Nella visione del papa il sinodo non sarà fatto da delegati, religiosi e laici, a un incontro nazionale. No. Sarà diocesi per diocesi, fin dentro la più piccola parrocchia. Perché solo raggiungendo tutti i fedeli, e trovando con loro la ricetta condivisa per affrontare i problemi del presente, si potrà contare sulla verità del popolo fedele di Dio infallibile in credendo
Papa Francesco arriva all’Hotel Ergife per aprire i lavori dell’assemblea dei vescovi e subito è uscito dal “protocollare”, come è nel suo stile. Infatti già aprendo il suo saluto ha detto che arrivando si è chiesto se ci fosse il concorso per scegliere il vescovo più bello, visto che all’hotel Ergife si svolgono tantissimi concorsi. I formalismi non sono cari a Francesco e non si può negare che anche nelle occasioni più protocollari lui sappia aiutare tutti a muoversi. Il movimento d’altronde è un po’ la cifra del papa della “Chiesa in uscita”, una Chiesa non burocratica.
Quindi è arrivata la seconda sorpresa, ben più sostanziosa. Bergoglio ha infatti annunciato subito ai vescovi che non avrebbe fatto un suo discorso, ma risposto alle domande dei vescovi, per parlare di ciò che interessa e non di cose astratte o che non “vi interessano e quindi non interessano nessuno”. Ha premesso però che ci sarà un lavoro di revisione sui seminari in Italia, con il vescovo preposto, perché sistemi rigidi e errori selettivi hanno creato diversi problemi. Quindi ha fatto un riferimento, breve ma chiarissimo al punto che è al centro dell’assemblea: il sinodo della Chiesa in Italia. Il tema gli è molto caro perché è da sei anni che lo chiede, nel silenzio abbastanza marcato dei vescovi italiani. Ma la pandemia ha cambiato molte cose. Si può ripartire senza cercare un’elaborazione del trauma dei fedeli e della società? Quando Francesco dice che non si torna indietro, che da una crisi si esce migliori o peggiori, non uguali a come si era prima, non dice che occorre fare questo?
Ecco allora che il papa, con poche parole, ha chiarito che quello che questa assemblea dovrà convocare è un sinodo “dall’alto e dal basso”. L’alto è l’Incontro Ecclesiale di Firenze del 2015 nel quale per la prima volta parlò dell’urgenza di un sinodo: quell’incontro è un patrimonio della Chiesa italiana. Il basso è tutto il territorio, ogni singolo luogo dove vive anche il più piccolo gruppo del popolo di Dio in cammino. Quindi nella visione del papa il sinodo non sarà fatto da delegati, religiosi e laici, a un incontro nazionale. No. Sarà diocesi per diocesi, fin dentro la più piccola parrocchia. Perché solo raggiungendo tutti i fedeli, e trovando con loro la ricetta condivisa per affrontare i problemi del presente, si potrà contare sulla verità del popolo fedele di Dio infallibile in credendo. Allora la richiesta è quella di un metodo nuovo: non più indicazioni calate dall’alto, non più progetti culturali, ma una riflessione collettiva, quindi davvero ecclesiale.
Al convegno di Firenze le sue parole al riguardo furono chiarissime, ma col passare del tempo è come se fossero sparite nella fretta e nell’ amnesia, alla quale ha fatto un garbato ma esplicito riferimento. A Firenze Francesco disse: “Non dobbiamo essere ossessionati dal potere, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente. Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti”.
Poi ha dato la parola ai vescovi e a quel punto i lavori sono proseguiti a porte chiuse, senza più collegamento televisivo, come è prassi dopo i discorsi dei pontefici. In questo caso però il discorso non c’è stato. Sarebbe stata possibile una scelta diversa, visto che si parlava di sinodo?