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Marx e Bergoglio, una lezione istituzionale. La riflessione di D’Ambrosio

Con questa scambio di lettere la vicenda universale della riforma di papa Francesco raggiunge uno dei suoi apici. Non ci sono più scuse – caso mai ce ne fossero state ancora – da apportare. Il commento di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma

Lo scambio di lettere tra il cardinal Rainer Marx e papa Francesco ha diverse ottiche di lettura (spirituale, morale, ecclesiologico, istituzionale). Brevemente mi ripropongo qui, a titolo strettamente personale, di riflettere su alcuni risvolti istituzionali, che fanno rientrare il caso in una vera e propria lezione istituzionale, valida per ogni assetto organizzativo.

Lo scambio epistolare va posto sotto un orizzonte etico che così si può formulare: un progetto di riforma può proseguire e stabilizzarsi solo se i diversi collaboratori collaborano e svolgono la loro parte con provate capacità umane, etiche e professionali. I collaboratori non solo hanno il dovere di lavorare con onestà e competenza, ma anche quello di aiutare il supremo capo e i colleghi, a governare meglio, a sanare le piaghe e a far crescere l’intero corpo sociale.

Se tutto ciò non avviene, il gruppo dei collaboratori si trasforma in una vera propria corte. Marx se ne guarda bene dall’“entrare a corte” e scrive: “la Chiesa in Germania sta attraversando dei momenti di crisi. (…). Mi pare – e questa è la mia impressione – di essere giunti ad un “punto morto” che, però, potrebbe diventare anche un punto di svolta secondo la mia speranza pasquale”. L’eticità di questa denuncia sta anche nel fatto di sentirsi pienamente coinvolto come persona: “ma chi è questo noi”? Certamente vi faccio parte anch’io. E questo significa che devo trarre delle conseguenze personali” e quindi si dimette. Il solo denunciare è poco etico se non porta ad assumersi le personali ed evidenti responsabilità personali.

La lettera contiene altri elementi degni nota:

– Scelte personali e scelte istituzionali sono sostanzialmente connesse: “errori personali e fallimento istituzionale richiedono cambiamenti e una riforma della Chiesa”.

– La situazione si è aggravata perché “alcuni rappresentanti della Chiesa non vogliono accettare questa corresponsabilità e pertanto anche la co-colpa dell’Istituzione”.

– Il passato non può essere rimosso, se lo si fa il danno si aggrava: “non è possibile relegare le rimostranze semplicemente al passato e ai funzionari di allora e in tal modo “seppellirle”.

– Le persone, specie i piccoli e gli indifesi, vengono prima e sopra ogni istituzione: “Personalmente avverto la mia colpa e la corresponsabilità anche attraverso il silenzio, le omissioni e al troppo peso dato al prestigio dell’Istituzione (…). La trascuratezza e il disinteresse per le vittime è stata certamente la nostra più grande colpa in passato”.

– Il rinnovamento non è più, come sempre, procrastinabile.

Last but non least – da ultimo e non per ultimo – va notato che il cardinale ha chiesto il permesso (poi accordato) al destinatario di pubblicare la lettera: stile ben diverso da quello di leader cattolici (Viganò, Muller, Sarah ecc) e politici che usano la stampa come arma bianca e non hanno il coraggio di confrontarsi, prima di tutto in segreto, con i capi di un’istituzione.

Veniamo a papa Francesco. Il suo tono è spirituale e fraterno, come è giusto che sia. Ma la risposta è anche ricca di gratitudine per il cardinale e fermezza sul proseguire con la riforma. “Ci viene chiesta una riforma, che – in questo caso – non consiste in parole – scrive Francesco – ma in atteggiamenti che abbiano il coraggio di entrare in crisi, di accettare la realtà qualunque sia la conseguenza. E ogni riforma comincia da sé stessi. La riforma nella Chiesa l’hanno fatto uomini e donne che non hanno avuto paura di entrare in crisi e lasciarsi riformare dal Signore. È l’unico cammino, altrimenti non saremo altro che “ideologi di riforme” che non mettono in gioco la propria carne”.

Le dimissioni non sono accettate non certamente per un calcolo politico, ma perché… “questa è la mia risposta, caro fratello. Continua quanto ti proponi, ma come Arcivescovo di München und Freising. E se ti viene la tentazione di pensare che, nel confermare la tua missione e nel non accettare la tua rinuncia, questo Vescovo di Roma (fratello tuo che ti vuole bene) non ti capisce, pensa a quello che sentì Pietro davanti al Signore quando, a modo suo, gli presentò la rinuncia: “allontanati da me che sono un peccatore”, e ascolta la risposta: “Pasci le mie pecorelle”.

Papa Francesco non sta ipotecando il futuro del cardinale (cosa alquanto sciocca, per tanti motivi) ma sta ricordando che la fedeltà alla Chiesa è da vivere sempre, nella gioia come nel dolore, nella serenità come nella prova. Certo è fatta salva la liberta di rinunciare a un incarico, con motivate ragioni in coscienza. Ma non è questo il caso, altrimenti il cardinale si sarebbe dimesso riservatamente e precisando le ragioni. La sua lettera ha, invece, un valore interlocutorio ed è un’espressione di fiducia in chi ha dato impulso alla riforma.

La lettera del papa è anche una sintesi di quegli atteggiamenti antiriforma che hanno provocato la scelta di Marx: non accettare e riconoscere la realtà, cioè la portata della catastrofe degli abusi; dissimulare le colpe della Chiesa; confidare nel potere del denaro e nell’opinione dei media; seppellire il passato, con silenzi, omissioni, il dare troppo peso al prestigio delle istituzioni, elementi che “conducono solo al fallimento personale e storico, e ci portano a vivere con il peso di “avere scheletri nell’armadio”, come recita il detto”.

Con questa scambio di lettere la vicenda universale della riforma di papa Francesco raggiunge uno dei suoi apici. Non ci sono più scuse – caso mai ce ne fossero state ancora – da apportare. La riforma è sempre più delineata e meglio proposta. Non c’è cammino sinodale, in Germania come in Italia o altrove che può ignorarla. Chi la ignora o la nega, direbbe Rahner, vuol dire che non vuole liberarsi “dalla zavorra e dalla polvere della storia per amore del Vangelo”.



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