Covid ha ripreso a soffiare da Oriente e prima poi investirà l’Occidente mentre incominciamo a nutrire tiepide speranze sulla sua resa. L’immunizzazione globale è l’ultima speranza abbracciata da popoli e governi che, complice l’aggressiva variante indiana, sembra inevitabile, ancorché difficile da realizzare, posta la grave carenza in vaste aree del Pianeta dei vaccini necessari, poiché la loro produzione, al momento, è quanto meno improbabile nei Paesi più poveri. Per questo l’indicazione della moratoria dei brevetti è stata drammaticamente lanciata e sostenuta da quasi tutti gli Stati occidentali. Big Pharma fa orecchie da mercante, ma la politica mondiale ha il dovere di imporsi contro il muro eretto dai produttori a tutela dei loro profitti.
L’allarme di una nuova possibile ondata è stato lanciato da Boris Johnson che fino ad oggi è riconosciuto come il primo e indiscusso vincitore della battaglia contro il virus. L’illusione britannica è durata però poche settimane. Si sono manifestati di recente sintomi inquietanti di una sia pur controllabile recrudescenza del Covid tanto che il premier, non facendosi trovare impreparato, ha invocato qualche passo indietro mentre il Regno Unito si sentiva già protetto dai risultati di una campagna vaccinale estremamente efficace. Le cosiddette varianti inglese, brasiliana sudafricana si dice che sono ben poca cosa di fronte al pericolo di quella indiana che sta per ora mettendo a dura prova l’Asia, in particolare Taiwan ed il Giappone che hanno adottato un nuovo duro lockdown, espandendosi fino alla Nuova Zelanda e all’Australia che da settimane si consideravano immuni dalla ripresa di diffusione del morbo.
Si teme per il Continente africano che fin qui ha dato relativamente pochi segni di contagio a largo spettro rispetto a quanti se ne attendevano. I Paesi più poveri non sono nelle condizioni di approvvigionarsi dei vaccini necessari e le strutture sanitarie sono scarsissime, per non dire inesistenti, tranne che in nazioni abbastanza autosufficienti che possono fronteggiare la pandemia. La globalità della tragedia, della quale uno degli esempi più devastanti è il Brasile che con altri Paesi sudamericani è parte dell’area, a parte l’India, più colpita e meno protetta per esclusiva irresponsabilità dei governanti che hanno in Jair Bolsonaro l’esempio inquietante della inettitudine e della arroganza, impone a questo punto, come si legge in molti autorevoli reportage, chissà perché minimizzati dalla stampa italiana, la predisposizione di quella che sembrava una prospettiva fantascientifica: l’immunizzazione planetaria che non sarà, a detta degli esperti, né facile né breve. Sicché la circolazione del virus che non conosce barriere nazionali e geografiche, sta assumendo un andamento ondivago e variabile che con gli strumenti tradizionali nessuno sembra riesca a domare.
Affidarsi soltanto a una gigantesca e forse irrealizzabile campagna vaccinale simultanea e di pari intensità in tutto il mondo potrebbe non bastare. Occorre prevenire laddove è possibile chiudendo le aree più esposte al rischio, come ha fatto il Giappone incurante delle ricadute economiche negative, ed attrezzando strutture ospedaliere adeguate a ricevere i contagiati oltre che approntare farmaci che possano essere somministrati negli ambienti domestici. È la priorità di tutte le politiche. Anche se da noi un barlume di speranza si sta lentamente manifestando, non credo sia il caso, come insegna l’esperienza britannica, di abbassare la guardia.
Purtroppo l’esperienza di questi ultimi due anni circa, ci racconta una storia orrenda in fase di sviluppo ovunque: siamo, e probabilmente lo saremo a lungo, schiavi di vaccini sempre più potenti e tecnologicamente avanzati, ma che se non raggiungono tutta la popolazione mondiale a poco serviranno. È questo l’aspetto più sconcertante della pandemia entrata da tempo in uno stato endemico. Può dare ristoro per alcuni mesi, ma nei tempi ragionevolmente brevi non ci saranno luoghi totalmente covid free nei quali ci si potrà dire al riparo dal virus.
Una politica mondiale, che includa Paesi poveri e ricchi, è divenuta indifferibile. Sorprende l’inanità della comunità mondiale di fronte ad una tragedia dalle proporzioni immani e della quale fino ad oggi abbiamo visto e sperimentato soltanto un assaggio. Se esplodono l’Asia e l’Africa, non si può certo pensare che l’Occidente resti immune. E quante “ondate” potremo a ripetizione sopportare?
È forse il caso – per quanto la prospettiva faccia rabbrividire – di mettere da parte, o comunque in secondo piano, le preoccupazioni economiche, riducendole al minimo, per far avanzare un progetto mondiale, per come le costumanze globaliste ci impongono, che possa in tempi purtroppo non brevissimi salvare l’umanità. Praticamente è indispensabile dare una spinta decisiva all’immunizzazione di quella parte del mondo ancora “nuda” profittando della relativa tregua che si manifesta in Occidente. E, nel contempo, moltiplicando i centri di produzione dei vaccini ovunque, perfino nelle aree più impervie. E al diavolo i brevetti e lo sfruttamento della pandemia a scopo di lucro.