In Argentina il passato sembra sempre più promettente rispetto al futuro. Chiunque governi a Buenos Aires cerca sempre di riproporre ricette politiche, economiche e sociali applicate in presunti “momenti gloriosi” della storia del paese. Molto spesso, però, le scelte fatte in momenti entrati nel mito della storia argentina – come nel caso del governo di Juan Domingo Peron, che deindustrializzò il paese e lo rese completamente dipendente dalle importazioni – furono le basi delle successive crisi economiche e dei disastri politici che in seguito flagellarono l’Argentina.
Il governo dell’attuale presidente Cristina Fernández Kirchner non si sottrae da questa immaginifica tradizione.
Negli ultimi mesi, infatti, la Casa Rosada ha varato una serie di provvedimenti economici protezionistici che stanno portando l’Argentina verso un rapido collasso. Le decisioni più significative sotto il profilo economico sono il congelamento dei prezzi, l’aumento di dazi doganali, l’incremento della tassazione sulle esportazioni e lo stretto controllo nel cambio tra peso e dollaro.
Acá no hay inflación
A partire da febbraio il governo argentino ha imposto per ben due volte un congelamento dei prezzi dei carburanti e di oltre 500 prodotti di prima necessità. Una scelta molto comune nell’Argentina negli anni ’80, che da trent’anni produce sempre gli stessi risultati: scarsità di prodotti, sviluppo del mercato nero e, in ultima istanza, un aumento dei prezzi. Anche questa volta non è andata diversamente.
Il paradosso è che questa scelta è stata presa proprio per cercare di frenare l’inflazione, stimata ufficialmente dal governo al 10% l’anno, ma che secondo centri studi e ricerche indipendenti si attesterebbe tra il 20% e il 30%. Da più parti l’esecutivo Kirchner è tacciato di aver volutamente ritoccato i metodi di calcolo della variazione dei prezzi per presentare dati politicamente più accomodanti.
Tra i grandi accusatori il caso più clamoroso è quello della direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, che non ha usato mezzi termini, presentando per la prima volta nella storia dell’istituzione una dichiarazione formale di censura per l’inaccuratezza dei dati economici (oltre all’inflazione, infatti, sarebbero alterate anche proiezioni di crescita, indici di povertà, riserve valutarie, ecc.). Una procedura che potrebbe concludersi addirittura con l’espulsione del Paese dal Fmi se Buenos Aires non tornerà sui suoi passi entro la fine di settembre.
Carlo Cauti è giornalista presso la sede Ansa di San Paolo del Brasile. Le opinioni espresse in questo documento sono personali e non rappresentano necessariamente le opinioni dell’Ansa.