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Centrodestra, identikit del candidato perfetto. La bussola di Ocone

Dopo anni di sbornia sulle presunte e “superiori” virtù della “società civile”, sulla politica che poteva essere fatta da chiunque perché in fondo è solo mera e “onesta” amministrazione (“uno vale uno”); si è capito oggi che essa ha bisogno di competenze specifiche e di lungo corso per ottenere qualche risultato. La bussola di Corrado Ocone

Non è facile trovare un candidato sindaco per Roma e Milano. Sarà pure una questione di equilibri interni alle tre forze del centrodestra, come dicono un po’ tutti i commentatori sui giornali di stamane, ma lo stallo (relativo) dipende anche dal fatto che non ci si può permettere di sbagliare. Ridare il governo a Raggi o a un altro esponente della sinistra sarebbe per il centrodestra, che nei sondaggi nazionali è vincente, un duro contraccolpo. Che ne fiaccherebbe l’animo e le ambizioni. Ma peggio ancora sarebbe portare al Campidoglio un sindaco che non piace ai romani, o del quale presto essi potrebbero disilludersi (i casi degli ultimi primi cittadini, da Alemanno a Marino, a Raggi appunto, sono emblematici).

Dico subito che, se fossimo in tempi normali, sarebbe preferibile scegliere un politico di professione, un dirigente di uno dei tre partiti. È vero infatti che l’attuale presidente del Consiglio, che sta facendo molto bene, non è un politico in senso stretto, ma ciò mostra che i tempi appunto non sono ordinari. Oltre al fatto che Draghi è Draghi e altri col suo profilo e le sue capacità non se ne vedono in giro, né fra i politici e né fra i tecnici, nemmeno a livello nazionale. Figurarsi locale! Il fatto è che fra i compiti non esplicitati della “missione Draghi” c’è anche quello di permettere ai partiti tutti, di destra centro e sinistra, di maturare e prepararsi a riprendere completamente lo scettro in mano a termine mandato.

L’Italia ha bisogno di un sistema politico che funzioni, ove le contrapposizioni siano quelle di interessi e idee come in tutte le democrazie, ove l’avversario non sia delegittimato, con una classe dirigente politica che si mostri all’altezza della situazione. Dopo anni di sbornia sulle presunte e “superiori” virtù della “società civile”, sulla politica che poteva essere fatta da chiunque perché in fondo è solo mera e “onesta” amministrazione (“uno vale uno”); si è capito oggi che essa ha bisogno di competenze specifiche e di lungo corso per ottenere qualche risultato. Il fatto è che questo però oggi ancora manca.

Passando perciò dalla teoria alla prassi, il nome va scelto ancora una volta fra i cosiddetti “civici”. Qui sorgono due problemi: il “tecnico” deve avere anche una capacità politica, non può essere mandato allo sbaraglio in città grandi e difficili come Roma e Milano; in più deve essere conosciuto e riconosciuto dai cittadini che dovranno votarlo, cioè deve possedere la virtù di essere in grado di convertire in voti la sua candidatura. Per fortuna oggi, da questo punto di vista, non poco aiutano i sondaggi. Ad esempio, sembrerebbe che uno appositamente commissionato abbia mostrato come la candidatura di Gasparri, il cui nome era circolato nei giorni scorsi e ancora ieri, avesse riscontrato meno gradimento fra i romani di quella di Gualtieri. Certo, i sondaggi sono opinabili, o meglio nel corso di una campagna elettorale un candidato può farsi piacere così tanto da sovvertire i pronostici della vigilia. Ma intanto perché partire già col piede sbagliato?

Albertini e Bertoloso erano sulla carta i candidati quasi perfetti: tecnici ma che avevano sempre masticato la politica (Albertini aveva già addirittura fatto il sindaco); un forte gradimento; la quasi sicurezza di vincere (anche perché potevano piacere anche a un elettorato trasversale). Candidati vincenti ma che tuttavia, diciamocela tutta, potevano dare l’impressione di un ritorno all’antico. “Usato sicuro”, certo, ma sempre “usato” era. Tante incognite, quindi. E la difficoltà oggettiva di trovare un profilo adeguato e disponibile (è pur vero infatti che oggi il mestiere di sindaco non è più ambito come un tempo, e potrebbe addirittura ritorcersi sulla professione, come notava Matteo Salvini in una intervista a La Stampa domenica scorsa).

La ricerca continua. Dal nome che dal cilindro dei tre partiti emergerà, si capirà anche a che punto quel processo di costruzione di una nuova consapevolezza e di nuove élites di cui dicevamo prima. Un problema che, in forme diverse, è pure della sinistra. Aspettiamo tutti la “rivincita della politica”. Un primo segnale bisogna darlo, e la destra non può lasciarsi scappare l’occasione.

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