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Covid-19, il ritorno della versione del “virus cinese”. Scrive Polillo

Se il sospetto circa una défaillance del laboratorio di Wuhan dovesse essere confermato le conseguenze, anche giuridiche, sarebbero rilevanti. Spetta ai dirigenti cinesi decidere dove collocarsi. Possono rendere un servigio all’umanità o cedere di fronte alla ragion di Stato. Ma, in entrambi i casi, non potranno cavarsela, come se niente fosse stato

“La nostra prima priorità – ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, ottenendo il plauso di Angela Merkel – è sconfiggere la pandemia ovunque, non soltanto nei Paesi sviluppati. Garantire che i Paesi poveri abbiano accesso a vaccini è imperativo morale”. Parole pronunciate nel corso della giornata del Global Solutions Summit 2021. Quindi si potrebbe pensare ad un intervento di rito, ma non è così. Innanzitutto a causa delle possibili mutazioni che il virus può subire. Rischio direttamente proporzionale alla dimensione del contagio a livello internazionale.

Finora i fatti gli hanno dato ragione. Se si analizzano i dati della diffusione, alcune peculiarità balzano agli occhi. Finora le varianti più conosciute sono state quella inglese e quella indiana. Varianti sia in relazione al “normale” comportamento del virus: aggressività e letalità. Ma al di là degli aspetti epidemiologici, sono state le caratteristiche della sua diffusione a sorprendere maggiormente.

Nel corso sia della prima che della seconda ondata la maggiore diffusione dei contagi è avvenuta in Europa e negli Stati Uniti. Stando ai dati globali della Johns Hopkins University, in queste due grandi aree si sono concentrati oltre il 45% dei contagi e quasi il 60% dei decessi. Un dramma analogo si è verificato, poi, in India ed in Brasile. Nel grande Paese dell’America Latina il numero dei morti in relazione alla popolazione ha superato l’Italia. I contagi sono stati più 16 milioni, ma il grado di letalità comunque inferiore.

Molta più contenuta, invece, la diffusione in India. I contagi sono stati inferiori ai 2 milioni di casi ed il numero dei decessi in proporzione alla popolazione meno di un decimo di quello italiano. Nel contesto dei Paesi più poveri, per riprendere l’esportazione di Mario Draghi, India e Brasile sono un’eccezione. Nel resto di questo mondo, per fortuna, la pandemia, almeno finora, è stata molto meno impietosa. Per fortuna: date le caratteristiche sanitarie di quei Paesi se non fosse stato così, si sarebbe verificato un’ecatombe.

Come spiegare questi sviluppi? Probabilmente chiamando in causa la globalizzazione. I Paesi più esposti sono stati quelli che più di altri hanno praticato quella religione. Tanto che all’interno stessi dei singoli Stati – il caso della Lombardia – le zone più colpite sono state quelle più esposte agli scambi internazionali ed al meticciato, che è fenomeno tipico di quel processo. Si spiegherebbe allora il caso dell’India e del Brasile, ma anche della stessa Sud Africa, più volte chiamato in causa, per una nuova variante. Paesi che, a loro volta, facevano parte dei Brics: i nuovi Stati baciati da quella fortuna.

Unica eccezione in questo schema: la Cina. I dati della Johns Hopkins sono talmente bassi da risultare poco credibili. Poco più di 100 mila casi. Meno di 5 mila decessi. Un tasso di mortalità, ogni 100 mila abitanti, tendente a zero. Potenza dell’opacità, si potrebbe commentare, del sistema di comunicazione. Se lo stato di relativo benessere fisico non fosse stato, in qualche modo, confermato da numerose corrispondenze di giornalisti occidentali.

Una delle ultime, in ordine di tempo, è stata quella di Peter Hessler per il New Yorker. Un lungo saggio da parte di chi è vissuto a lungo nelle zone più prossime alla sorgente – Wuhan – del virus. “Sempre più – scrive verso la fine del suo intervento l’autore – la versione cinese del 2020 sembra una realtà alternativa… Su 30 milioni di studenti che hanno partecipato alle lezioni in aula in autunno, ci sono stati solo due casi di contagio”. Ed oggi si scopre che la crescita del Pil cinese, alla fine dell’anno, segnerà un nuovo record, lasciando indietro tutte le altre economie del Pianeta.

Naturalmente questi dati non dimostrano alcunché. Nè possono essere considerati indizi di una ipotetica terribile strategia. Ma proprio per questo motivo è interesse della stessa Cina far sì che sia sgombrato ogni possibile equivoco. Finora le stravaganze di Donald Trump avevano fatto da scudo. Parlare del “virus cinese”, secondo la sua stessa definizione, era stato considerato poco più di un arma propagandistica dell’arsenale di “America first”. Ma oggi le posizioni della nuova Amministrazione di Joe Biden danno una nuova luce all’intera vicenda.

Alla base della richiesta di un’indagine più approfondita, com’é noto, è un documento dei Servizi segreti americani in cui si ipotizza che il virus sia stato conseguenza di un errore nei laboratori di Wuhan. Tesi sempre smentita con forza dalle autorità cinesi. Come del resto avevano già fatto, mettendo la sordina sulle prime grida di allarme. La persecuzione iniziale nei confronti di Li Wenliang, colpevole di aver individuato il virus. Poi, esso stesso, morto di Covid.

Le indagini successive della delegazione dell’Oms, che si era recata in Cina, non avevano tirato fuori un ragno dal buco. Nel documento finale si insisteva sull’ipotesi di una possibile trasmissione dai pipistrelli all’uomo. Ma mancava la prova regina. Vale a dire il medium, ossia quell’anello di congiunzione, che confermerebbe la teoria. Da qui i dubbi, che nel frattempo si sono moltiplicati, anche a seguito della crescente reticenza delle Autorità cinesi di fronte alla scoperta di nuovi possibili indizi. Come i nuovi decessi, avvenuti molto tempo prima dei casi universalmente accertati.

Che la Cina sia in imbarazzo é, quindi, evidente. Se il sospetto circa una défaillance del laboratorio di Wuhan dovesse essere confermato le conseguenze, anche giuridiche, sarebbero rilevanti. Dato i disastri che da quella possibile fuga sarebbero derivati. Le sue resistenze sono quindi comprensibili. Ma anche giustificate? Questo è il punto. Con ogni probabilità, alla fine, la verità verrà fuori, con o senza la partecipazione della Cina. La cosa è troppo grossa.

Un conto è ipotizzare una trasmissione del virus, per così dire, naturale. In questo caso, l’intera umanità sarebbe ancora più esposta. Oggi il Covid-19, domani chi sa quale altra ibridazione. L’ipotesi di un errore umano, invece, è più tranquillizzante. Si presta, infatti, ad una spiegazione razionale. In base alla quale predisporre per il futuro le opportune maggiori precauzioni. Spetta quindi ai dirigenti cinesi decidere dove collocarsi. Possono rendere un servigio all’umanità o cedere di fronte alla ragion di Stato. Ma, in entrambi i casi, non potranno cavarsela, come se niente fosse stato.


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