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Perché mostrare il video della tragedia di Mottarone è voyerismo prêt-à-porter

Il video deve servire ai tecnici, ai periti, a chi deve visionarlo ore e ore, frame su frame per comprendere le cause, la tempistica, le colpe e cosa realmente sia successo in quei tragici momenti, e non al pubblico che non può tecnicamente sentenziare alcunché sui fatti. L’intervento di Biagino Costanzo, docente in Scienze criminologiche per la difesa e la sicurezza

No, io non l’ho visto! Parlo del video che mostra le immagini della cabina della funivia del Mottarone, che ha provocato la morte di 14 persone mostrato in esclusiva da Tg3 e ripreso poi dalla rete e quindi dal mondo intero.

Certo, è arrivato prontamente via Whatsapp anche a me, ma nell’accorgermi di cosa si trattasse, ovvero il video integrale di ciò che era successo a Stresa, credetemi, l’ho interrotto immediatamente provando un forte senso di pudore, perché all’inizio dello stesso sono ben visibili anche le vittime.

Non concordo affatto su quanto affermato da molti organi di stampa nel ribadire, a seguito delle polemiche scoppiate subito dopo, “che abbiamo deciso di utilizzare perché è la testimonianza diretta di ciò che è realmente accaduto in quei terribili secondi che sono costati la vita a quattordici persone. “

No, a mio avviso questo è un video che deve essere riservato solo agli inquirenti, alla Procura, alle parti in causa, civile, difesa, accusa e, se loro vogliono, ai parenti delle vittime.

La stessa procuratrice di Verbania Olimpia Bossi ha affermato che “si tratta di immagini di cui è vietata la pubblicazione trattandosi di atti relativi ad un procedimento in fase di indagini preliminari”, ha poi aggiunto che “mi preme sottolineare la assoluta inopportunità della pubblicazione di tali riprese, che ritraggono gli ultimi drammatici istanti di vita dei passeggeri della funivia precipitata il 23 maggio scorso sul Mottarone, per il doveroso rispetto che tutti, parti processuali, inquirenti e organi d’informazione, siano tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di un’intera comunità”.

“Portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto – conclude Bossi – non significa per ciò stesso autorizzare ad avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi d’informazione, soprattutto, come in questo caso, in cui si tratti di immagini dal fortissimo impatto emotivo, oltretutto mai portate a conoscenza neppure dei famigliari delle vittime la cui sofferenza, come è di intuitiva comprensione, non può e non deve essere ulteriormente acuita da iniziative come questa”.

E no procuratrice il video è stato scientemente messo in pasto al vasto pubblico della tv e soprattutto di internet, non per il decantato, semplice diritto di cronaca, non solo per fare facile scoop, questo è puro voyeurismo sensazionalista, fa numeri, fa audience, fa pubblicità, fa soldi!

Il video deve servire ai tecnici, ai periti, a chi deve, non può, deve, visionarlo ore e ore, frame su frame per comprendere le cause, la tempistica, le colpe e cosa realmente sia successo in quei tragici momenti, cosa si è rotto prima e come si sia declinata la drammatica dinamica dei fatti e non al pubblico che non può tecnicamente sentenziare alcunché sui fatti perché non esperti di tutto ciò ma potrei essere smentito dal fatto che ahinoi, siamo un popolo di commissari tecnici, di virologi, di detentori di granitiche convinzioni.

La verità è che da sempre, dalla notte dei tempi, le notizie buone non fanno notizia, appunto, mentre quelle tragiche attirano la curiosità come le mosche al miele.

L’Homo sapiens, cioè la specie umana attuale, deriva dall’homo habilis e l’homo erectus che uccideva il simile per sopravvivere. Vi è una morbosa curiosità verso il male altrui e non è la semplice, intramontabile, antica invidia rancorosa, negli ultimi anni fattasi vero e proprio “sistema”.

