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Se Draghi è a tre passi dal Quirinale. Il mosaico di Fusi

La governance e le nomine con l’occhio vigile di Palazzo Chigi. I ripensamenti garantisti a Cinque Stelle. I subbugli in Forza Italia o quel che ne resta. La maggioranza del governissimo si muove e fa sorridere il premier Draghi. Che ora è un passo più vicino al colle più alto…

Grande è il movimento all’interno della larga – e a dispetto dei gufaggini vari – in via di consolidamento maggioranza che sostiene Mario Draghi. Ne consegue che il premier potrebbe esclamare come Mao Zedong: la situazione è eccellente. Per lui senz’altro (e arrivano conferme consistenti dai sondaggi). Ci sono iniziative, infatti, che stanno cambiando alcuni connotati alle forze politiche e il tutto avviene all’interno della rigida governance che il presidente del Consiglio ha imposto alla coalizione poco coesa (il gioco di parole è necessario) non per decreto ma per autorevolezza.

Tre gli elementi particolarmente significativi. Il primo riguarda la ripresa sotto nuove forme della metodo della concertazione allargata non più solo alle parti sociali ma anche alle Regioni. Il bastone del comando è saldamente in mano a palazzo Chigi che in poche ore ha potuto assorbire le sfuriate di Landini e l’accusa di essere prono ai desiderata di Confindustria conducendo in porto i primi provvedimenti che implementano il Recovery capitalizzando l’assenso di tutti: sindacati, imprenditori, Pd e Lega. Idem con i governatori, irritati dalla possibilità (inverosimile) di essere tenuti fuori dalle decisioni sul Pnrr. Il presidente della conferenza Stato-regioni assume il rango di un ministro; le Regioni sono parti decisivi dell’attuazione del Piano, e tutti sono soddisfatti.

Importante la ritrovata sintonia (ma davvero è mai stata in discussione?) tra il capo del governo ed il leader del Nazareno. Letta, legittimamente, insiste su proposte di riforma del sistema politico tanto fascinose quanto assai complicate da realizzare. Ma il succo è che dopo alcuni marosi che rischiavano di creare confusione, i Democratici si sono risintonizzati sul refrain “quello di SuperMario è il nostro governo”. E da lì non schioderanno. Non possono farlo come non può agitarsi più di tanto Matteo Salvini: anche lui ha capito molto presto che il tentativo di influire (condizionarlo era chiaramente impossibile) sulle scelte di Draghi non avrebbe avuto successo. E si è riaccucciato.

Il secondo elemento riguarda il ribaltone sul “manettarismo senza limitismo” dei Cinquestelle effettuato da Luigi di Maio. Un riposizionamento che diventa clamoroso perché recide la principale radice identitaria del grillismo e ripropone la questione della leadership del MoVimento. Con la sua sortita il titolare degli Esteri non solo “detta la linea” oscurando un Giuseppe Conte sempre più sbiadito, ma rafforza la spinta governista dei Cinquestelle in una fase delicata che da un lato vede concretizzarsi gli sforzi della Guardasigilli Marta Cartabia per la riforma della giustizia smontando i capisaldi sulla prescrizione tanto cari a Bonafede; e dall’altra prepara la grande corsa verso l’elezione del successore di Mattarella.

La svolta garantista, se così si può dire, di Di Maio rende complicate le manovre del M5S di giocare un ruolo autonomo in quella partita. I tempi delle candidature gridate della Gabanelli o dello scomparso Rodotà sono morti e sepolti. Se davvero i Cinquestelle intendono esorcizzare i pericoli di scissione, non esiste strada alternativa altra strada allo stare sempre più attaccati al carro governista condotto da Draghi.

Infine il terzo elemento è la tempesta in atto al centro, con l’iniziativa di Toti-Brugnaro, decisi e “coraggiosi” a smantellare quel che resta di Forza Italia. In altri tempi sarebbe apparsa una manovra divisiva della maggioranza. Ma intanto sia l’uno che l’altro si sono affrettati a dire che il sostegno al capo del governo e l’omaggio al presidente della Repubblica erano e restano incondizionati. E poi il contenitore berlusconiano è da tempo in affanno: qualunque sia la risposta a Coraggio Italia non andrà nel verso di destabilizzare l’esecutivo.

Grande è il movimento nella maggioranza e tante cose sembrano congiurare per rendere eccellente la postazione di SuperMario. E così lanciarlo verso il traguardo del Quirinale.


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