Impianti che bruciano, guasti misteriosi. Le strutture militari e civili in Iran sono vecchie e poco protette, esposte ai danni del tempo e ai sabotaggi avversari. Difficile per Teheran raccontarsi come una potenza
In Iran è ricominciata la stagione degli incendi, e sembra quasi un deja-vu dello scorso anno. Centrali e impianti, navi e infrastrutture varie di colpo bruciano. A Teheran, nel sud, sul mare: i luoghi degli incendi sono sparsi, le cause varie, i sospetti tanti. Domenica 6 giugno è toccato a un’acciaieria a Zarand, nella provincia di Kerman: una grossa esplosione, poi un incendio. La Zarand Steel Company è stata sanzionata quest’anno dagli Stati Uniti. È il terzo caso del genere in sette giorni.
Certo, incolpare di tutto il Mossad è una speculazione affascinante quanto azzardata: possono i servizi segreti israeliani essere in grado di colpire con tanta efficacia, costanza, distribuzione all’interno dell’Iran? Niente è da escludere viste le capacità, ma non si può nemmeno mettere da parte un fattore: l’obsolescenza delle strutture della Repubblica islamica, aspetto che in questi mesi si somma con l’aumento delle temperature e la stagione secca.
La scorsa settimana ha preso fuoco la “Kharg”, una nave da rifornimento costruita in Inghilterra negli anni Settanta (i media la descrivono come “la più grande nave della flotta iraniana”: è vero, ma non è una nave da guerra, ma di appoggio). Le fiamme si sono propagate a bordo in modo apparentemente inspiegabile, sono state alimentate dal combustibile trasportato, i quattrocento uomini di equipaggio sono fuggiti in tempo (una quarantina sono rimasti feriti però), la nave è completamente bruciata. Tutto davanti a Jask, affacciata sul Golfo dell’Oman, ossia all’imboccatura dello Stretto di Hormuz, strozzatura strategica nel Golfo Persico che l’Iran si vanta di controllare.
Negli anni scorsi in quelle stesse acque — in cui viaggia il 20 per cento del greggio mondiale — sono successi vari incidenti a cargo che trasportavano petrolio e prodotti petrolchimici. Gli Stati Uniti e Israele avevano incolpato i Pasdaran. Ma recentemente erano anche uscite informazioni su come dal 2019 dozzine di imbarcazioni israeliane fossero state sabotate dagli israeliani mentre viaggiavano verso la Siria — violando un embargo Onu. Non più tardi di aprile, il finto cargo “Saviz” usato per l’intelligence davanti allo Yemen dall’Iran, è stato danneggiato da una limpet mine, una mina magnetica che viene attaccata alla chiglia e azionata a distanza. Nelle acque del Mar Rosso dove si trovava la Saviz, qualche giorno prima c’era un un sottomarino israeliano Classe Dolphin: il sommergibile è attrezzato per trasportare gli incursori subacquei dello Shayetet-13, a loro volta attrezzati per sabotare navi nemiche senza essere visti.
La Kharg era nel Golfo dell’Oman per dare supporto a esercitazioni che la marina iraniana condurrà con quella russa. Dunque, mentre le Forze armate di Teheran tentano di dare un’immagine muscolare (anche internazionale) di se stesse, una grande nave da supporto alle operazioni militari (fornisce il carburante per far muovere fregate e cacciatorpedinieri) prende fuoco. Due i significati: o la marina iraniana è così debole da non accorgersi che durante un’esercitazione un suo mezzo viene sabotato (e dunque figuriamoci come sarebbe scarsa in guerra), oppure parecchi mezzi sono vecchi e sotto gli standard minimi di operatività e prendono fuoco e lasciano scoperto il fianco (pensate a una missione di attacco che resta a piedi senza benzina in mezzo al mare). Terzo: la Kharg è rimpiazzavile con una nuova? Per ora no, Teheran non ha fondi, e infatti userà come surrogato la “Makran” (che era diretta in Venezuela, ma ha avuto ordine rientrare verso casa).
Sempre la scorsa settimana, due piloti dell’aeronautica iraniana sono morti all’interno di un hangar perché mentre stavano uscendo per una missione di addestramento i seggiolini del loro caccia si sono iniettati da soli sbalzandoli contro il tetto del capannone. L’aereo in cui si trovavano era un F-5, prodotto dall’americana Northtrop, entrato in servizio nel 1962, fornito a Teheran ai tempi dello Scià. Sono ancora in uso in numero ridotto perché sono molto piccoli e maneggevoli, usati in esercitazioni per la superiorità aerea anche negli Usa (come insegna il film “Top Gun”, dove sostituivano i Mig-28). Quanto meno a quelli iraniani manca un po’ di manutenzione, anche per via delle strette sanzioni sulle forniture militari a cui gli americani hanno sottoposto il paese.
Giovedì scorso una raffineria è andata a fuoco nell’hinterland meridionale di Teheran. Fumo nero intenso si vedeva a vari chilometri di distanza. Anche qui: sabotaggio oppure obsolescenza? L’impianto è vecchio, il rispetto dei protocolli di sicurezza basso, la disattenzione possibile. Poi c’è da ricordare però che in diverse strutture — per esempio la centrale nucleare di Natanz — ci sono già stati attacchi e sabotaggi. Operazioni evidenti, su cui la Repubblica islamica usa una linea ambigua: da una parte denuncia l’essere sotto attacco per giustificare le proprie iniziative aggressive (lo sviluppo di nuove armi, le attività con le milizie sciite, la volontà non chiara di raggiungere la deterrenza nucleare); dall’altra tampona, nasconde, bluffa, per non mostrarsi vulnerabile.
Da un lato ci sono la propaganda e le nuove tecnologie militari come missili e droni d’attacco che sono molto efficienti, o ancora i barchini dei Pasdaran che minacciano Hormuz e le capacità di alcune unità d’élite, fino ad arrivare agli sviluppi che potrebbero essere stati fatto dall’Iran sul campo nucleare (intanto civile). Dall’altro strutture vecchie, sia militari che non, esposte all’usura e al danneggiamento — oppure facili da aggredire dai nemici. Per Teheran che vuole costruirsi l’immagine della potente Persia, la situazione è complicata. Tutto mentre si va al voto presidenziale (con vittoria facile di un conservatore sulla strada verso il ruolo di Guida Suprema. E tutto mente i delegati iraniani negoziano con le potenze mondiali il rientro americano nel Jcpoa, l’accordo sul nucleare che viene visto come il modo di mettere in sordina le ambizioni atomiche della Repubblica islamica.