Quante volte per le strade e autostrade italiane abbiamo fatto file per ore e ore causate non dall’incidente in sé ma dalla morbosa “curiosità degli automobilisti” come cita la radio quando ci avverte di un incidente sulla nostra corsia a causa della curiosità di qualcuno che frena di botto per vedere l’incidente sull’altra corsia e non certo per intervenite, sia per pavidità sia perché non si può, ma solo per il macabro desiderio di vedere “se ci sono morti per strada” , “o sangue in giro “ l’ho sentito con le mie orecchie.

Con l’avvento degli smartphone poi, oggi è un turbinio di video fatti dagli utenti verso qualsiasi cosa succede in quell’istante, che, per molti aspetti risulta utile per far intervenire, per esempio i soccorsi in un determinato posto e in quel momento, ma molte volte sono fatti per condividere qualcosa di spregevole sui social network.

Pensiamo per esempio al “revenge porn” in cui uno dei due partner, per abbandono, scherno, diffonde in rete immagini intime senza il consenso della persona o delle persone coinvolte. In sintesi, qui troviamo, tutti gli elementi che caratterizzano la nuova rete, la irrefrenabile volontà di “fermare” il momento tramite un video o immagini, la facilità di esporre i dettagli personali, la possibilità di avere una diffusione in rete capillare ed immediata, l’assenza di regole d’ingresso e di pubblicazione, e il non certo recondito desiderio di fare “del male” come anche con il meno grave cyberbullismo.

Sia chiaro, lo diciamo anche come addetti ai lavori, il problema non è la “rete” in sé, ma, come è noto, essa funge da potentissima “cassa di risonanza”, ciò che c’è lì sopra è conseguenza dell’azione dei singoli ed è per questo che non ci stancheremo mai di ribadire che l’attenzione deve concentrarsi sul rapporto, a mo’ di positiva cerniera, tra famiglia, scuola, educatori e istituzioni, il legislatore capace di produrre norme finalizzate a delineare le effettive responsabilità da parte di chi pubblica e diffonde il materiale in rete.

Beh, tutto questo può essere sottovalutato o classificato come un semplice comportamento umano ma di fatto è cibo quotidiano e insistente verso l’involuzione completa della specie. Crediamo di fare passi in avanti su molte cose, ci crogioliamo delle, importantissime, conquiste della scienza o del raggiungimento di un benessere diffuso rispetto a decenni fa, ma contemporaneamente, forse ora non si nota, quando le trasformazioni future antropologiche saranno evidenti, tutto sarà cambiato. La volontà dell’essere umano nello scrutare il male, nel desiderio di vedere, spiare, diffondere nasce da una vera e propria perversione come afferma Paul-Claude Racamier, psicoanalista francese.

Parlando della perversione relazionale egli dice: “Non sessuale, non morale, non erotica, ma narcisistica”. Per Racamier il trionfo del perverso sull’oggetto è di tipo difensivo, a trionfare sulle angosce di morte. Il proprio male, il “vuoto” viene posto negli altri, la difesa è dal dolore psichico collegato al lutto e al conflitto altrui. Guardare, sbirciare il male altrui significa, per molti essere umani, allontanare il male da sé.

È ancora una volta il narcisismo che impèra, chiunque può fare quel che vuole fino ad un certo punto, la mia libertà si ferma dove inizia la tua e la tua libertà si ferma dove inizia la mia, ed è qui che entrano in gioco gli organismi preposti, che hanno un potere immenso, il vero potere, tv, stampa e ora preponderante, internet (con i suoi tanti social network), non possono rendersi complici di questo voyerismo perverso di cui il video della funivia di Stresa è solo la punta dell’iceberg,

Libertà è una cosa, libertinaggio è altra, infatti il cattivo uso che troppe persone fanno della libertà rende necessario l’uso delle leggi per proteggerla.

Il vero concetto da salvaguardare sempre è il rispetto in modo che tutti possano vivere, con civile consapevolezza, insieme, affermando di essere liberi ma mai considerare la libertà come una mancanza di rispetto verso gli altri.



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