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Così Draghi prende il machete per disboscare i decreti attuativi

Il premier ha incaricato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Garofoli di definire già per i mesi di giugno e luglio un’accelerazione dell’attuazione dei decreti attuativi, in modo da ridurne il numero di un terzo. La loro mancata emanazione genera incertezza del diritto e dei diritti e seri problemi di amministrazione

“Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”, si chiedeva Matteo Lombardo, un personaggio dantesco della Divina Commedia. La risposta non è difficile: alla luce degli equilibri istituzionali in atto, a por mano alle leggi è in larga parte, per lo meno come iniziativa legislativa, spesso nella forma dei decreti legge, il Governo. Il fatto è però che il Presidente Draghi ha ereditato una qualità media della normazione tra le più basse della storia repubblicana. Basti citare il caso dell’allora famoso decreto rilancio della primavera avanzata del 2020, fatto di ben 246 articoli per 500 pagine complessive.

Il tutto articolato in 110 mila parole: un testo recante 600 misure, mentre il corrispondente Cares Act degli Usa delle stesse settimane, che varava risorse molto più snelle ed efficaci conteneva 100 misure e si articolava in un numero di parole di meno di un terzo. Per non parlare della qualità e comprensibilità di molte delle norme contenute in quel decreto-lenzuolo. Sembra ora che Mario Draghi si sia accorto che esiste una questione normativa e che va affrontata cercando di essere il più possibile pragmatici ed efficaci.

Lo ha fatto con due linee di azione. In primo luogo si è reso conto della questione specifica in seno alla questione normativa, dei “decreti attuativi”: ben 1185 nella legislatura in corso, dei quali solo 541 sono stati fin qui adottati. La maggior parte derivano dal governo Conte 2 che ha inserito nei propri decreti legge ben 801 decreti attuativi di cui solo 330 sono stati fin qui adottati e 471 sono in lista d’attesa.

Ebbene, il presidente Draghi, dopo aver posto con fermezza la questione in Consiglio dei ministri, ha incaricato il sottosegretario alla presidenza del consiglio Garofoli di definire già per i mesi di giugno e luglio un’accelerazione dell’attuazione dei decreti attuativi, in modo da ridurne il numero di un terzo, perché la loro mancata emanazione genera incertezza del diritto e dei diritti e seri problemi di amministrazione, valutando anche i casi in cui i decreti attuativi non sono più necessari.

La seconda linea di azione adottata dalla Presidenza del Consiglio per fare fronte al problema della quantità e della qualità della normazione è inserita all’articolo 5 del “decreto governance” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ed è finalizzata a migliorare il più possibile il modo di fare le leggi in un Paese che detiene il record mondiale per il numero delle leggi e anche, credo di poter dire, specie negli ultimi anni, per la loro complicazione.

Per l’appunto l’articolo 5 del decreto istituisce presso la Presidenza del Consiglio un’apposita Struttura di Missione che è denominata “unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione”. Una struttura di missione che sarà composta da 15 componenti tra cui ovviamente l’egregio Capo del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi, il Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Carlo Deodato.

Può essere facile a questo punto l’obiezione tratta da Leo Longanesi secondo cui in Italia ogni volta che emerge un problema si istituisce una commissione, e che ci sono state anche precedenti commissioni presso il dipartimento della funzione pubblica o presso la Presidenza del Consiglio che hanno operato su temi analoghi. La caratteristica di questa commissione però è di avere un legame con il Pnrr in quanto è destinata ad operare per tutto il periodo di vigenza del Piano di ripresa e resilienza, quindi fino al 31 Dicembre 2026, anche con forme di “sperimentazione normativa”, per accompagnare il processo del Piano con miglioramenti progressivi della quantità e qualità della regolazione.

Credo che tra i vari punti uno dei primi che questa commissione dovrà prendere in considerazione è il miglioramento della qualità e del livello delle “analisi di impatto della regolamentazione” ( AIR) che deve accompagnare i disegni di legge, ma non i decreti legge del Governo con la giustificazione che sono necessari e urgenti. Mentre, invece, sarebbe importante che anche per i decreti ci fosse qualche forma di previa verifica di analisi di impatto della regolamentazione.

Tanto più che il primo passaggio da considerare per l’effettuazione dell’AIR è valutare se questo o quel disegno di legge sia necessario o no. É quindi un modo per ridurre tendenzialmente il numero dei disegni di legge e anche dei decreti legge.
Ma spesso le AIR vengono effettuate con poca penetratività dagli uffici legislativi dei ministeri di settore e il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi deve intervenire per controllare non sempre con risultati di eccellenza.

Il fatto importante sarebbe per questo processo, se l’attività della Commissione portasse oltre che ad un serio miglioramento della qualità della legislazione (per il quale non si può certo puntare sui legislatori-parlamentari di questi tempi) ad una riduzione significativa della quantità della legislazione. Si attagli infatti ancora oggi al caso italiano la sentenza di Tacito “corruptissima republica plurimae leges”, che con una traduzione non letterale si può declinare “più sono le leggi in una repubblica più la repubblica è corrotta”.

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